Sempre più di frequente, i legislatori e i policy-makers fanno riferimento alla necessità di “aprire” i processi decisionali ai cittadini. In tale maniera, nel discorso dei rappresentanti politici, verrebbe riconosciuta ai destinatari delle norme giuridiche e delle policies la possibilità di divenire ‘co-autori’ di queste. Questa tendenza, direttamente legata agli scopi delle teorie deliberative della democrazia e agli strumenti della democrazia partecipativa, si manifesta nel ricorso alla consultazione pubblica quale strumento privilegiato nella costruzione dell’interazione tra istituzioni e società. Le norme che regolano l’utilizzo di strumenti deliberativo/partecipativi e le esperienze attuative hanno un carattere multiforme, essendo riconducibili a fonti giuridiche e documenti di vario genere (leggi ordinarie o regionali, decreti ministeriali, raccomandazioni, circolari, etc.), prodotti a diversi livelli di governo (da quello sovranazionale a quello locale, nel quadro dell’assetto costituzionale della forma di Stato territoriale e nel contesto istituzionale comunitario della c.d. ‘multilevel governance’). Lo sviluppo del presente lavoro di Tesi nasce dalla volontà di osservare e concettualizzare, mediante un’analisi delle principali tipologie di norme e interventi realizzati in tal senso (v. Cap. III, IV e V), le caratteristiche salienti dei tentativi di implementazione degli strumenti partecipativi nei processi decisionali dei vari livelli di governo. Nel condurre tale lavoro, lo sforzo dominante è stato principalmente orientato a comprendere se gli strumenti giuridici predisposti nelle norme consentono effettivamente (e non di meno efficacemente ed efficientemente) di creare condizioni ottimali per l’attivazione, la promozione e lo svolgimento delle consultazioni, e quindi del coinvolgimento dei cittadini nelle decisioni (e nelle operazioni di gestione) della cosa pubblica. Sembra importante segnalare come gli strumenti di tipo partecipativo in seno ai procedimenti di produzione di norme e policies abbiano incontrato (e incontrino), nel contesto italiano, pervicaci resistenze nell’attuazione. In particolare, le criticità si addensano intorno all’attuazione a livello statale e a livello regionale, ove la consultazione è rimasta “impantanata” nelle maglie di ben determinati aspetti degenerativi della democrazia rappresentativa, ricollegabili alla deriva partitocratica e a precise pratiche dei rappresentanti eletti (particolarmente abituati alla gestione diretta del consenso). Ne sono prova le vicende relative alla mancata attuazione delle analisi di impatto della regolamentazione (in tal senso viene offerta ricostruzione delle vicende governative e regionali, accompagnata da un case study su una sperimentazione condotta in Umbria). Si tratta di epifenomeni che non possono però costituire, da soli, una valida base di partenza per una critica alla partecipazione e verso gli strumenti di democrazia partecipativa: ciò perché il tentativo di implementare tali strumenti si è spesso realizzato sotto condizioni non ottimali, in contesti e attraverso procedure altamente esposte a effetti distorsivi (spesso determinati dalle refrattarietà proprie della cultura politica sottesa all’azione dei rappresentanti e degli amministratori, ma anche di natura fortemente operativa, per esempio nella selezione delle tecniche e degli strumenti utilizzati, etc.). Le crescenti critiche alla rappresentanza politica e alla pubblica amministrazione, seppur legittime come stimolo, non possono però scivolare in forme di banalizzazione. La crisi di fiducia rilevabile nei cittadini verso le istituzioni è un fenomeno complesso, che coinvolge elementi contestuali locali, nazionali e sovranazionali, ma difficilmente – nella maggioranza dei casi rilevabili nel contesto europeo – può dirsi scollegato dalla crisi economica che ha colpito l’economia europea e nordamericana nell’ultimo decennio. Nella sua fragilità, la democrazia ha bisogno di sviluppare istituti e strumenti giuridici “adattivi” per rispondere alle sfide che la contemporaneità pone al diritto e al costituzionalismo democratico. Gli strumenti deliberativo-partecipativi possono offrire un contributo nel rispondere a tali sfide, in primo luogo in virtù della loro capacità di connettere (di qui la portata adattiva) istituzioni e società civile, legislatori e cittadini, consentendo spazi di confronto pluralistico e orientato alla razionalizzazione dei bisogni (attraverso gli esiti della consultazione) e all’efficacia delle soluzioni (norme progettate in diretta connessione con i soggetti destinatari e con i contesti di attuazione). Essi, però, non sono solo parte di una possibile strategia di risposta alle sfide poste al costituzionalismo, ma la loro implementazione e la loro giuridicizzazione costituiscono esse stesse una sfida per il costituzionalismo: se, infatti, da un lato gli strumenti partecipativi possono essere pensati, per le ragioni dette, come una “nuova linfa” del costituzionalismo democratico, è pur vero che, per metterli concretamente a sistema, questo deve compiere uno sforzo per strutturare adeguate previsioni giuridiche che ne assicurino l’esercizio. In sostanza, il costituzionalista (o più in generale il giuspubblicista) deve chiedersi se e in quale modo l’ordinamento giuridico debba normare la partecipazione, oltrepassando il modello tradizionale della rappresentanza attraverso l’integrazione deliberativo-partecipativa. Nella prima parte del lavoro di tesi (Cap. I e II) l’attenzione si è concentrata sulla partecipazione come risposta alle sfide poste al costituzionalismo democratico, mentre nella seconda su come l’implementazione degli strumenti partecipativi sia essa stessa, tutt’ora, una sfida aperta (ciò vale a tutti i livelli di governo). Come pensare, dunque, un apporto pratico e operativo che renda le dinamiche rappresentative e amministrative capaci di riallinearsi, efficacemente e inclusivamente, con le persone e con i risultati (che dovrebbero costituire l’orizzonte delle norme e delle politiche pubbliche)? È dal livello locale che sembrano pervenire, attualmente, spunti per una risposta a questo quesito, grazie a nuove possibilità di ri-concepire (alla luce delle esperienze apprese a livello statale e soprattutto regionale) il ruolo della sperimentazione e della valutazione. Se il livello locale, infatti, aveva già mostrato timide - seppur significative - aperture verso gli strumenti partecipativi, è con il recente sviluppo di regolamenti sui beni comuni e sulla c.d. “amministrazione condivisa” che si è creato uno spazio fertile per un ripensamento - innovativo e concretamente spendibile - del ruolo della sperimentazione e della valutazione (soprattutto al fine di colmare la frattura tra istituzioni e cittadini). Il "rilancio della partecipazione" intimamente connesso alla diffusione dei regolamenti dell'amministrazione condivisa si pone, così, in un rapporto biunivoco e circolare con gli strumenti (primo tra tutti, con quello della consultazione) funzionali alla sperimentazione e alla valutazione. Dalle nuove fonti secondarie del livello locale è dunque possibile leggere l’opportunità di riconquistare la nozione originaria della sperimentazione (e di ri-elaborarla in seno alla valutazione) quale spazio flessibile e inclusivo, capace di liberare energie creative e saperi, oltre che di rendere ripetibili i modelli di azione che si rivelano, di volta in volta, i più proficui. È in questa ri-conquista e in questa ri-elaborazione che si gioca gran parte della concretizzazione di un nuovo ‘percorso dinamico’ (non solo della valutazione e della sperimentazione, ma della partecipazione stessa) capace di irradiarsi all’azione amministrativa tout court, innovando prassi, procedure e il rapporto tra amministratori/legislatori e cittadini, e catalizzando in senso cooperativo e collaborativo l’applicazione dei principi costituzionali del pluralismo, dell’uguaglianza sostanziale e della sussidiarietà.

More and more frequently legislators refer to the need to ‘open’ law making processes, promoting a new role for the citizens. In this way, the recipients of norms and policies are expected to become, in different ways, ‘co-authors’ of those regulations which they will refer to and obey. This trend has been supported by the diffusion of 'participatory' instruments in legislative processes, but seems to escape, in some cases, a scientific assessment of the costs, benefits and impacts of such innovations. The reason is to be found, often, in a overly dogmatic legal approach to these instruments (sometimes self-referential). The approach adopted in this tesi aims at subtracting ‘participatory’ instruments from the dogmatism of 'pure law' standpoint (as well as from the dynamics of political propaganda and its communicative strategies, geared exclusively toward obtaining votes and consensus). There are some questions that might be raised: can these instruments increase the effectiveness of law? How do they enable economic development and exercise of rights? What kind of resistances (oppositions, limits of applicability, etc.) do they meet? The implementation of participatory tools, in the European case, occurs frequently interconnected with the notion of 'quality of legislation' (the same notion that includes the so-called "better regulation" and "smart regulation"). Since the early 2000s, European Institutions recognize that citizens have a role to play in consultations within the law-making, for example in analysing the impact of laws, as attested by numerous institutional documents (even in direct reference to the project of consolidation of the ‘multilevel governance model’). The content of these supranational documents is particularly important to understand the role of participatory instruments in the law making of Member States and Regions. One of the trends emerging is unquestionably the ‘regionalization’. A representative example of this type of process can be offered by the Italian case. In Italy the modification of the Constitution in a regionalist direction is the result of a reform which took place in 2001. This institutional change was designed also to ensure regulatory actions that meet appropriate standards in a qualitative and participatory sense (under formal and substantial profiles), so the adoption of the regulatory impact assessment (RIA) – and more generally of participatory instruments – was to become one of the key elements in the regional law-making process. But in fact, in most of the south european regional contexts, the provision (in many cases never implemented) of tools such as impact analysis, consultation, and participatory strategies was the result of a formal (and artificial) attempt of 'Europeanisation' of the Regions, structured by a mere apportionment of legislative and administrative powers. Summarizing, the main problems emerged from the observed case studies, experimentations, laws, and public documents can be synthetized in four critical points: 1) Absence, in the political class, of an adequate legal and institutional culture of participation (the result is an attitude of indifference to the possibility of expanding the use of consultation or, whether a consultation has occurred, indifference towards the outcome of the process). 2) Tension between specialized technicians/bureaucrats and political representatives. 3) Confusion about the role of the consultation, which can be wrongly conceived as mere listening activity, rather than as a structured dialogue. The result is a weakening of the legal effectiveness of the consultation, which remains confined to the political sphere (without producing legal effects). In this case, the risk is a populist use of listening, exclusively aimed to intercept and manipulate the electoral consensus. 4) Confusion between participation and institutional information/communication activities. The first critical point highlights the need for development of a ‘culture of participation’ and this is directly connected to the second critical point detected. Probably, the skepticism of the politicians towards technicians and officials should be sought in their habit to the direct political model, where the role of elected representatives is particularly consistent. Despite this skepticism, the cases analyzed highlight the ability of technicians in favor of a ‘ductile’ opening of the proceedings. On the one hand, indeed, they know how to arrange a ‘structured dialogue’, in order to open the legislative process to the confrontation with the recipients. On the other hand, their knowledge of legislative drafting and legal order can allow that the options emerged in consulting procedures are technically impeccable and suitable for the selection operated by the Legislative Assembly. Both this aspects can contribute to a rationalization of the outcomes of the consultation, and also to search for a balance between ductility and rigidity of the procedure (essentially between its autonomy and the openness to recipients). This balance seems to be lacking, in a similar way, in the other two critical points emerged. It should be pointed out that listening, information and communication are essential elements of participation, but it should be also noted that, although necessary, these three are not sufficient to determine a true participation in the law-making process. If participatory instruments are meant to produce effects on the adoption of a legislative proposal, this erroneous overlap can become a harmful element. This because they may generate (in the recipients) expectations which are then frustrated by the mere communication of the decisions autonomously made by the legislators. Listening, information and communication must therefore be activities constantly part of law- and policy-making processes, but further steps are essential in order to achieve regulations truly responding to recipients’ needs. These four points assume a specific importance also in consideration of the fact (stressed by Heller) that «History reminds us how numerous decentralization initiatives, far from having served the cause of democracy, have led to a subordination of the power of citizens or even to the strengthening of local nepotism» . It seems clear that the insertion of participatory instruments needs to be rethought starting from the regional level, in order to create a multilevel governance able to harmonize not only institutional levels, but also the regulatory processes with the needs of society. According to Teubner, the main question that the current 'constitutional issue' should ask is «how the constitutional theory attempts to respond to the challenges that arise from the two major trends that characterize our era: privatization and globalization» . In the case of globalization, rethinking the multilevel governance on participative basis can contribute in the enhancement of the levels of government, without oppressing local and territorial realities (as bearers of their needs, cultures and conflicts). Participatory tools can produce relevant effects also in counteracting distorsions arising from the privatization of law. This phenomenon requires the enhancement of pluralism in order to oppose the dominance of the private interest of economically stronger actors on the weaker, fragile and underrepresented ones. The goal is the protection of law 1) both from particular interests (according to Habermas) and 2) from the systemic corruption (according to Luhmann). In conclusion, despite some widespread ‘side effects’, the instruments observed can offer several strengths for a concrete and expendable revision of the European multilevel governance (also providing models that allow future similar experiences to avoid the effects of the critical points described). In order to make this adjustment, participatory instruments seem therefore elements to be carefully taken into account. First of all, on the basis of their technical capability in structuring an appropriate 'transition model'. Therefore, it seems reasonable to say that these tools (when purged from their critical points and side effects) can play a leading role in structuring «a flexible model of democracy» able to guide the European multilevel governance from a dimension limited as mere «‘rhetoric’ and ‘process’» to a dimension of «‘idea’ and ‘project’ [A. Febbrajo]».

PARTECIPAZIONE E PROCESSI DECISIONALI PUBBLICI: LA SFIDA ATTUALE DEL COSTITUZIONALISMO / Pettinari, Nicola. - ELETTRONICO. - (2017).

PARTECIPAZIONE E PROCESSI DECISIONALI PUBBLICI: LA SFIDA ATTUALE DEL COSTITUZIONALISMO

PETTINARI, NICOLA
2017-01-01

Abstract

More and more frequently legislators refer to the need to ‘open’ law making processes, promoting a new role for the citizens. In this way, the recipients of norms and policies are expected to become, in different ways, ‘co-authors’ of those regulations which they will refer to and obey. This trend has been supported by the diffusion of 'participatory' instruments in legislative processes, but seems to escape, in some cases, a scientific assessment of the costs, benefits and impacts of such innovations. The reason is to be found, often, in a overly dogmatic legal approach to these instruments (sometimes self-referential). The approach adopted in this tesi aims at subtracting ‘participatory’ instruments from the dogmatism of 'pure law' standpoint (as well as from the dynamics of political propaganda and its communicative strategies, geared exclusively toward obtaining votes and consensus). There are some questions that might be raised: can these instruments increase the effectiveness of law? How do they enable economic development and exercise of rights? What kind of resistances (oppositions, limits of applicability, etc.) do they meet? The implementation of participatory tools, in the European case, occurs frequently interconnected with the notion of 'quality of legislation' (the same notion that includes the so-called "better regulation" and "smart regulation"). Since the early 2000s, European Institutions recognize that citizens have a role to play in consultations within the law-making, for example in analysing the impact of laws, as attested by numerous institutional documents (even in direct reference to the project of consolidation of the ‘multilevel governance model’). The content of these supranational documents is particularly important to understand the role of participatory instruments in the law making of Member States and Regions. One of the trends emerging is unquestionably the ‘regionalization’. A representative example of this type of process can be offered by the Italian case. In Italy the modification of the Constitution in a regionalist direction is the result of a reform which took place in 2001. This institutional change was designed also to ensure regulatory actions that meet appropriate standards in a qualitative and participatory sense (under formal and substantial profiles), so the adoption of the regulatory impact assessment (RIA) – and more generally of participatory instruments – was to become one of the key elements in the regional law-making process. But in fact, in most of the south european regional contexts, the provision (in many cases never implemented) of tools such as impact analysis, consultation, and participatory strategies was the result of a formal (and artificial) attempt of 'Europeanisation' of the Regions, structured by a mere apportionment of legislative and administrative powers. Summarizing, the main problems emerged from the observed case studies, experimentations, laws, and public documents can be synthetized in four critical points: 1) Absence, in the political class, of an adequate legal and institutional culture of participation (the result is an attitude of indifference to the possibility of expanding the use of consultation or, whether a consultation has occurred, indifference towards the outcome of the process). 2) Tension between specialized technicians/bureaucrats and political representatives. 3) Confusion about the role of the consultation, which can be wrongly conceived as mere listening activity, rather than as a structured dialogue. The result is a weakening of the legal effectiveness of the consultation, which remains confined to the political sphere (without producing legal effects). In this case, the risk is a populist use of listening, exclusively aimed to intercept and manipulate the electoral consensus. 4) Confusion between participation and institutional information/communication activities. The first critical point highlights the need for development of a ‘culture of participation’ and this is directly connected to the second critical point detected. Probably, the skepticism of the politicians towards technicians and officials should be sought in their habit to the direct political model, where the role of elected representatives is particularly consistent. Despite this skepticism, the cases analyzed highlight the ability of technicians in favor of a ‘ductile’ opening of the proceedings. On the one hand, indeed, they know how to arrange a ‘structured dialogue’, in order to open the legislative process to the confrontation with the recipients. On the other hand, their knowledge of legislative drafting and legal order can allow that the options emerged in consulting procedures are technically impeccable and suitable for the selection operated by the Legislative Assembly. Both this aspects can contribute to a rationalization of the outcomes of the consultation, and also to search for a balance between ductility and rigidity of the procedure (essentially between its autonomy and the openness to recipients). This balance seems to be lacking, in a similar way, in the other two critical points emerged. It should be pointed out that listening, information and communication are essential elements of participation, but it should be also noted that, although necessary, these three are not sufficient to determine a true participation in the law-making process. If participatory instruments are meant to produce effects on the adoption of a legislative proposal, this erroneous overlap can become a harmful element. This because they may generate (in the recipients) expectations which are then frustrated by the mere communication of the decisions autonomously made by the legislators. Listening, information and communication must therefore be activities constantly part of law- and policy-making processes, but further steps are essential in order to achieve regulations truly responding to recipients’ needs. These four points assume a specific importance also in consideration of the fact (stressed by Heller) that «History reminds us how numerous decentralization initiatives, far from having served the cause of democracy, have led to a subordination of the power of citizens or even to the strengthening of local nepotism» . It seems clear that the insertion of participatory instruments needs to be rethought starting from the regional level, in order to create a multilevel governance able to harmonize not only institutional levels, but also the regulatory processes with the needs of society. According to Teubner, the main question that the current 'constitutional issue' should ask is «how the constitutional theory attempts to respond to the challenges that arise from the two major trends that characterize our era: privatization and globalization» . In the case of globalization, rethinking the multilevel governance on participative basis can contribute in the enhancement of the levels of government, without oppressing local and territorial realities (as bearers of their needs, cultures and conflicts). Participatory tools can produce relevant effects also in counteracting distorsions arising from the privatization of law. This phenomenon requires the enhancement of pluralism in order to oppose the dominance of the private interest of economically stronger actors on the weaker, fragile and underrepresented ones. The goal is the protection of law 1) both from particular interests (according to Habermas) and 2) from the systemic corruption (according to Luhmann). In conclusion, despite some widespread ‘side effects’, the instruments observed can offer several strengths for a concrete and expendable revision of the European multilevel governance (also providing models that allow future similar experiences to avoid the effects of the critical points described). In order to make this adjustment, participatory instruments seem therefore elements to be carefully taken into account. First of all, on the basis of their technical capability in structuring an appropriate 'transition model'. Therefore, it seems reasonable to say that these tools (when purged from their critical points and side effects) can play a leading role in structuring «a flexible model of democracy» able to guide the European multilevel governance from a dimension limited as mere «‘rhetoric’ and ‘process’» to a dimension of «‘idea’ and ‘project’ [A. Febbrajo]».
2017
29
EMSS
Sempre più di frequente, i legislatori e i policy-makers fanno riferimento alla necessità di “aprire” i processi decisionali ai cittadini. In tale maniera, nel discorso dei rappresentanti politici, verrebbe riconosciuta ai destinatari delle norme giuridiche e delle policies la possibilità di divenire ‘co-autori’ di queste. Questa tendenza, direttamente legata agli scopi delle teorie deliberative della democrazia e agli strumenti della democrazia partecipativa, si manifesta nel ricorso alla consultazione pubblica quale strumento privilegiato nella costruzione dell’interazione tra istituzioni e società. Le norme che regolano l’utilizzo di strumenti deliberativo/partecipativi e le esperienze attuative hanno un carattere multiforme, essendo riconducibili a fonti giuridiche e documenti di vario genere (leggi ordinarie o regionali, decreti ministeriali, raccomandazioni, circolari, etc.), prodotti a diversi livelli di governo (da quello sovranazionale a quello locale, nel quadro dell’assetto costituzionale della forma di Stato territoriale e nel contesto istituzionale comunitario della c.d. ‘multilevel governance’). Lo sviluppo del presente lavoro di Tesi nasce dalla volontà di osservare e concettualizzare, mediante un’analisi delle principali tipologie di norme e interventi realizzati in tal senso (v. Cap. III, IV e V), le caratteristiche salienti dei tentativi di implementazione degli strumenti partecipativi nei processi decisionali dei vari livelli di governo. Nel condurre tale lavoro, lo sforzo dominante è stato principalmente orientato a comprendere se gli strumenti giuridici predisposti nelle norme consentono effettivamente (e non di meno efficacemente ed efficientemente) di creare condizioni ottimali per l’attivazione, la promozione e lo svolgimento delle consultazioni, e quindi del coinvolgimento dei cittadini nelle decisioni (e nelle operazioni di gestione) della cosa pubblica. Sembra importante segnalare come gli strumenti di tipo partecipativo in seno ai procedimenti di produzione di norme e policies abbiano incontrato (e incontrino), nel contesto italiano, pervicaci resistenze nell’attuazione. In particolare, le criticità si addensano intorno all’attuazione a livello statale e a livello regionale, ove la consultazione è rimasta “impantanata” nelle maglie di ben determinati aspetti degenerativi della democrazia rappresentativa, ricollegabili alla deriva partitocratica e a precise pratiche dei rappresentanti eletti (particolarmente abituati alla gestione diretta del consenso). Ne sono prova le vicende relative alla mancata attuazione delle analisi di impatto della regolamentazione (in tal senso viene offerta ricostruzione delle vicende governative e regionali, accompagnata da un case study su una sperimentazione condotta in Umbria). Si tratta di epifenomeni che non possono però costituire, da soli, una valida base di partenza per una critica alla partecipazione e verso gli strumenti di democrazia partecipativa: ciò perché il tentativo di implementare tali strumenti si è spesso realizzato sotto condizioni non ottimali, in contesti e attraverso procedure altamente esposte a effetti distorsivi (spesso determinati dalle refrattarietà proprie della cultura politica sottesa all’azione dei rappresentanti e degli amministratori, ma anche di natura fortemente operativa, per esempio nella selezione delle tecniche e degli strumenti utilizzati, etc.). Le crescenti critiche alla rappresentanza politica e alla pubblica amministrazione, seppur legittime come stimolo, non possono però scivolare in forme di banalizzazione. La crisi di fiducia rilevabile nei cittadini verso le istituzioni è un fenomeno complesso, che coinvolge elementi contestuali locali, nazionali e sovranazionali, ma difficilmente – nella maggioranza dei casi rilevabili nel contesto europeo – può dirsi scollegato dalla crisi economica che ha colpito l’economia europea e nordamericana nell’ultimo decennio. Nella sua fragilità, la democrazia ha bisogno di sviluppare istituti e strumenti giuridici “adattivi” per rispondere alle sfide che la contemporaneità pone al diritto e al costituzionalismo democratico. Gli strumenti deliberativo-partecipativi possono offrire un contributo nel rispondere a tali sfide, in primo luogo in virtù della loro capacità di connettere (di qui la portata adattiva) istituzioni e società civile, legislatori e cittadini, consentendo spazi di confronto pluralistico e orientato alla razionalizzazione dei bisogni (attraverso gli esiti della consultazione) e all’efficacia delle soluzioni (norme progettate in diretta connessione con i soggetti destinatari e con i contesti di attuazione). Essi, però, non sono solo parte di una possibile strategia di risposta alle sfide poste al costituzionalismo, ma la loro implementazione e la loro giuridicizzazione costituiscono esse stesse una sfida per il costituzionalismo: se, infatti, da un lato gli strumenti partecipativi possono essere pensati, per le ragioni dette, come una “nuova linfa” del costituzionalismo democratico, è pur vero che, per metterli concretamente a sistema, questo deve compiere uno sforzo per strutturare adeguate previsioni giuridiche che ne assicurino l’esercizio. In sostanza, il costituzionalista (o più in generale il giuspubblicista) deve chiedersi se e in quale modo l’ordinamento giuridico debba normare la partecipazione, oltrepassando il modello tradizionale della rappresentanza attraverso l’integrazione deliberativo-partecipativa. Nella prima parte del lavoro di tesi (Cap. I e II) l’attenzione si è concentrata sulla partecipazione come risposta alle sfide poste al costituzionalismo democratico, mentre nella seconda su come l’implementazione degli strumenti partecipativi sia essa stessa, tutt’ora, una sfida aperta (ciò vale a tutti i livelli di governo). Come pensare, dunque, un apporto pratico e operativo che renda le dinamiche rappresentative e amministrative capaci di riallinearsi, efficacemente e inclusivamente, con le persone e con i risultati (che dovrebbero costituire l’orizzonte delle norme e delle politiche pubbliche)? È dal livello locale che sembrano pervenire, attualmente, spunti per una risposta a questo quesito, grazie a nuove possibilità di ri-concepire (alla luce delle esperienze apprese a livello statale e soprattutto regionale) il ruolo della sperimentazione e della valutazione. Se il livello locale, infatti, aveva già mostrato timide - seppur significative - aperture verso gli strumenti partecipativi, è con il recente sviluppo di regolamenti sui beni comuni e sulla c.d. “amministrazione condivisa” che si è creato uno spazio fertile per un ripensamento - innovativo e concretamente spendibile - del ruolo della sperimentazione e della valutazione (soprattutto al fine di colmare la frattura tra istituzioni e cittadini). Il "rilancio della partecipazione" intimamente connesso alla diffusione dei regolamenti dell'amministrazione condivisa si pone, così, in un rapporto biunivoco e circolare con gli strumenti (primo tra tutti, con quello della consultazione) funzionali alla sperimentazione e alla valutazione. Dalle nuove fonti secondarie del livello locale è dunque possibile leggere l’opportunità di riconquistare la nozione originaria della sperimentazione (e di ri-elaborarla in seno alla valutazione) quale spazio flessibile e inclusivo, capace di liberare energie creative e saperi, oltre che di rendere ripetibili i modelli di azione che si rivelano, di volta in volta, i più proficui. È in questa ri-conquista e in questa ri-elaborazione che si gioca gran parte della concretizzazione di un nuovo ‘percorso dinamico’ (non solo della valutazione e della sperimentazione, ma della partecipazione stessa) capace di irradiarsi all’azione amministrativa tout court, innovando prassi, procedure e il rapporto tra amministratori/legislatori e cittadini, e catalizzando in senso cooperativo e collaborativo l’applicazione dei principi costituzionali del pluralismo, dell’uguaglianza sostanziale e della sussidiarietà.
File in questo prodotto:
File Dimensione Formato  
TESI NICOLA PETTINARI XXIX CICLO.pdf

accesso aperto

Descrizione: TESI DI DOTTORATO
Tipologia: Documento in post-print (versione successiva alla peer review e accettata per la pubblicazione)
Licenza: DRM non definito
Dimensione 2.25 MB
Formato Adobe PDF
2.25 MB Adobe PDF Visualizza/Apri

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11393/239796
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact