l contributo ha ad oggetto la questione della disciplina dell'uso della lingua nel processo penale e la sua stretta connessione con la garanzia dei diritti . Muovendo dalla previsione dell'uso esclusivo della lingua italiana negli "affari giudiziari" civili e penali, introdotta dal r.d. n. 1796 del 1925 e consacrata dal cd codice Rocco (del 1930), anche in deroga a quanto previsto dai codici dell'età liberale, compreso il primo codice di procedura penale dell'Italia unita (del 1865), e come corollario dei caratteri dello Stato autoritario, si segnala lo "stridente contrasto" della perdurante vigenza di una simile disciplina con "il tempo annunciato della democrazia" disegnata dalla Costituzione repubblicana. Solo molti anni dopo l'entrata in vigore di quest'ultima e grazie agli interventi della Corte costituzionale, è infatti mutata la prospettiva e la questione della lingua del processo penale, intesa quale forma di manifestazione della sovranità dello Stato, si è tradotta nella questione dell'uso delle lingue nel procedimento penale in un'ottica di eguale tutela dei diritti fondamentali (in specie del diritto di difesa) in una società multiculturale e quindi multilingue. Tale nuova prospettiva - avvalorata dalla ratifica della CEDU - è stata solo in parte fatta propria dal primo codice di procedura penale dell'Italia repubblicana, cosicché si sono resi necessari ulteriori interventi della Corte costituzionale al fine di garantire un più adeguato svolgimento dei principi di tutela linguistica dello straniero nel processo penale, nell'ambito delle garanzie del cd giusto processo. E' però solo quando i principi costituzionali dell'eguale tutela del diritto fondamentale di difesa dell'imputato/indagato alloglotta si sono "incrociati" con i principi della tutela dei diritti dell'uomo e del giusto processo proclamati non solo nella CEDU, ma poi anche nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione e nelle norme europee derivate (in particolare nella direttiva 2010/64/UE), che la dimensione "garantistica" della disciplina dell'uso delle lingue nel processo penale è finalmente emersa appieno, costringendo il legislatore ad avviare un percorso che, sebbene ancora contraddistinto da lacune ed inadeguatezze, ha comunque "mutato il volto" del codice di rito.

Dalla “lingua” del processo penale all’uso processuale delle lingue

Raffaella, Niro
2016-01-01

Abstract

l contributo ha ad oggetto la questione della disciplina dell'uso della lingua nel processo penale e la sua stretta connessione con la garanzia dei diritti . Muovendo dalla previsione dell'uso esclusivo della lingua italiana negli "affari giudiziari" civili e penali, introdotta dal r.d. n. 1796 del 1925 e consacrata dal cd codice Rocco (del 1930), anche in deroga a quanto previsto dai codici dell'età liberale, compreso il primo codice di procedura penale dell'Italia unita (del 1865), e come corollario dei caratteri dello Stato autoritario, si segnala lo "stridente contrasto" della perdurante vigenza di una simile disciplina con "il tempo annunciato della democrazia" disegnata dalla Costituzione repubblicana. Solo molti anni dopo l'entrata in vigore di quest'ultima e grazie agli interventi della Corte costituzionale, è infatti mutata la prospettiva e la questione della lingua del processo penale, intesa quale forma di manifestazione della sovranità dello Stato, si è tradotta nella questione dell'uso delle lingue nel procedimento penale in un'ottica di eguale tutela dei diritti fondamentali (in specie del diritto di difesa) in una società multiculturale e quindi multilingue. Tale nuova prospettiva - avvalorata dalla ratifica della CEDU - è stata solo in parte fatta propria dal primo codice di procedura penale dell'Italia repubblicana, cosicché si sono resi necessari ulteriori interventi della Corte costituzionale al fine di garantire un più adeguato svolgimento dei principi di tutela linguistica dello straniero nel processo penale, nell'ambito delle garanzie del cd giusto processo. E' però solo quando i principi costituzionali dell'eguale tutela del diritto fondamentale di difesa dell'imputato/indagato alloglotta si sono "incrociati" con i principi della tutela dei diritti dell'uomo e del giusto processo proclamati non solo nella CEDU, ma poi anche nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione e nelle norme europee derivate (in particolare nella direttiva 2010/64/UE), che la dimensione "garantistica" della disciplina dell'uso delle lingue nel processo penale è finalmente emersa appieno, costringendo il legislatore ad avviare un percorso che, sebbene ancora contraddistinto da lacune ed inadeguatezze, ha comunque "mutato il volto" del codice di rito.
2016
978-88-921-0194-4
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