Il simbolismo religioso oggigiorno costituisce un argomento di grande interesse per gli ecclesiasticisti, ma anche per gli studiosi delle varie branche del diritto e non solo, in quanto abbraccia delle problematiche “umane”, relazionali, politiche, economiche, amministrative e giurisprudenziali riguardanti la società nel suo più ampio aspetto. Il simbolo religioso può essere un oggetto, un capo di vestiario, o anche una prassi, un comportamento che in astratto o in concreto viene direttamente collegato ad una determinata confessione fideistica. Attraverso una sorta di “trasfigurazione simbolica”, un singolo o una collettività si riconoscono, con più o meno intensità, in “quella” immagine sacra, assumendola come elemento della propria personalità e socialità, come terreno delle proprie radici storico – culturali; la stessa crea un legame tra soggetti che si accomunano per avere una stessa credenza, che va protetta e riservata. Il simbolo religioso, al tempo stesso, è anche generatore di conflitti, perché se da un lato unisce coloro che in quel simbolo si identificano, dall’altro separa ed allontana chi non ci si rispecchia, chi ha altri simboli “da mostrare”, chi non ne ha, creando forti tensioni sociali e dando vita a quella che è diventata una vera e propria “guerra” al simbolo e del simbolo. I dibattiti maggiormente sollevati rispetto ai simboli religiosi riguardano, ovviamente, l’esibizione degli stessi negli spazi pubblici, poiché tale esposizione sembrerebbe causare una violazione della libertà religiosa di chi non “riconosce” come proprio “quel” simbolo, nonché del principio di laicità dello Stato. È innegabile che tale argomento inneschi contraddizioni interpretative ed ideologiche all’interno dei moderni ordinamenti, poiché gli atteggiamenti “laici” rispetto al diritto di libertà religiosa possono essere completamente differenti. A tal fine vengono rappresentante nel lavoro di ricerca alcune tra le principali sentenze che riguardano l’ostensione di determinati simboli ed il conseguente bilanciamento con i principi giuridici e culturali dell’ordinamento di riferimento. Casi tipici sono le controversie sorte in Italia, Francia, Svizzera, Turchia, in alcuni casi sfociati innanzi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la quale modella il proprio modus operandi a seconda del contesto nazionale, storico e culturale. In Italia, ad esempio, è emblematica la querelle dell’esposizione del crocifisso, in particolar modo nelle scuole pubbliche, nelle aule giudiziarie e nei seggi elettorali, ma sono state affrontate anche questioni inerenti al velo islamico e ad ulteriori simboli religiosi legati a confessioni che maggiormente ricoprono un ruolo importante all’interno delle società contemporanee. La seconda parte del lavoro di tesi è orienta ad uno studio potremmo dire “dinamico” del fattore religioso e del suo essere presenza all’interno della comunità. Il simbolo religioso è lo strumento che la confessione utilizza per comunicare ed “arrivare” ai propri fedeli. Da questo assunto, la scrivente ha svolto uno studio sulla semiotica del segno in generale, per poi giungere a quello religioso, costatando come il significato dello stesso possa mutare a seconda dell’ambito sociale ed etnico, ma anche a seconda della persona che ne è il destinatario. Ci si è poi soffermati sulle modalità di comunicazione sociale della Chiesa Cattolica in Italia, in quanto religione di maggioranza, evitando polemiche e problematiche legate al dato che la stessa, indiscutibilmente per storia e cultura, “occupi” molto spazio, anche rispetto ad altre confessioni, nell’ambito dei mass media. Sulla scia argomentativa dei “messaggi” religiosi, obbligatoria è stata una riflessione sulla libertà di espressione, in particolare la satira ed i suoi relativi (ed eventuali) limiti in ambito confessionale. È importante comprendere che anche nell’elaborare un paradosso o una vignetta, occorre operare nella conoscenza dell’altro, poiché in alcuni casi l’ignoranza su determinati principi e credenze, potrebbe provocare gravi offese al sentimento religioso e dunque alla persona che si indentifica in esso. I simboli, dunque, sono parte integrante delle fedi e delle relative pratiche, pertanto anche di colui che “crede”, al punto da plasmare l’identità di esso in ogni aspetto della vita quotidiana. Il trasmigrare dal mero piano spirituale all’ambito sociale conduce i simboli religiosi ad “invadere” addirittura la sfera economica, rilevando la capacità degli stessi di influenzare l’agire del soggetto che è, contemporaneamente, uomo e fedele. Interessante, infatti, è apparso analizzare l’interazione tra marketing e religione, con particolare attenzione all’utilizzo dei simboli religiosi all’interno delle campagne pubblicitarie, nonché nelle operazioni di tipo commerciale come l’acquisto di determinati prodotti. Dallo studio effettuato si evidenzia come i simboli religiosi non siano più di esclusivo dominio delle confessioni religiose, gli stessi infatti vengono spessi utilizzati come strumenti dotati di credibilità per attirare il cliente, spingendolo ad acquistare prodotti che rispecchino la loro religiosità e gli diano modo di essere maggiormente “obbediente” ai precetti religiosi, come nel particolare caso dell’alimentazione. Riguardo al lavoro di ricerca svolto, si è giunti alla conclusione che una società nell’affrontare il suo status di “multiculturale”, deve essere capace di individuare e tutelare le differenze tra le culture e le religioni che vi coabitano. È necessario che gli ordinamenti, anche con la collaborazione delle confessioni religiose stesse, elaborino e concretizzino strumenti atti a far conoscere e rispettare le differenti etnie ed i simboli rappresentativi delle stesse, a gestirne le relative controversie e a creare una concreta integrazione nei vari aspetti della vita sociale, giuridica ed economica.

SIMBOLI, COMUNICAZIONE E MARKETING RELIGIOSO

ARCOPINTO, ANTONELLA
2017-01-01

Abstract

Il simbolismo religioso oggigiorno costituisce un argomento di grande interesse per gli ecclesiasticisti, ma anche per gli studiosi delle varie branche del diritto e non solo, in quanto abbraccia delle problematiche “umane”, relazionali, politiche, economiche, amministrative e giurisprudenziali riguardanti la società nel suo più ampio aspetto. Il simbolo religioso può essere un oggetto, un capo di vestiario, o anche una prassi, un comportamento che in astratto o in concreto viene direttamente collegato ad una determinata confessione fideistica. Attraverso una sorta di “trasfigurazione simbolica”, un singolo o una collettività si riconoscono, con più o meno intensità, in “quella” immagine sacra, assumendola come elemento della propria personalità e socialità, come terreno delle proprie radici storico – culturali; la stessa crea un legame tra soggetti che si accomunano per avere una stessa credenza, che va protetta e riservata. Il simbolo religioso, al tempo stesso, è anche generatore di conflitti, perché se da un lato unisce coloro che in quel simbolo si identificano, dall’altro separa ed allontana chi non ci si rispecchia, chi ha altri simboli “da mostrare”, chi non ne ha, creando forti tensioni sociali e dando vita a quella che è diventata una vera e propria “guerra” al simbolo e del simbolo. I dibattiti maggiormente sollevati rispetto ai simboli religiosi riguardano, ovviamente, l’esibizione degli stessi negli spazi pubblici, poiché tale esposizione sembrerebbe causare una violazione della libertà religiosa di chi non “riconosce” come proprio “quel” simbolo, nonché del principio di laicità dello Stato. È innegabile che tale argomento inneschi contraddizioni interpretative ed ideologiche all’interno dei moderni ordinamenti, poiché gli atteggiamenti “laici” rispetto al diritto di libertà religiosa possono essere completamente differenti. A tal fine vengono rappresentante nel lavoro di ricerca alcune tra le principali sentenze che riguardano l’ostensione di determinati simboli ed il conseguente bilanciamento con i principi giuridici e culturali dell’ordinamento di riferimento. Casi tipici sono le controversie sorte in Italia, Francia, Svizzera, Turchia, in alcuni casi sfociati innanzi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la quale modella il proprio modus operandi a seconda del contesto nazionale, storico e culturale. In Italia, ad esempio, è emblematica la querelle dell’esposizione del crocifisso, in particolar modo nelle scuole pubbliche, nelle aule giudiziarie e nei seggi elettorali, ma sono state affrontate anche questioni inerenti al velo islamico e ad ulteriori simboli religiosi legati a confessioni che maggiormente ricoprono un ruolo importante all’interno delle società contemporanee. La seconda parte del lavoro di tesi è orienta ad uno studio potremmo dire “dinamico” del fattore religioso e del suo essere presenza all’interno della comunità. Il simbolo religioso è lo strumento che la confessione utilizza per comunicare ed “arrivare” ai propri fedeli. Da questo assunto, la scrivente ha svolto uno studio sulla semiotica del segno in generale, per poi giungere a quello religioso, costatando come il significato dello stesso possa mutare a seconda dell’ambito sociale ed etnico, ma anche a seconda della persona che ne è il destinatario. Ci si è poi soffermati sulle modalità di comunicazione sociale della Chiesa Cattolica in Italia, in quanto religione di maggioranza, evitando polemiche e problematiche legate al dato che la stessa, indiscutibilmente per storia e cultura, “occupi” molto spazio, anche rispetto ad altre confessioni, nell’ambito dei mass media. Sulla scia argomentativa dei “messaggi” religiosi, obbligatoria è stata una riflessione sulla libertà di espressione, in particolare la satira ed i suoi relativi (ed eventuali) limiti in ambito confessionale. È importante comprendere che anche nell’elaborare un paradosso o una vignetta, occorre operare nella conoscenza dell’altro, poiché in alcuni casi l’ignoranza su determinati principi e credenze, potrebbe provocare gravi offese al sentimento religioso e dunque alla persona che si indentifica in esso. I simboli, dunque, sono parte integrante delle fedi e delle relative pratiche, pertanto anche di colui che “crede”, al punto da plasmare l’identità di esso in ogni aspetto della vita quotidiana. Il trasmigrare dal mero piano spirituale all’ambito sociale conduce i simboli religiosi ad “invadere” addirittura la sfera economica, rilevando la capacità degli stessi di influenzare l’agire del soggetto che è, contemporaneamente, uomo e fedele. Interessante, infatti, è apparso analizzare l’interazione tra marketing e religione, con particolare attenzione all’utilizzo dei simboli religiosi all’interno delle campagne pubblicitarie, nonché nelle operazioni di tipo commerciale come l’acquisto di determinati prodotti. Dallo studio effettuato si evidenzia come i simboli religiosi non siano più di esclusivo dominio delle confessioni religiose, gli stessi infatti vengono spessi utilizzati come strumenti dotati di credibilità per attirare il cliente, spingendolo ad acquistare prodotti che rispecchino la loro religiosità e gli diano modo di essere maggiormente “obbediente” ai precetti religiosi, come nel particolare caso dell’alimentazione. Riguardo al lavoro di ricerca svolto, si è giunti alla conclusione che una società nell’affrontare il suo status di “multiculturale”, deve essere capace di individuare e tutelare le differenze tra le culture e le religioni che vi coabitano. È necessario che gli ordinamenti, anche con la collaborazione delle confessioni religiose stesse, elaborino e concretizzino strumenti atti a far conoscere e rispettare le differenti etnie ed i simboli rappresentativi delle stesse, a gestirne le relative controversie e a creare una concreta integrazione nei vari aspetti della vita sociale, giuridica ed economica.
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