Il contratto, quale negozio giuridico, espressione di autonomia privata, è l’atto di una volontà, indirizzata e autorizzata a perseguire un suo scopo che l’ordinamento reputa meritevole di tutela . In particolare, ai sensi dell’art. 1321 c.c., <>. Attraverso il contratto le persone (fisiche o giuridiche che siano), concordemente, incidono reciprocamente sulla propria sfera giuridica per la soddisfazione di interessi anche non patrimoniali, ma producendo, volutamente, effetti giuridici o prestabiliti o comunque ammessi dall’ordinamento. La materia contrattuale, per come disciplinata del codice civile, nasce ispirata al dogma della volontà, manifestazione del pensiero liberistico in economica, ancorchè limitato, da lato, dalla necessità di garantire la certezza dei traffici giuridici, e dall’altro lato, dall’opportunità di tutelare interessi ritenuti “superiori” perché di rilevanza collettiva (o meglio, per l’epoca, corporativistica). D’altronde, l’approccio alla materia contrattuale e più in generale negoziale è profondamente mutato nel corso del tempo, per l’affermarsi di principi diversi dalla libertà o autonomia negoziale e aventi sempre più l’effetto di bilanciamento e limitazione della predetta libertà (il riferimento è soprattutto, anche se non solo, al principio di buona fede e correttezza, quali declinazioni del principio di solidarietà ex art. 2 Cost.). Proprio l’evoluzione di questa tendenza, rende attuale l’interesse per la speculazione oggetto del presente lavoro: verificare se, sulla scorta quali istituti, e in quale modo e misura, il Giudice possa esercitare un sindacato sull’equilibrio economico del contratto e con quali strumenti rimediali. Al riguardo, il presente lavoro ”parte” da una considerazione, per così dire, “di base”, ovvero che la c.d. libertà o autonomia negoziale, in materia contrattuale, incontra un limite di natura ontologica: l’incontro tra le volontà comporta necessariamente che queste ultime non siano pienamente libere nel senso che ciascuna singola parte non può massimizzare il proprio interesse se non nei limiti in cui ciò corrisponda alla massimizzazione degli interessi dell’altro contraente. Nel caso di contratti onerosi a prestazioni corrispettive o sinallagmatici questo aspetto comporta necessariamente che la libertà negoziale di ciascun contraente sia garantita nella misura in cui rispetta la possibilità per entrambe le parti di massimizzare il proprio interesse influendo necessariamente, quindi, sulla portata di quello altrui, limitandolo. Ma a ben vedere un problema di limiti e controlimiti dettato dalla presenza di interessi differenti può ben prospettarsi anche nell’ambito dei contratti gratuiti e persino con causa di liberalità. La dinamica dell’espressione della libertà negoziale, quindi, è evidentemente complessa perché necessita di distinguere tra contratti onerosi e gratuiti, all’interno dei contratti onerosi tra quelli a prestazioni corrispettive e quelli con comunanza di scopo, all’interno di quelli non onerosi tra gratuiti in senso proprio e contratti stipulati con spirito di liberalità. Seppure in misura certamente diversa, d’altronde, il limite ontologico interno dell’”altrui interesse” fa comprendere come, al netto di tutti gli altri limiti “esterni”, frapposti, cioè dall’ordinamento giuridico, di cui si avrà modo di discorrere, quando si affronta il tema del sindacato giudiziale sull’equilibrio economico del contratto, che intercetta necessariamente il principio di libertà e autonomia privata, non sono ammessi approcci “assolutisti”. Per questo stesso motivo, quindi, il problema della salvaguardia dell’autonomia privata non può porsi come dato su cui far perno, dando per scontato che la sua integrità sia un valore tanto assoluto da impedire o restringere indebitamente all’ordinamento, e per esso all’Autorità Giudiziaria, un sindacato sulla congruità delle ragioni di scambio, questo essendo il traguardo di una ricerca che nel dato positivo deve trovare una conferma e non un punto di partenza. Non solo, ma i confini di un principio come quello dell’autonomia privata inevitabilmente risentono del momento storico e dell’evoluzione concettuale degli istituti dell’ordinamento, così come emergenti dalla normativa sopravvenuta, e dalla interpretazione e applicazione di coloro che sono chiamati a decidere la patologia del rapporto contrattuale, ovvero proprio i Giudici. In particolare, quando il rapporto contrattuale entra nella sua “fase patologica” (ovvero la non attuazione o non corretta attuazione del programma contrattuale) il principio dell’autonomia e libertà negoziale/contrattuale viene a confrontarsi con il potere di accertamento e decisionale dell’Autorità Giudiziaria il cui non semplice compito è quello di comprendere e valutare i contenuti dell’espressione di tale libertà, la mancanza di vizi o difetti della volontà rilevanti, secondo l’ordinamento, ai fini della caducazione e emenda del contratto, la rispondenza di tali contenuti ad interessi meritevoli di tutela per l’ordinamento e, quindi, anche la non contrarietà degli stessi ai precetti e principi emergenti dall’ordinamento, ed infine la comprensione e valutazione dei comportamenti tenuti dalle parti prima, durante e dopo la stipula del contratto. Tutto ciò al fine di dare risposta a esigenze di tutela normalmente contrapposte per le ragioni sopra dette. La disciplina del contratto, in ogni sua fase, dalla formazione all’esecuzione, appare oggi caratterizzata dalla presenza pregnante e significativa della giurisdizione, in funzione della verifica e del controllo della giustizia/equità dell’assetto dei rapporti negoziali tra le parti, e perciò di garanzia dei diritti fondamentali della persona. Nello specifico, poiché si tratta di “rapporti giuridici economici” e nei contratti onerosi l’interesse economico è reciproco, inevitabilmente si pone il problema del sé e in che misura il Giudice possa sindacare l’equilibrio economico dell’operazione negoziale, con ciò considerando tanto il problema della proporzione tra le prestazioni “qualificanti” il contratto dalle parti stipulato, quanto l’equilibrio complessivo dell’operazione contrattuale, fermo restando che, come si dirà, discettare della distinzione tra c.d. equilibrio economico e c.d. equilibrio normativo, al di là di specifiche previsioni di legge che contemplano tale distinzione, non pare del tutto corretto e funzionale, posto che, normalmente, se non sempre, ad una sproporzione di diritti ed obblighi corrisponde quale riflesso, una sproporzione economica complessiva dell’operazione negoziale. Premesso che non si contesta il fatto che, come aveva modo di scrivere, nella motivazione di una sentenza del 1865, il giudice inglese sir George Jessel, “se vi è una cosa che l’interesse pubblico richiede più di ogni altra, essa è che gli uomini maturi e consapevoli devono avere la massima libertà di contrattare, e che i loro contratti devono essere fatti rispettare dai tribunali” , ma poiché questa libertà di contrattare in tanto è tutelabile in quanto consenta ad entrambi i contraenti di massimizzare il proprio interesse (economico e non economico) bilanciato con quello dell’altro, la difficile operazione demandata alla valutazione del Giudice è quella di comprendere quando tale bilanciamento presenti o meno degli elementi di ingiustificata sproporzione e conseguentemente determini una violazione della libertà contrattuale medesima. Pertanto, con il presente lavoro, analizzata, anche da un punto di vista storico, una serie di principi ed istituti rilevanti, si procederà a verificare se, in che misura e con quali mezzi processuali sia dato al Giudice di poter sindacare l’equilibrio economico del contratto. Come si avrà modo si esaminare nel prosieguo, infatti, viene da alcuni sottolineato come sia in atto un fenomeno di transizione dalla tutela tout court dell’autonomia e della libertà negoziale dei privati, sia pure mediata dalla “fattispecie democratica”, al penetrante controllo giudiziale delle clausole e dei contenuti del contratto. E ciò in virtù della inventio, da parte della giurisprudenza, di una serie di operazioni rimediali di fronte alle pretese iniquità o asimmetrie, nascenti da posizioni di privilegio o di preminenza, ovvero dal preteso approfittamento della posizione debole della controparte. Al giudice viene richiesto, mediante la domanda della parte più vulnerabile, a cui non può replicare con un non liquet, di riportare ordine, ridurre a equità e a un più sapiente equilibrio le situazioni inique/ingiuste che si annidano nelle clausole del contratto. Anche l’impresa più debole sul mercato si rivolge al giudice, denunziando pretese asimmetrie e chiedendo di verificare se esse siano frutto della posizione privilegiata o dominante della controparte. Sarà dunque compito dell’interprete nel presente lavoro comprendere come e fino a che punto può penetrare il sindacato del Giudice e se ciò sia possibile anche laddove non sia riscontrabile un’ipotesi di debolezza o asimmetria contrattuale rilevante, ovviamente dopo aver dato contenuto concreto a tali ultimi concetti. Non si userà, volutamente il concetto di “ingiustizia” perché si ritiene che tale locuzione rimandi a categorie anche etiche che a ben vedere non hanno alcuna attinenza con la fattispecie in esame.
IL SINDACATO GIUDIZIALE SULL’EQUILIBRIO ECONOMICO DEL CONTRATTO
NASINI, Paolo
Abstract
Il contratto, quale negozio giuridico, espressione di autonomia privata, è l’atto di una volontà, indirizzata e autorizzata a perseguire un suo scopo che l’ordinamento reputa meritevole di tutela . In particolare, ai sensi dell’art. 1321 c.c., <>. Attraverso il contratto le persone (fisiche o giuridiche che siano), concordemente, incidono reciprocamente sulla propria sfera giuridica per la soddisfazione di interessi anche non patrimoniali, ma producendo, volutamente, effetti giuridici o prestabiliti o comunque ammessi dall’ordinamento. La materia contrattuale, per come disciplinata del codice civile, nasce ispirata al dogma della volontà, manifestazione del pensiero liberistico in economica, ancorchè limitato, da lato, dalla necessità di garantire la certezza dei traffici giuridici, e dall’altro lato, dall’opportunità di tutelare interessi ritenuti “superiori” perché di rilevanza collettiva (o meglio, per l’epoca, corporativistica). D’altronde, l’approccio alla materia contrattuale e più in generale negoziale è profondamente mutato nel corso del tempo, per l’affermarsi di principi diversi dalla libertà o autonomia negoziale e aventi sempre più l’effetto di bilanciamento e limitazione della predetta libertà (il riferimento è soprattutto, anche se non solo, al principio di buona fede e correttezza, quali declinazioni del principio di solidarietà ex art. 2 Cost.). Proprio l’evoluzione di questa tendenza, rende attuale l’interesse per la speculazione oggetto del presente lavoro: verificare se, sulla scorta quali istituti, e in quale modo e misura, il Giudice possa esercitare un sindacato sull’equilibrio economico del contratto e con quali strumenti rimediali. Al riguardo, il presente lavoro ”parte” da una considerazione, per così dire, “di base”, ovvero che la c.d. libertà o autonomia negoziale, in materia contrattuale, incontra un limite di natura ontologica: l’incontro tra le volontà comporta necessariamente che queste ultime non siano pienamente libere nel senso che ciascuna singola parte non può massimizzare il proprio interesse se non nei limiti in cui ciò corrisponda alla massimizzazione degli interessi dell’altro contraente. Nel caso di contratti onerosi a prestazioni corrispettive o sinallagmatici questo aspetto comporta necessariamente che la libertà negoziale di ciascun contraente sia garantita nella misura in cui rispetta la possibilità per entrambe le parti di massimizzare il proprio interesse influendo necessariamente, quindi, sulla portata di quello altrui, limitandolo. Ma a ben vedere un problema di limiti e controlimiti dettato dalla presenza di interessi differenti può ben prospettarsi anche nell’ambito dei contratti gratuiti e persino con causa di liberalità. La dinamica dell’espressione della libertà negoziale, quindi, è evidentemente complessa perché necessita di distinguere tra contratti onerosi e gratuiti, all’interno dei contratti onerosi tra quelli a prestazioni corrispettive e quelli con comunanza di scopo, all’interno di quelli non onerosi tra gratuiti in senso proprio e contratti stipulati con spirito di liberalità. Seppure in misura certamente diversa, d’altronde, il limite ontologico interno dell’”altrui interesse” fa comprendere come, al netto di tutti gli altri limiti “esterni”, frapposti, cioè dall’ordinamento giuridico, di cui si avrà modo di discorrere, quando si affronta il tema del sindacato giudiziale sull’equilibrio economico del contratto, che intercetta necessariamente il principio di libertà e autonomia privata, non sono ammessi approcci “assolutisti”. Per questo stesso motivo, quindi, il problema della salvaguardia dell’autonomia privata non può porsi come dato su cui far perno, dando per scontato che la sua integrità sia un valore tanto assoluto da impedire o restringere indebitamente all’ordinamento, e per esso all’Autorità Giudiziaria, un sindacato sulla congruità delle ragioni di scambio, questo essendo il traguardo di una ricerca che nel dato positivo deve trovare una conferma e non un punto di partenza. Non solo, ma i confini di un principio come quello dell’autonomia privata inevitabilmente risentono del momento storico e dell’evoluzione concettuale degli istituti dell’ordinamento, così come emergenti dalla normativa sopravvenuta, e dalla interpretazione e applicazione di coloro che sono chiamati a decidere la patologia del rapporto contrattuale, ovvero proprio i Giudici. In particolare, quando il rapporto contrattuale entra nella sua “fase patologica” (ovvero la non attuazione o non corretta attuazione del programma contrattuale) il principio dell’autonomia e libertà negoziale/contrattuale viene a confrontarsi con il potere di accertamento e decisionale dell’Autorità Giudiziaria il cui non semplice compito è quello di comprendere e valutare i contenuti dell’espressione di tale libertà, la mancanza di vizi o difetti della volontà rilevanti, secondo l’ordinamento, ai fini della caducazione e emenda del contratto, la rispondenza di tali contenuti ad interessi meritevoli di tutela per l’ordinamento e, quindi, anche la non contrarietà degli stessi ai precetti e principi emergenti dall’ordinamento, ed infine la comprensione e valutazione dei comportamenti tenuti dalle parti prima, durante e dopo la stipula del contratto. Tutto ciò al fine di dare risposta a esigenze di tutela normalmente contrapposte per le ragioni sopra dette. La disciplina del contratto, in ogni sua fase, dalla formazione all’esecuzione, appare oggi caratterizzata dalla presenza pregnante e significativa della giurisdizione, in funzione della verifica e del controllo della giustizia/equità dell’assetto dei rapporti negoziali tra le parti, e perciò di garanzia dei diritti fondamentali della persona. Nello specifico, poiché si tratta di “rapporti giuridici economici” e nei contratti onerosi l’interesse economico è reciproco, inevitabilmente si pone il problema del sé e in che misura il Giudice possa sindacare l’equilibrio economico dell’operazione negoziale, con ciò considerando tanto il problema della proporzione tra le prestazioni “qualificanti” il contratto dalle parti stipulato, quanto l’equilibrio complessivo dell’operazione contrattuale, fermo restando che, come si dirà, discettare della distinzione tra c.d. equilibrio economico e c.d. equilibrio normativo, al di là di specifiche previsioni di legge che contemplano tale distinzione, non pare del tutto corretto e funzionale, posto che, normalmente, se non sempre, ad una sproporzione di diritti ed obblighi corrisponde quale riflesso, una sproporzione economica complessiva dell’operazione negoziale. Premesso che non si contesta il fatto che, come aveva modo di scrivere, nella motivazione di una sentenza del 1865, il giudice inglese sir George Jessel, “se vi è una cosa che l’interesse pubblico richiede più di ogni altra, essa è che gli uomini maturi e consapevoli devono avere la massima libertà di contrattare, e che i loro contratti devono essere fatti rispettare dai tribunali” , ma poiché questa libertà di contrattare in tanto è tutelabile in quanto consenta ad entrambi i contraenti di massimizzare il proprio interesse (economico e non economico) bilanciato con quello dell’altro, la difficile operazione demandata alla valutazione del Giudice è quella di comprendere quando tale bilanciamento presenti o meno degli elementi di ingiustificata sproporzione e conseguentemente determini una violazione della libertà contrattuale medesima. Pertanto, con il presente lavoro, analizzata, anche da un punto di vista storico, una serie di principi ed istituti rilevanti, si procederà a verificare se, in che misura e con quali mezzi processuali sia dato al Giudice di poter sindacare l’equilibrio economico del contratto. Come si avrà modo si esaminare nel prosieguo, infatti, viene da alcuni sottolineato come sia in atto un fenomeno di transizione dalla tutela tout court dell’autonomia e della libertà negoziale dei privati, sia pure mediata dalla “fattispecie democratica”, al penetrante controllo giudiziale delle clausole e dei contenuti del contratto. E ciò in virtù della inventio, da parte della giurisprudenza, di una serie di operazioni rimediali di fronte alle pretese iniquità o asimmetrie, nascenti da posizioni di privilegio o di preminenza, ovvero dal preteso approfittamento della posizione debole della controparte. Al giudice viene richiesto, mediante la domanda della parte più vulnerabile, a cui non può replicare con un non liquet, di riportare ordine, ridurre a equità e a un più sapiente equilibrio le situazioni inique/ingiuste che si annidano nelle clausole del contratto. Anche l’impresa più debole sul mercato si rivolge al giudice, denunziando pretese asimmetrie e chiedendo di verificare se esse siano frutto della posizione privilegiata o dominante della controparte. Sarà dunque compito dell’interprete nel presente lavoro comprendere come e fino a che punto può penetrare il sindacato del Giudice e se ciò sia possibile anche laddove non sia riscontrabile un’ipotesi di debolezza o asimmetria contrattuale rilevante, ovviamente dopo aver dato contenuto concreto a tali ultimi concetti. Non si userà, volutamente il concetto di “ingiustizia” perché si ritiene che tale locuzione rimandi a categorie anche etiche che a ben vedere non hanno alcuna attinenza con la fattispecie in esame.File | Dimensione | Formato | |
---|---|---|---|
Nasini tesi finale.pdf
accesso aperto
Tipologia:
Tesi di dottorato
Licenza:
Creative commons
Dimensione
1.02 MB
Formato
Adobe PDF
|
1.02 MB | Adobe PDF | Visualizza/Apri |
I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.