Il presente capitolo si concentra sulla situazione dell’assistenza infer-mieristica italiana a cavallo tra il XIX e il XX secolo, fino alle soglie dello scoppio della Prima Guerra Mondiale. È già ampiamente nota la difficoltà di parlare di un vero e proprio “sviluppo” ed ancor meno di una “professione” [si veda Tousijn 2000] in tale arco temporale considerato. Si ricorda brevemente che per tutto l’Ottocento ed ancora all’inizio del nuovo secolo sono numerose le voci che si sollevano per lamentare la totale inadeguatezza del personale infermieristico [cfr. Fiumi 1993, Dimonte 1995]; inoltre, la prima legge nazionale organica sull’istruzione infermieristica in Italia risale solo al 1925, il suo decreto attuativo al 1929, mentre la legge di riconoscimento statale della professione infermieristica solamente al 1954 [Tousijn 2000], in un contesto di ritardo cronico nei confronti di molto altri paesi civili [Ardissone 2013a] . Eppure, in questo periodo qualcosa si muove nella società italiana e tra gli operatori sanitari nella direzione della necessità di una maggior prepa-razione del personale dedito all’assistenza. Le tappe poco sopra enunciate non possono, infatti, essere concepite come figlie auto-generatesi, ma sono indubbiamente l’esito, l’approdo di un percorso e di un vero e proprio movimento intellettuale che getta le proprie radici in questo arco temporale per vederle successivamente fiorire in ambito sociale, politico e normativo. Il capitolo procede secondo un’architettura in quattro fasi fondamenta-li: viene anzitutto presentato lo stato dell’arte della figura assistenziale relativa all’arco temporale analizzato, esponendo le cause sottostanti alla situazione in cui essa si trovava; si esaminano dunque i principali fattori alla base del susseguente cambiamento; in terzo luogo, si studiano le varie tipologie formative battezzate tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del secolo successivo; infine, si conclude presentando i diversi modelli assistenziali presenti alle soglie della Prima Guerra Mondiale. La tesi qui riportata è che sebbene certamente non si possa ancora parlare di professione, è precisamente in questo periodo storico a cavallo tra il XIX e il XX secolo che in Italia qualcosa comincia a cambiare e che, con quel movimento culturale e quel fiorire di iniziative e scuole che sono stati ampiamente documentati in queste pagine, vengono gettate tutte le premesse di quei passi, di quel percorso che si concretizzerà a partire dagli anni Venti (con la prima norma sulla formazione infermieristica, legge n° 1832 del 1925) fino ai giorni nostri (con la creazione di percorsi universitari, della dirigenza infermieristica e, soprattutto, l’abolizione del mansionario) [cfr. Cipolla, Artioli 2003]. Si deve anche sottolineare come quel radicale mutamento e miglioramento dell’assistenza infermieristica, ritenuti urgenti fondamentalmente da tutti gli stakeholders dell’epoca, non poteva essere soddisfatta dai vecchi infermieri, ignoranti e sfruttati, i quali difendevano con forza il proprio posto di lavoro contro la volontà di licenziarli, ma non potevano certo elevare le loro capacità professionali [cfr. Calamandrei 1993: 61], né vantare alcuna capacità di incidere a livello di policy-making. In sostanza la riforma infermieristica, per il noto stato di fatto in cui questa versava, non poteva essere guidata dal proprio interno. Un rinnovamento poté provenire pertanto dalla borghesia e dall’aristocrazia, anche considerata la riluttanza da parte dello stato di in-terviene in materia. Oltre a questi, anche medici e direttori sanitari, che guardando con sincero interesse allo sviluppo della figura assistenziale in un contesto ospedaliero in profonda trasformazione, si posero alla guida della riforma, evidentemente però plasmandola a propria immagine ed utilità e contribuendo conseguentemente a formare una classe ad essa subalterna [Calamandrei 1993: 55], tra l’altro sostenuta anche da alcune delle principali anime del movimento riformatore, che andavano pacificamente affermando come «una buona infermiera è il miglior aiuto del medico» [Celli 1908: 483]. Quindi, tutti gli esperimenti di questo periodo, premessa della riforma successiva alla Grande Guerra, fu etero-guidata, cioè fu pilotata da elementi esterni all’occupazione infermieristica. Ed infatti, tutta la formazione che nacque in questo periodo fu diretta e svolta da personale medico (fatta in parte eccezione per le esperienze della Croce Azzurra e del “Regina Elena”), in un’ottica di governo e controllo istituzionale di questi sui contenuti e sulle modalità formative degli infermieri [Tousijn 2000]. È senz’altro ancora doveroso ricordare che la situazione infermieristica italiana non vedeva molte figure di particolare spicco e intelletto capaci di dirigere ed imprimere una certa traiettoria in questo campo. Tra l’altro, i medici ebbero una certa influenza anche nel processo di femminilizzazione della categoria, in quanto essi cercavano persone gentili e disponibili a prendere ordini [Bartoloni 2007: 230]. Lo scoppio della Grande Guerra avrebbe cambiato molte cose e tra que-ste avrebbe contribuito a portare a compimento la riforma sulla formazione, che per troppo tempo rimase solamente allo stato di lettera, e da lì in poi sarebbe nata un’altra storia, con battaglie, rivendicazioni e conquiste che verranno meglio documentate in altri capitoli del presente testo (si rimanda specialmente ai contributi di Baccarini, Tavormina e De Paola, Fiumi, Stievano e Rocco, Fava, Marcadelli e Stievano).

La figura dell’infermiere nel fiorire delle Scuole di infermieristica a cavallo fra Ottocento e Novecento

Alberto Ardissone
2015-01-01

Abstract

Il presente capitolo si concentra sulla situazione dell’assistenza infer-mieristica italiana a cavallo tra il XIX e il XX secolo, fino alle soglie dello scoppio della Prima Guerra Mondiale. È già ampiamente nota la difficoltà di parlare di un vero e proprio “sviluppo” ed ancor meno di una “professione” [si veda Tousijn 2000] in tale arco temporale considerato. Si ricorda brevemente che per tutto l’Ottocento ed ancora all’inizio del nuovo secolo sono numerose le voci che si sollevano per lamentare la totale inadeguatezza del personale infermieristico [cfr. Fiumi 1993, Dimonte 1995]; inoltre, la prima legge nazionale organica sull’istruzione infermieristica in Italia risale solo al 1925, il suo decreto attuativo al 1929, mentre la legge di riconoscimento statale della professione infermieristica solamente al 1954 [Tousijn 2000], in un contesto di ritardo cronico nei confronti di molto altri paesi civili [Ardissone 2013a] . Eppure, in questo periodo qualcosa si muove nella società italiana e tra gli operatori sanitari nella direzione della necessità di una maggior prepa-razione del personale dedito all’assistenza. Le tappe poco sopra enunciate non possono, infatti, essere concepite come figlie auto-generatesi, ma sono indubbiamente l’esito, l’approdo di un percorso e di un vero e proprio movimento intellettuale che getta le proprie radici in questo arco temporale per vederle successivamente fiorire in ambito sociale, politico e normativo. Il capitolo procede secondo un’architettura in quattro fasi fondamenta-li: viene anzitutto presentato lo stato dell’arte della figura assistenziale relativa all’arco temporale analizzato, esponendo le cause sottostanti alla situazione in cui essa si trovava; si esaminano dunque i principali fattori alla base del susseguente cambiamento; in terzo luogo, si studiano le varie tipologie formative battezzate tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del secolo successivo; infine, si conclude presentando i diversi modelli assistenziali presenti alle soglie della Prima Guerra Mondiale. La tesi qui riportata è che sebbene certamente non si possa ancora parlare di professione, è precisamente in questo periodo storico a cavallo tra il XIX e il XX secolo che in Italia qualcosa comincia a cambiare e che, con quel movimento culturale e quel fiorire di iniziative e scuole che sono stati ampiamente documentati in queste pagine, vengono gettate tutte le premesse di quei passi, di quel percorso che si concretizzerà a partire dagli anni Venti (con la prima norma sulla formazione infermieristica, legge n° 1832 del 1925) fino ai giorni nostri (con la creazione di percorsi universitari, della dirigenza infermieristica e, soprattutto, l’abolizione del mansionario) [cfr. Cipolla, Artioli 2003]. Si deve anche sottolineare come quel radicale mutamento e miglioramento dell’assistenza infermieristica, ritenuti urgenti fondamentalmente da tutti gli stakeholders dell’epoca, non poteva essere soddisfatta dai vecchi infermieri, ignoranti e sfruttati, i quali difendevano con forza il proprio posto di lavoro contro la volontà di licenziarli, ma non potevano certo elevare le loro capacità professionali [cfr. Calamandrei 1993: 61], né vantare alcuna capacità di incidere a livello di policy-making. In sostanza la riforma infermieristica, per il noto stato di fatto in cui questa versava, non poteva essere guidata dal proprio interno. Un rinnovamento poté provenire pertanto dalla borghesia e dall’aristocrazia, anche considerata la riluttanza da parte dello stato di in-terviene in materia. Oltre a questi, anche medici e direttori sanitari, che guardando con sincero interesse allo sviluppo della figura assistenziale in un contesto ospedaliero in profonda trasformazione, si posero alla guida della riforma, evidentemente però plasmandola a propria immagine ed utilità e contribuendo conseguentemente a formare una classe ad essa subalterna [Calamandrei 1993: 55], tra l’altro sostenuta anche da alcune delle principali anime del movimento riformatore, che andavano pacificamente affermando come «una buona infermiera è il miglior aiuto del medico» [Celli 1908: 483]. Quindi, tutti gli esperimenti di questo periodo, premessa della riforma successiva alla Grande Guerra, fu etero-guidata, cioè fu pilotata da elementi esterni all’occupazione infermieristica. Ed infatti, tutta la formazione che nacque in questo periodo fu diretta e svolta da personale medico (fatta in parte eccezione per le esperienze della Croce Azzurra e del “Regina Elena”), in un’ottica di governo e controllo istituzionale di questi sui contenuti e sulle modalità formative degli infermieri [Tousijn 2000]. È senz’altro ancora doveroso ricordare che la situazione infermieristica italiana non vedeva molte figure di particolare spicco e intelletto capaci di dirigere ed imprimere una certa traiettoria in questo campo. Tra l’altro, i medici ebbero una certa influenza anche nel processo di femminilizzazione della categoria, in quanto essi cercavano persone gentili e disponibili a prendere ordini [Bartoloni 2007: 230]. Lo scoppio della Grande Guerra avrebbe cambiato molte cose e tra que-ste avrebbe contribuito a portare a compimento la riforma sulla formazione, che per troppo tempo rimase solamente allo stato di lettera, e da lì in poi sarebbe nata un’altra storia, con battaglie, rivendicazioni e conquiste che verranno meglio documentate in altri capitoli del presente testo (si rimanda specialmente ai contributi di Baccarini, Tavormina e De Paola, Fiumi, Stievano e Rocco, Fava, Marcadelli e Stievano).
2015
978-88-917-1305-6
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