L’Italia non è un paese tradizionalmente forte nell’attrazione di investimenti esteri, ma sembra in controtendenza per quanto riguarda gli investimenti cinesi. Ciò probabilmente sia per la simile vocazione manifatturiera dei due paesi, sia per il cosiddetto “effetto Marco Polo” (Pietrobelli et al., 2011). Le imprese cinesi investono in Italia, da un lato, per avere accesso al più vasto Mercato unico europeo e dall’altro per acquisire marchi, tecnologie e competenze di design di cui è ricco il paese. L’Italia, attraverso le sue piccole e medie imprese, consente di accedere a vantaggi competitivi consolidati, fondati su un alto contenuto di creatività, innovazione e reputazione (Rosenthal, Spigarelli, 2015). Va, inoltre, considerato l’effetto di una generalizzata crescita dei flussi di investimento cinesi in Europa: con la crisi finanziaria, l’Europa è divenuta una delle destinazioni prioritarie del Go Global cinese. Nel 2017, 30 milioni di euro sono stati investiti dalla Cina in Europa, prevalentemente nei settori dei trasporti, utilities, infrastrutture, oltre che ICT e real estate/accoglienza turistica (Hanemann, Houtari, 2018). Nonostante la flessione del 17 per cento rispetto al 2016, si tratta del secondo livello massimo registrato negli ultimi anni. L’interesse per l’Italia quale target di acquisizioni o investimenti greenfield è cresciuto nel corso degli anni, come mostrano i dati recenti elaborati dalla Fondazione Italia Cina (Grafico 1). Rimane elevata la difformità della distribuzione territoriale degli investimenti stessi, che per il 79 per cento sono tuttora concentrati in cinque regioni italiane. Rispetto alle evidenti asimmetrie regionali è interessante interrogarsi sulle motivazioni di tale squilibrio, anche per derivarne alcune considerazioni di policy legate alla competitività economica e industriale e alla capacità di innovazione dei singoli territori. L’attenzione si focalizza, dunque, su quelle che possono essere considerate, da un lato, le determinanti della diversa attrattività delle regioni italiane e, dall’altro, i fattori che maggiormente stimolano le imprese cinesi nelle scelte di localizzazione in Italia. Questo tipo di interrogativo trova riscontro in letteratura: sono disponibili diverse analisi volte a studiare le determinanti della localizzazione degli IDE a livello regionale, in Italia. Gli studi esistenti evidenziano un importante ruolo degli effetti di agglomerazione per le scelte delle multinazionali straniere. Basile (2004) dimostra un effetto positivo nell’attrazione di investimenti diretti esteri dell’esistenza di imprese operanti nello stesso settore e anche di preesistenti investimenti diretti esteri. Bronzini (2007) analizza gli effetti di agglomerazione più in dettaglio, riferendosi all’impatto della specializzazione e della urbanizzazione sugli IDE. I dati fanno emergere la presenza di effetti di agglomerazione in termini di specializzazione regionale, ma non in connessione all’urbanizzazione. Anche Papalia e Bertarelli (2009) esaminano gli effetti di agglomerazione e il loro impatto sulla intensità degli IDE nelle regioni italiane. Gli autori evidenziano importanti variazioni nell’importanza relativa degli effetti di agglomerazione intra-settoriale e inter-settoriale.
Competitività delle regioni italiane e fattori di attrazione: quale impatto sulle decisioni di localizzazione delle imprese manifatturiere cinesi?
Francesca Spigarelli;RUBINI, LAURETTA;
2018-01-01
Abstract
L’Italia non è un paese tradizionalmente forte nell’attrazione di investimenti esteri, ma sembra in controtendenza per quanto riguarda gli investimenti cinesi. Ciò probabilmente sia per la simile vocazione manifatturiera dei due paesi, sia per il cosiddetto “effetto Marco Polo” (Pietrobelli et al., 2011). Le imprese cinesi investono in Italia, da un lato, per avere accesso al più vasto Mercato unico europeo e dall’altro per acquisire marchi, tecnologie e competenze di design di cui è ricco il paese. L’Italia, attraverso le sue piccole e medie imprese, consente di accedere a vantaggi competitivi consolidati, fondati su un alto contenuto di creatività, innovazione e reputazione (Rosenthal, Spigarelli, 2015). Va, inoltre, considerato l’effetto di una generalizzata crescita dei flussi di investimento cinesi in Europa: con la crisi finanziaria, l’Europa è divenuta una delle destinazioni prioritarie del Go Global cinese. Nel 2017, 30 milioni di euro sono stati investiti dalla Cina in Europa, prevalentemente nei settori dei trasporti, utilities, infrastrutture, oltre che ICT e real estate/accoglienza turistica (Hanemann, Houtari, 2018). Nonostante la flessione del 17 per cento rispetto al 2016, si tratta del secondo livello massimo registrato negli ultimi anni. L’interesse per l’Italia quale target di acquisizioni o investimenti greenfield è cresciuto nel corso degli anni, come mostrano i dati recenti elaborati dalla Fondazione Italia Cina (Grafico 1). Rimane elevata la difformità della distribuzione territoriale degli investimenti stessi, che per il 79 per cento sono tuttora concentrati in cinque regioni italiane. Rispetto alle evidenti asimmetrie regionali è interessante interrogarsi sulle motivazioni di tale squilibrio, anche per derivarne alcune considerazioni di policy legate alla competitività economica e industriale e alla capacità di innovazione dei singoli territori. L’attenzione si focalizza, dunque, su quelle che possono essere considerate, da un lato, le determinanti della diversa attrattività delle regioni italiane e, dall’altro, i fattori che maggiormente stimolano le imprese cinesi nelle scelte di localizzazione in Italia. Questo tipo di interrogativo trova riscontro in letteratura: sono disponibili diverse analisi volte a studiare le determinanti della localizzazione degli IDE a livello regionale, in Italia. Gli studi esistenti evidenziano un importante ruolo degli effetti di agglomerazione per le scelte delle multinazionali straniere. Basile (2004) dimostra un effetto positivo nell’attrazione di investimenti diretti esteri dell’esistenza di imprese operanti nello stesso settore e anche di preesistenti investimenti diretti esteri. Bronzini (2007) analizza gli effetti di agglomerazione più in dettaglio, riferendosi all’impatto della specializzazione e della urbanizzazione sugli IDE. I dati fanno emergere la presenza di effetti di agglomerazione in termini di specializzazione regionale, ma non in connessione all’urbanizzazione. Anche Papalia e Bertarelli (2009) esaminano gli effetti di agglomerazione e il loro impatto sulla intensità degli IDE nelle regioni italiane. Gli autori evidenziano importanti variazioni nell’importanza relativa degli effetti di agglomerazione intra-settoriale e inter-settoriale.File | Dimensione | Formato | |
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