«Essere, evidentemente, scriveva Kant, non è un predicato reale, ossia non è un concetto di qualche cosa che possa aggiungersi al concetto di una cosa. Essere è semplicemente la posizione di una cosa, di certe determinazioni in se stesse. Nell’uso logico è unicamente la copula di un giudizio». Che cosa vuol dire “essere madre” stando a questo passo kantiano? Forse, semplificando, risponderemmo che in tal caso “essere madre” vuol dire che qualcuno “è” madre.Il verbo “essere”, però, come Martin Heidegger, ma anche Franz Rosenzweig e tanti autori che li hanno preceduti e seguiti hanno mostrato, non rappresenta soltanto la copula ma indica anche l’esistere. Volendo tenere insieme questi due sensi, se per un verso “essere madre” segnala una “definizione” – come nel caso in cui si dice di una donna che «è la madre di …», per altro verso – sulla scia del secondo senso del verbo essere – indica l’esistere come madre. Se dunque si è perché si esiste, il verbo “essere” del lemma “essere madre” non si limiterà a segnalare “la copula di un giudizio” ma indicherà anche un modo possibile di essere. Possibile, certo, non necessario né necessitante; un modo d’essere che, soprattutto, non è pacificante né privo di drammaticità. Lo ha raccontato la sociologa Orna Donath che, nel libro "Pentirsi di essere madri", ha raccolto testimonianze di madri “pentite” della maternità. Nello stesso anno della pubblicazione della traduzione italiana di questo libro (uscito nel 2017), Silvano Zucal pubblica "Filosofia della nascita", dove la questione del nascere e della maternità biologica che rende possibile tale azione è declinato in prossimità con il senso mirato dall’espressione “esistere come madre”. Il primo capitolo di quest’opera (destinata a restare un libro inaggirabile per chi affronta l’argomento), il cui titolo è Tornare alla nascita, risponde a due obiezioni, ossia che 1- parlare di nascita evochi un «sentimento biograficistico» destinato a sconfinare nel terreno di altre discipline, motivo per cui 2- la nascita sarebbe meno un argomento filosofico e più un terreno da bioeticisti. Tutti noi, tuttavia, viviamo da nati e, soprattutto, nati da donna che, per la nascita di un “altro”, inizia a esistere come madre. Quest’osservazione, che il libro di Zucal rende possibile, sarà il punto di avvio delle nostre riflessioni. Le pagine che seguono non hanno altro scopo da questo, ossia avviare una discussione su che cosa significhi “esistere come madre”, il che sarà svolto descrivendo – in modo inevitabilmente personale – il “fenomeno” dell’esistere come madre. Ovvero: descrivendo quello che tale esistere porta alla luce dal primo manifestarsi biologico dell’“essere in attesa di un figlio” al vivere con chi è “altro da noi”. Perciò, senza negare la realistica drammaticità delle analisi che Donath e altri propongono dell’essere madre, e soprattutto senza negare tutte le incapacità, le ferite e i fallimenti da cui nessuna “madre” è esente o “al riparo”, nulla vieta di chiedere come si esiste come madre e quali siano i caratteri, per così dire, esistenziali che, al di là della maternità biologica en tant que telle, si esprimono e manifestano nel fenomeno – o apparizione – che ogni maternità è prima ancora che sia rifiutata o che di essa ci si penta. Se rifiuto e pentimento si situano, per così “a valle”, i caratteri esistenziali della maternità si ritrovano invece “a monte”, ossia all’origine stessa del fatto che ci fa parlare di nascita e di “maternità”. Se, inoltre, la madre è anche “matrigna”, va detto che prima di diventarlo esiste come “madre”, il che accade per i tratti che caratterizzano tale esistere. Detto altrimenti, ogni madre, sia che rifiuti la maternità, sia che se ne penta o che sia matrigna, è “madre” per i medesimi tratti esistenziali.

Madri

C. Canullo
2020-01-01

Abstract

«Essere, evidentemente, scriveva Kant, non è un predicato reale, ossia non è un concetto di qualche cosa che possa aggiungersi al concetto di una cosa. Essere è semplicemente la posizione di una cosa, di certe determinazioni in se stesse. Nell’uso logico è unicamente la copula di un giudizio». Che cosa vuol dire “essere madre” stando a questo passo kantiano? Forse, semplificando, risponderemmo che in tal caso “essere madre” vuol dire che qualcuno “è” madre.Il verbo “essere”, però, come Martin Heidegger, ma anche Franz Rosenzweig e tanti autori che li hanno preceduti e seguiti hanno mostrato, non rappresenta soltanto la copula ma indica anche l’esistere. Volendo tenere insieme questi due sensi, se per un verso “essere madre” segnala una “definizione” – come nel caso in cui si dice di una donna che «è la madre di …», per altro verso – sulla scia del secondo senso del verbo essere – indica l’esistere come madre. Se dunque si è perché si esiste, il verbo “essere” del lemma “essere madre” non si limiterà a segnalare “la copula di un giudizio” ma indicherà anche un modo possibile di essere. Possibile, certo, non necessario né necessitante; un modo d’essere che, soprattutto, non è pacificante né privo di drammaticità. Lo ha raccontato la sociologa Orna Donath che, nel libro "Pentirsi di essere madri", ha raccolto testimonianze di madri “pentite” della maternità. Nello stesso anno della pubblicazione della traduzione italiana di questo libro (uscito nel 2017), Silvano Zucal pubblica "Filosofia della nascita", dove la questione del nascere e della maternità biologica che rende possibile tale azione è declinato in prossimità con il senso mirato dall’espressione “esistere come madre”. Il primo capitolo di quest’opera (destinata a restare un libro inaggirabile per chi affronta l’argomento), il cui titolo è Tornare alla nascita, risponde a due obiezioni, ossia che 1- parlare di nascita evochi un «sentimento biograficistico» destinato a sconfinare nel terreno di altre discipline, motivo per cui 2- la nascita sarebbe meno un argomento filosofico e più un terreno da bioeticisti. Tutti noi, tuttavia, viviamo da nati e, soprattutto, nati da donna che, per la nascita di un “altro”, inizia a esistere come madre. Quest’osservazione, che il libro di Zucal rende possibile, sarà il punto di avvio delle nostre riflessioni. Le pagine che seguono non hanno altro scopo da questo, ossia avviare una discussione su che cosa significhi “esistere come madre”, il che sarà svolto descrivendo – in modo inevitabilmente personale – il “fenomeno” dell’esistere come madre. Ovvero: descrivendo quello che tale esistere porta alla luce dal primo manifestarsi biologico dell’“essere in attesa di un figlio” al vivere con chi è “altro da noi”. Perciò, senza negare la realistica drammaticità delle analisi che Donath e altri propongono dell’essere madre, e soprattutto senza negare tutte le incapacità, le ferite e i fallimenti da cui nessuna “madre” è esente o “al riparo”, nulla vieta di chiedere come si esiste come madre e quali siano i caratteri, per così dire, esistenziali che, al di là della maternità biologica en tant que telle, si esprimono e manifestano nel fenomeno – o apparizione – che ogni maternità è prima ancora che sia rifiutata o che di essa ci si penta. Se rifiuto e pentimento si situano, per così “a valle”, i caratteri esistenziali della maternità si ritrovano invece “a monte”, ossia all’origine stessa del fatto che ci fa parlare di nascita e di “maternità”. Se, inoltre, la madre è anche “matrigna”, va detto che prima di diventarlo esiste come “madre”, il che accade per i tratti che caratterizzano tale esistere. Detto altrimenti, ogni madre, sia che rifiuti la maternità, sia che se ne penta o che sia matrigna, è “madre” per i medesimi tratti esistenziali.
2020
978-88-10-57202-3
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11393/266246
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