Questo lavoro di ricerca nasce dall’interesse per il tema dell’internamento dei civili messo in opera dal fascismo durante il secondo conflitto mondiale e intende studiare, nello specifico, l’internamento delle donne, analizzando il caso di studio dei sette campi femminili gestiti dal ministero dell’Interno e attivi in Italia fra il 1940 e il 1943: i campi di Treia, Petriolo e Pollenza, in provincia di Macerata, nelle Marche, il campo di Lanciano, in provincia di Chieti, in Abruzzo, i campi di Vinchiaturo e Casacalenda, in provincia di Campobasso, nel Molise, e il campo di Solofra, in provincia di Avellino, in Campania. La tesi si pone il duplice obiettivo di ricostruire la storia di queste sette strutture e di realizzare una schedatura di tutte le internate che vi sono transitate, per cercare di gettare nuova luce sul fenomeno dell’internamento civile fascista, adottando un punto di vista alternativo e inedito, esaminando vicende e personaggi che, in larga parte, non hanno ancora beneficiato di analisi e ricostruzione storica. La tesi è divisa in quattro parti e si apre con un primo capitolo dedicato al contesto storiografico in cui si tratteggiano i motivi del ritardo nello sviluppo di una storiografia sull’internamento, con spunti comparativi in relazione alle altre storiografie nazionali. Il capitolo, dopo un primo paragrafo legato alla memoria del passato fascista e alle rimozioni che l’hanno caratterizzata, procede analizzando gli altri motivi di ritardo, raggruppati intorno ai problemi della centralità del momento resistenziale e della sovrapposizione fra internamento e confino, della frammentazione documentaria e del rapporto con la storiografia sulla Shoah. Questo capitolo ripercorre poi le le fasi dello sviluppo degli studi sull’internamento, dalla seconda metà degli anni ’40 ai giorni nostri, analizzando tutti i principali contributi che la storiografia italiana e internazionale hanno dedicato all’argomento, seguendo tendenzialmente un criterio cronologico ma, in alcuni casi, cedendo il passo a raggruppamenti di tipo tematico o per autore, soprattutto a partire dagli anni ’90, quando i contributi dedicati all’argomento hanno cominciato a moltiplicarsi. Il secondo capitolo ricostruisce la storia dell’internamento civile fascista seguendo, anche in questo caso, un criterio cronologico e mettendolo in relazione con gli sviluppi del conflitto e la situazione internazionale, ripercorrendo l’evoluzione della normativa a partire dalla fine degli anni venti del Novecento, fino agli sviluppi successivi all’armistizio e al termine della guerra. Questo capitolo, attraverso il dipanarsi delle disposizioni diramate in materia di internamento, si pone l’obiettivo di ricostruirne la storia nel suo insieme, evitando divisioni in rapporto alle diverse categorie di internati, per tentare di costruire una narrazione in grado di restituire la complessità di un fenomeno che vede intrecciarsi questioni di politica estera, interna, pubblica sicurezza, stato d’emergenza, normativa bellica e politica razziale. Il terzo capitolo, il più lungo, costituisce il cuore della tesi e si pone l’obiettivo di ricostruire le storie dei sette campi femminili descrivendo le strutture, il loro funzionamento, le modalità di gestione, la vita materiale delle internate al loro interno, le funzioni e il ruolo dei questori, degli ispettori di zona, dei direttori, delle direttrici, del personale di guardia e di tutti quanti, a vario titolo, hanno avuto a che fare con i campi e le donne che vi erano internate, dal personale di servizio ai fornitori, dai commercianti alla cittadinanza che ha interagito e convissuto per tre anni con queste sette strutture e le loro numerose abitanti. La ricostruzione si sofferma dunque in particolare sull’analisi delle dinamiche interne, dell’impatto all’interno dei microcosmi economici e sociali delle comunità locali, dei rapporti con l’autorità nelle sue articolazioni centrali e periferiche, dell’attività di tutela delle internate da parte degli organismi internazionali, dei rapporti fra le internate in relazione ai diversi gruppi di appartenenza e delle loro interazioni con il personale in servizio e con la popolazione civile. In questo capitolo la materia è suddivisa secondo un criterio, innanzitutto geografico – articolata su base provinciale e poi focalizzando sulle singole strutture attive nel territorio di ogni provincia presa in considerazione – e poi cronologico, partendo dai lavori di ricerca per l’individuazione delle strutture idonee all’internamento in ogni singola provincia e poi ricostruendo la storia delle strutture dall’apertura dei campi fino alla loro chiusura, adottando la periodizzazione 1940-1943 ma proseguendo anche oltre, fino ai primi mesi del 1944, laddove l’attività di internamento è proseguita e si è riconfigurata secondo le nuove direttive della Rsi, vale a dire nei campi più settentrionali, nel caso specifico quelli del Maceratese, e soprattutto laddove e fintantoché la disponibilità di documenti lo ha consentito. La sezione relativa alla provincia di Macerata è in effetti la più cospicua riguardando non solo un numero maggiore di campi – per altro i più popolati dei sette presi in considerazione dalla ricerca – ma anche un lasso di tempo più ampio, trattandosi di campi liberati più tardivamente rispetto agli altri: ben nove mesi più tardi rispetto alle province di Avellino e Campobasso. Le strutture maceratesi hanno subito dunque la fase di passaggio tra fascismo monarchico e quello repubblicano e quindi gli effetti della svolta in merito alla politica razziale del fascismo e al nuovo ruolo dell’alleato tedesco nella penisola, che si è cercato di ricostruire sulla base della più scarsa, ma comunque esistente, documentazione disponibile, scrivendo brevemente anche sul campo di Sforzacosta, dove furono trasferiti gli internati della provincia rastrellati dai campi o dalle località di internamento dopo l’armistizio, per poi essere trasferiti nel campo di Fossoli per la successiva deportazione. Ogni contesto provinciale è introdotto da un paragrafo che ricostruisce sinteticamente la situazione della provincia in merito alla presenza di campi e località di internamento, seguendone la storia dalla dichiarazione di guerra alla liberazione del territorio provinciale da parte delle truppe alleate e quindi fino alla chiusura delle strutture e delle ultime pratiche relative all’internamento in quella zona, o almeno fino al punto in cui i documenti consentono di seguirne lo svolgimento, focalizzando sul ruolo e sull’attività dei funzionari localmente coinvolti nella gestione del servizio internati, a partire dall’ispettore di zona, dal prefetto, dal questore e dal personale di prefettura incaricato di funzioni di grande impatto sulla vita delle internate, quali la censura della posta o la vigilanza sulle loro condizioni di vita. Il quarto e ultimo capitolo propone una schedatura analitica delle internate che transitarono per queste strutture, analizzando la popolazione dei campi e la sua composizione in relazione alle diverse categorie di internate, alla nazionalità, allo stato civile, alla professione, alla “razza” e al colore politico. È stato così possibile individuare e schedare 699 internate partendo dagli elenchi delle presenze redatti dai direttori dei campi, integrati, per sopperire alle numerose lacune, con i nominativi intercettati nel corso dell’analisi della documentazione relativa all’amministrazione dei campi e alla loro gestione contabile, integrando e completando i dati con i fascicoli personali delle internate, laddove disponibili, cercando in particolare, oltre all’anagrafica, alla nazionalità e alla “razza”, ulteriori circostanze che possano aver determinato l’internamento, per chiarire meglio la motivazione alla base del provvedimento e quindi cercare di capire chi e per quale ragione sia stata considerata dal fascismo «pericolosa nelle contingenze belliche».

Fiori di campo. Storie di internamento femminile nell’Italia fascista (1940-1943)

SOLDINI, MATTEO
2017-01-01

Abstract

Questo lavoro di ricerca nasce dall’interesse per il tema dell’internamento dei civili messo in opera dal fascismo durante il secondo conflitto mondiale e intende studiare, nello specifico, l’internamento delle donne, analizzando il caso di studio dei sette campi femminili gestiti dal ministero dell’Interno e attivi in Italia fra il 1940 e il 1943: i campi di Treia, Petriolo e Pollenza, in provincia di Macerata, nelle Marche, il campo di Lanciano, in provincia di Chieti, in Abruzzo, i campi di Vinchiaturo e Casacalenda, in provincia di Campobasso, nel Molise, e il campo di Solofra, in provincia di Avellino, in Campania. La tesi si pone il duplice obiettivo di ricostruire la storia di queste sette strutture e di realizzare una schedatura di tutte le internate che vi sono transitate, per cercare di gettare nuova luce sul fenomeno dell’internamento civile fascista, adottando un punto di vista alternativo e inedito, esaminando vicende e personaggi che, in larga parte, non hanno ancora beneficiato di analisi e ricostruzione storica. La tesi è divisa in quattro parti e si apre con un primo capitolo dedicato al contesto storiografico in cui si tratteggiano i motivi del ritardo nello sviluppo di una storiografia sull’internamento, con spunti comparativi in relazione alle altre storiografie nazionali. Il capitolo, dopo un primo paragrafo legato alla memoria del passato fascista e alle rimozioni che l’hanno caratterizzata, procede analizzando gli altri motivi di ritardo, raggruppati intorno ai problemi della centralità del momento resistenziale e della sovrapposizione fra internamento e confino, della frammentazione documentaria e del rapporto con la storiografia sulla Shoah. Questo capitolo ripercorre poi le le fasi dello sviluppo degli studi sull’internamento, dalla seconda metà degli anni ’40 ai giorni nostri, analizzando tutti i principali contributi che la storiografia italiana e internazionale hanno dedicato all’argomento, seguendo tendenzialmente un criterio cronologico ma, in alcuni casi, cedendo il passo a raggruppamenti di tipo tematico o per autore, soprattutto a partire dagli anni ’90, quando i contributi dedicati all’argomento hanno cominciato a moltiplicarsi. Il secondo capitolo ricostruisce la storia dell’internamento civile fascista seguendo, anche in questo caso, un criterio cronologico e mettendolo in relazione con gli sviluppi del conflitto e la situazione internazionale, ripercorrendo l’evoluzione della normativa a partire dalla fine degli anni venti del Novecento, fino agli sviluppi successivi all’armistizio e al termine della guerra. Questo capitolo, attraverso il dipanarsi delle disposizioni diramate in materia di internamento, si pone l’obiettivo di ricostruirne la storia nel suo insieme, evitando divisioni in rapporto alle diverse categorie di internati, per tentare di costruire una narrazione in grado di restituire la complessità di un fenomeno che vede intrecciarsi questioni di politica estera, interna, pubblica sicurezza, stato d’emergenza, normativa bellica e politica razziale. Il terzo capitolo, il più lungo, costituisce il cuore della tesi e si pone l’obiettivo di ricostruire le storie dei sette campi femminili descrivendo le strutture, il loro funzionamento, le modalità di gestione, la vita materiale delle internate al loro interno, le funzioni e il ruolo dei questori, degli ispettori di zona, dei direttori, delle direttrici, del personale di guardia e di tutti quanti, a vario titolo, hanno avuto a che fare con i campi e le donne che vi erano internate, dal personale di servizio ai fornitori, dai commercianti alla cittadinanza che ha interagito e convissuto per tre anni con queste sette strutture e le loro numerose abitanti. La ricostruzione si sofferma dunque in particolare sull’analisi delle dinamiche interne, dell’impatto all’interno dei microcosmi economici e sociali delle comunità locali, dei rapporti con l’autorità nelle sue articolazioni centrali e periferiche, dell’attività di tutela delle internate da parte degli organismi internazionali, dei rapporti fra le internate in relazione ai diversi gruppi di appartenenza e delle loro interazioni con il personale in servizio e con la popolazione civile. In questo capitolo la materia è suddivisa secondo un criterio, innanzitutto geografico – articolata su base provinciale e poi focalizzando sulle singole strutture attive nel territorio di ogni provincia presa in considerazione – e poi cronologico, partendo dai lavori di ricerca per l’individuazione delle strutture idonee all’internamento in ogni singola provincia e poi ricostruendo la storia delle strutture dall’apertura dei campi fino alla loro chiusura, adottando la periodizzazione 1940-1943 ma proseguendo anche oltre, fino ai primi mesi del 1944, laddove l’attività di internamento è proseguita e si è riconfigurata secondo le nuove direttive della Rsi, vale a dire nei campi più settentrionali, nel caso specifico quelli del Maceratese, e soprattutto laddove e fintantoché la disponibilità di documenti lo ha consentito. La sezione relativa alla provincia di Macerata è in effetti la più cospicua riguardando non solo un numero maggiore di campi – per altro i più popolati dei sette presi in considerazione dalla ricerca – ma anche un lasso di tempo più ampio, trattandosi di campi liberati più tardivamente rispetto agli altri: ben nove mesi più tardi rispetto alle province di Avellino e Campobasso. Le strutture maceratesi hanno subito dunque la fase di passaggio tra fascismo monarchico e quello repubblicano e quindi gli effetti della svolta in merito alla politica razziale del fascismo e al nuovo ruolo dell’alleato tedesco nella penisola, che si è cercato di ricostruire sulla base della più scarsa, ma comunque esistente, documentazione disponibile, scrivendo brevemente anche sul campo di Sforzacosta, dove furono trasferiti gli internati della provincia rastrellati dai campi o dalle località di internamento dopo l’armistizio, per poi essere trasferiti nel campo di Fossoli per la successiva deportazione. Ogni contesto provinciale è introdotto da un paragrafo che ricostruisce sinteticamente la situazione della provincia in merito alla presenza di campi e località di internamento, seguendone la storia dalla dichiarazione di guerra alla liberazione del territorio provinciale da parte delle truppe alleate e quindi fino alla chiusura delle strutture e delle ultime pratiche relative all’internamento in quella zona, o almeno fino al punto in cui i documenti consentono di seguirne lo svolgimento, focalizzando sul ruolo e sull’attività dei funzionari localmente coinvolti nella gestione del servizio internati, a partire dall’ispettore di zona, dal prefetto, dal questore e dal personale di prefettura incaricato di funzioni di grande impatto sulla vita delle internate, quali la censura della posta o la vigilanza sulle loro condizioni di vita. Il quarto e ultimo capitolo propone una schedatura analitica delle internate che transitarono per queste strutture, analizzando la popolazione dei campi e la sua composizione in relazione alle diverse categorie di internate, alla nazionalità, allo stato civile, alla professione, alla “razza” e al colore politico. È stato così possibile individuare e schedare 699 internate partendo dagli elenchi delle presenze redatti dai direttori dei campi, integrati, per sopperire alle numerose lacune, con i nominativi intercettati nel corso dell’analisi della documentazione relativa all’amministrazione dei campi e alla loro gestione contabile, integrando e completando i dati con i fascicoli personali delle internate, laddove disponibili, cercando in particolare, oltre all’anagrafica, alla nazionalità e alla “razza”, ulteriori circostanze che possano aver determinato l’internamento, per chiarire meglio la motivazione alla base del provvedimento e quindi cercare di capire chi e per quale ragione sia stata considerata dal fascismo «pericolosa nelle contingenze belliche».
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