Negli studi dacostiani si è imposta e predomina l’immagine di un Da Costa che ignora la cultura, la lingua ladina in cui, per secoli, si è espressa la vita dei sefarditi iberici. Dopo aver attraversato nel corso di un tempo che potremmo definire geologico l’intera penisola iberica, il ladino, il giudeo-spagnolo, la lingua parlata dagli antenati paterni e materni di Da Costa si sarebbe in lui improvvisamente estinta. Da Costa sarebbe un sefardita spurio e del tutto cristianizzato, il quale, complici le censure, i rigori, le minacce, le persecuzioni dell’Inquisizione portoghese, ha totalmente obliato e cancellato ogni sua lingua e ogni sua cultura. Lo studio attento dell’«Exame das tradiçoẽs phariseas» mostra però l’esatto contrario. Il ladino non è soltanto nelle fonti che Da Costa ha da sempre conosciuto e utilizzato, dal «Mostrador» di Abner de Burgos (1325) alla «Biblia de Ferrara» (1553), ma è parte e sostanza della sua vita. Espressioni ladine compaiono nei discorsi di Giobbe che Da Costa – “ladinando” − conosce e cita a memoria; guidano i suoi cristallini ragionamenti a base di “se-entonçes” (“se-allora”); danno vita a un lessico misto che non è più giudeo-spagnolo, ladino, spagnolo medievale o portoghese, ma si deve definire ladino-portoghese. Il ladino interferisce persino nell’uso del verbo “vivere”, che Da Costa, del tutto inavvertitamente, ora declina secondo le coniugazioni ladino-spagnole del verbo “vivir”, ora secondo quelle portoghesi del verbo “viver”, dando poi vita a una originale coniugazione in ladino-portoghese.
Varianti ladine nel portoghese dacostiano
PROIETTI, Omero
2017-01-01
Abstract
Negli studi dacostiani si è imposta e predomina l’immagine di un Da Costa che ignora la cultura, la lingua ladina in cui, per secoli, si è espressa la vita dei sefarditi iberici. Dopo aver attraversato nel corso di un tempo che potremmo definire geologico l’intera penisola iberica, il ladino, il giudeo-spagnolo, la lingua parlata dagli antenati paterni e materni di Da Costa si sarebbe in lui improvvisamente estinta. Da Costa sarebbe un sefardita spurio e del tutto cristianizzato, il quale, complici le censure, i rigori, le minacce, le persecuzioni dell’Inquisizione portoghese, ha totalmente obliato e cancellato ogni sua lingua e ogni sua cultura. Lo studio attento dell’«Exame das tradiçoẽs phariseas» mostra però l’esatto contrario. Il ladino non è soltanto nelle fonti che Da Costa ha da sempre conosciuto e utilizzato, dal «Mostrador» di Abner de Burgos (1325) alla «Biblia de Ferrara» (1553), ma è parte e sostanza della sua vita. Espressioni ladine compaiono nei discorsi di Giobbe che Da Costa – “ladinando” − conosce e cita a memoria; guidano i suoi cristallini ragionamenti a base di “se-entonçes” (“se-allora”); danno vita a un lessico misto che non è più giudeo-spagnolo, ladino, spagnolo medievale o portoghese, ma si deve definire ladino-portoghese. Il ladino interferisce persino nell’uso del verbo “vivere”, che Da Costa, del tutto inavvertitamente, ora declina secondo le coniugazioni ladino-spagnole del verbo “vivir”, ora secondo quelle portoghesi del verbo “viver”, dando poi vita a una originale coniugazione in ladino-portoghese.File | Dimensione | Formato | |
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