Per rappresentanza esterna si intendono generalmente tre aspetti. I primi due aspetti riguardano l’esercizio del Treaty making power da parte dell’Unione e la manifestazione della posizione dell’Unione all’interno delle altre organizzazioni internazionali. Il terzo aspetto concerne il più generale coinvolgimento dell’Unione sulla scena internazionale attraverso sia dichiarazioni di natura politica sia la predisposizione di strumenti internazionali di natura essenzialmente amministrativa, diversi dagli accordi internazionali, come ad esempio i memoranda of understanding. Il Trattato di Lisbona ha notevolmente innovato l’assetto istituzionale della rappresentanza esterna dell’Unione modificando numerose disposizioni e introducendo l’Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza (AR), il Servizio europeo di azione esterna (SEAE), il Presidente del Consiglio europeo e le delegazioni dell’Unione. Le modifiche a livello istituzionale costituiscono il tentativo dei redattori dei Trattati di superare i problemi di coerenza dell’azione esterna dell’Unione, i quali hanno troppo spesso indebolito la posizione dell’Unione sulla scena internazionale. Tuttavia, la nuova disciplina è collocata in un contesto costituzionale che ancora conserva la principale causa della mancanza di coerenza dell’azione esterna: la dicotomia tra la PESC e le altre politiche esterne. In particolare, la figura dell’AR e il SEAE rappresentano un punto di raccordo tra le due persistenti anime dell’Unione: quella intergovernativa e quella sovranazionale. In questo contesto la formulazione delle disposizioni sulla rappresentanza esterna è spesso vaga e non permette una chiara delimitazione delle compiti spettanti alle istituzioni e agli organi dell’Unione. Al fine di ricostruire la disciplina in maniera organica è utile partire dall’analisi dell’art. 218 TFUE, quale criterio di coordinamento basato sulla competenza, e del principio di leale cooperazione applicato ai rapporti tra istituzioni previsto dall’art. 13.2 TUE. Il criterio contenuto nell’art. 218 TFUE richiama il test del centro di gravità elaborato dalla Corte di Giustizia per quanto riguarda la scelta della base giuridica. Nonostante la sempre più copiosa giurisprudenza della Corte a riguardo, la scelta della base giuridica, in particolare quando si tratta della PESC in combinato con altre politiche esterne, continua ad essere molto problematica. Nell’ambito della rappresentanza esterna questo aspetto è particolarmente visibile nel rapporto tra la Commissione e il SEAE o la Commissione e l’AR, in particolare all’interno delle delegazioni UE e per quanto concerne il nesso tra sicurezza e sviluppo. In questo senso è particolarmente esemplificativa la trattazione dell’attuazione degli strumenti dell’azione esterna. In una situazione di incertezza sulla delimitazione delle competenze assume un ruolo centrale la cooperazione. Obblighi di cooperazione in materia sono previsti in numerosi atti di diritto derivato, anche se non risulta chiaro di che tipo di cooperazione si tratti, quale sia il suo fondamento e quale sia la portata degli obblighi che incombono sulle istituzioni o sugli organi. Il principio di leale cooperazione ex art. 13.2 TUE è un’applicazione del più generale principio contenuto nell’art. 4.3 TUE. Nel contesto delle relazioni esterne l’art. 4.3 TUE è stato ampiamente elaborato dalla Corte di Giustizia principalmente per quanto riguarda la rappresentanza esterna dell’Unione nell’ambito degli accordi misti. Questa giurisprudenza ha portato all’individuazione degli obblighi in capo agli Stati e alle istituzioni nei differenti ambiti di competenza. Nel caso dei rapporti tra istituzioni il contenuto dell’art. 13.2 TUE è invece ancora incerto. L’analisi della prassi della rappresentanza esterna post-Lisbona mette in luce numerose tensioni inter-isituzionali, che si sono risolte o davanti alla Corte di Giustizia, spesso nell’ambito gli accordi internazionali, o in un sostanziale stallo della posizione dell’Unione all’interno delle altre organizzazioni internazionali. La prassi conferma quindi le problematiche legate alla incerta delimitazione delle competenze tra le varie istituzioni e presenta un quadro non soddisfacente o che comunque non soddisfa le alte aspettative delle riforme istituzionali. Sono tuttavia reperibili elementi utili alla ricostruzione del contenuto di strumenti giuridici potenzialmente idonei ad attenuare tali tensioni inter-istituzionali, in particolare il principio di leale cooperazione applicato ai rapporti tra istituzioni ex art. 13.2 TUE. In ultima analisi si possono inoltre svolgere alcune considerazioni sul fondamento e il contenuto della cooperazione prevista dagli strumenti di diritto derivato per ciò che concernono i rapporti tra l’AR e il SEAE, da una parte, e le istituzioni dell’Unione, in particolare la Commissione, dall’altra, alla luce del principio di leale cooperazione.

La rappresentanza esterna dell’Unione europea e il principio di leale cooperazione

SANGUINETTI, ANGELA FILOMENA
2015-01-01

Abstract

Per rappresentanza esterna si intendono generalmente tre aspetti. I primi due aspetti riguardano l’esercizio del Treaty making power da parte dell’Unione e la manifestazione della posizione dell’Unione all’interno delle altre organizzazioni internazionali. Il terzo aspetto concerne il più generale coinvolgimento dell’Unione sulla scena internazionale attraverso sia dichiarazioni di natura politica sia la predisposizione di strumenti internazionali di natura essenzialmente amministrativa, diversi dagli accordi internazionali, come ad esempio i memoranda of understanding. Il Trattato di Lisbona ha notevolmente innovato l’assetto istituzionale della rappresentanza esterna dell’Unione modificando numerose disposizioni e introducendo l’Alto Rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza (AR), il Servizio europeo di azione esterna (SEAE), il Presidente del Consiglio europeo e le delegazioni dell’Unione. Le modifiche a livello istituzionale costituiscono il tentativo dei redattori dei Trattati di superare i problemi di coerenza dell’azione esterna dell’Unione, i quali hanno troppo spesso indebolito la posizione dell’Unione sulla scena internazionale. Tuttavia, la nuova disciplina è collocata in un contesto costituzionale che ancora conserva la principale causa della mancanza di coerenza dell’azione esterna: la dicotomia tra la PESC e le altre politiche esterne. In particolare, la figura dell’AR e il SEAE rappresentano un punto di raccordo tra le due persistenti anime dell’Unione: quella intergovernativa e quella sovranazionale. In questo contesto la formulazione delle disposizioni sulla rappresentanza esterna è spesso vaga e non permette una chiara delimitazione delle compiti spettanti alle istituzioni e agli organi dell’Unione. Al fine di ricostruire la disciplina in maniera organica è utile partire dall’analisi dell’art. 218 TFUE, quale criterio di coordinamento basato sulla competenza, e del principio di leale cooperazione applicato ai rapporti tra istituzioni previsto dall’art. 13.2 TUE. Il criterio contenuto nell’art. 218 TFUE richiama il test del centro di gravità elaborato dalla Corte di Giustizia per quanto riguarda la scelta della base giuridica. Nonostante la sempre più copiosa giurisprudenza della Corte a riguardo, la scelta della base giuridica, in particolare quando si tratta della PESC in combinato con altre politiche esterne, continua ad essere molto problematica. Nell’ambito della rappresentanza esterna questo aspetto è particolarmente visibile nel rapporto tra la Commissione e il SEAE o la Commissione e l’AR, in particolare all’interno delle delegazioni UE e per quanto concerne il nesso tra sicurezza e sviluppo. In questo senso è particolarmente esemplificativa la trattazione dell’attuazione degli strumenti dell’azione esterna. In una situazione di incertezza sulla delimitazione delle competenze assume un ruolo centrale la cooperazione. Obblighi di cooperazione in materia sono previsti in numerosi atti di diritto derivato, anche se non risulta chiaro di che tipo di cooperazione si tratti, quale sia il suo fondamento e quale sia la portata degli obblighi che incombono sulle istituzioni o sugli organi. Il principio di leale cooperazione ex art. 13.2 TUE è un’applicazione del più generale principio contenuto nell’art. 4.3 TUE. Nel contesto delle relazioni esterne l’art. 4.3 TUE è stato ampiamente elaborato dalla Corte di Giustizia principalmente per quanto riguarda la rappresentanza esterna dell’Unione nell’ambito degli accordi misti. Questa giurisprudenza ha portato all’individuazione degli obblighi in capo agli Stati e alle istituzioni nei differenti ambiti di competenza. Nel caso dei rapporti tra istituzioni il contenuto dell’art. 13.2 TUE è invece ancora incerto. L’analisi della prassi della rappresentanza esterna post-Lisbona mette in luce numerose tensioni inter-isituzionali, che si sono risolte o davanti alla Corte di Giustizia, spesso nell’ambito gli accordi internazionali, o in un sostanziale stallo della posizione dell’Unione all’interno delle altre organizzazioni internazionali. La prassi conferma quindi le problematiche legate alla incerta delimitazione delle competenze tra le varie istituzioni e presenta un quadro non soddisfacente o che comunque non soddisfa le alte aspettative delle riforme istituzionali. Sono tuttavia reperibili elementi utili alla ricostruzione del contenuto di strumenti giuridici potenzialmente idonei ad attenuare tali tensioni inter-istituzionali, in particolare il principio di leale cooperazione applicato ai rapporti tra istituzioni ex art. 13.2 TUE. In ultima analisi si possono inoltre svolgere alcune considerazioni sul fondamento e il contenuto della cooperazione prevista dagli strumenti di diritto derivato per ciò che concernono i rapporti tra l’AR e il SEAE, da una parte, e le istituzioni dell’Unione, in particolare la Commissione, dall’altra, alla luce del principio di leale cooperazione.
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