Le implicazioni dell’integrazione europea sulle dinamiche istituzionali e politiche interne agli stati membri e sui rapporti fra gli esecutivi e i parlamenti nazionali sono state oggetto di crescente attenzione di pari passo con l’approfondirsi dello stesso processo di integrazione nel continente. Il tema, che ovviamente include le questioni relative alla partecipazione dei Parlamenti nazionali al processo decisionale europeo, è tornato ad essere di grande attualità in seguito all’approvazione del Trattato di Lisbona e ad alcune recenti evoluzioni negli equilibri istituzionali indotte dalla crisi economico e finanziaria del 2008. L’obiettivo di questa tesi è esaminare le modalità di partecipazione dei Parlamenti nazionali nelle decisioni volte a definire le politiche e il diritto dell’Unione Europea con particolare attenzione al caso italiano e agli effetti legati a tali importanti innovazioni. Più precisamente, il lavoro mira a verificare quale sia il ruolo svolto dai parlamenti nazionali nella formazione della pozione nazionale che i rispettivi governi sono chiamati a sostenere nel quadro di quei processi decisionali intesi ad elaborare specifici atti europei. Sebbene l’obiettivo principale della tesi sia quello di indagare i meccanismi interni di coordinamento tra parlamento e governo funzionali all’attività di indirizzo del primo sul secondo, non mancheranno cenni anche in relazione agli altri canali di intervento parlamentare (quelle modalità di coinvolgimento cd. ‘dirette’), laddove ciò sia funzionale a meglio comprendere il sistema di controllo e indirizzo interno. Per quanto riguarda i casi di studio, come anticipato, il lavoro si concentra prevalentemente sul caso italiano. Tuttavia, è stata svolta anche un’analisi comparata. Sulla base della consolidata suddivisione elaborata COSAC, la scelta è ricaduta in particolare su due sistemi rappresentativi del modello document-based (Regno Unito e Germania) – anche il caso italiano è stato tradizionalmente incluso in tale modello – e su di uno riconducibile al modello mandating-based (Danimarca) Il primo capitolo della tesi ricostruisce le tappe della storia europea verso la soluzione del problema del riconoscimento di un ruolo dei parlamenti nazionali nei processi decisionali e nell’architettura istituzionale delle Comunità prima e dell’Unione poi. Tale processo si è sviluppato su due livelli: uno proprio dei singoli ordinamenti nazionali, che hanno progressivamente affinato specifiche pratiche di controllo e creato strutture appositamente dedicate agli affari europei; e un altro proprio del diritto europeo, che ha riconosciuto poteri informativi e poi poteri di interlocuzione non mediata dai governi con le istituzioni europee. Il capitolo discute anche l’evoluzione delle teorie dottrinarie, a partire dalle prime ricostruzioni del legame esistente tra la partecipazione dei parlamenti nazionali e il problema del deficit democratico, e affronta alcuni elementi definitori e classificatori utili per meglio comprendere gli aspetti comuni alle varie esperienze nazionali del controllo parlamentare. Il secondo capitolo è dedicato all’analisi comparata. Per ciascuna delle esperienze nazionali scelte (Danimarca, Germania e Regno Unito) sono analizzate le fonti di disciplina dei poteri interni di controllo parlamentare – siano esse disposizioni normative, regolamentari, prassi sperimentali –, le strutture parlamentari e governative coinvolte nello scrutiny interno e i meccanismi predisposti per rafforzare il potere parlamentare e migliorare il raccordo con il governo. L’effettivo utilizzo del controllo dipende, infatti, oltre che dalla volontà del parlamento, dalla funzionalità delle strutture e degli strumenti operativi di cui dispone e dalla presenza di un efficace raccordo con le competenti strutture dell’esecutivo. Il capitolo approfondisce anche l’aspetto dinamico dell’attuazione delle disposizioni, ovvero il funzionamento concreto delle strutture e degli strumenti di indirizzo e di raccordo. Le prassi applicative costituiscono la fonte primaria della ricerca, poiché l’attività di controllo interno sugli affari europei è sottoposta a continue influenze esterne (prodotte dai progressi dell’integrazione) e a processi interni di adattamento che ne impongono costanti modifiche, spesso approntate tramite procedure sperimentali e operazioni interpretative non formalizzate in fonti normative. Questa analisi è funzionale a individuare eventuali buone prassi per lo svolgimento di un’efficace partecipazione al processo decisionale dell’Unione. Al contempo, si cercherà di valutare se gli strumenti normativi e le prassi applicative hanno avuto l’effetto di riequilibrare le dinamiche dei rapporti tra le assemblee parlamentari e i rispettivi esecutivi negli affari europei. Gli ultimi due capitoli saranno interamente dedicati ad approfondire il caso italiano. In particolare, nel capitolo 3 è ricostruita la disciplina italiana dell’indirizzo e del controllo dalle origini fino alla legge 234 del 2012. Lo studio è effettuato tenendo conto del peculiare sistema di fonti che caratterizza la disciplina italiana dei meccanismi di scrutiny interno e che si ricava dalla combinazione della legge ordinaria di procedura, dei regolamenti parlamentari e delle prassi sperimentali che nel tempo si sono sviluppate in adeguamento, per via interpretativa, delle procedure regolamentari alle fonti europee. Il capitolo 4 sarà quindi dedicato alle dinamiche attuative delle disposizioni normative e regolamentari precedenti e successive all’entrata in vigore della legge 234 del 2012. L’analisi empirica è svolta unicamente con riferimento al canale interno di indirizzo e controllo del parlamento sulle attività del governo nella elaborazione di specifici atti dell’Unione, dedicando solo alcuni cenni ai poteri parlamentari in relazione a specifici settori e alla fase pre-legislativa. Sono oggetto di analisi le fasi che vanno dalla trasmissione degli atti e dall’informazione qualificata del Governo, all’istruttoria parlamentare e all’elaborazione degli indirizzi, fino all’informativa sul seguito governativo agli indirizzi formulati. Da un punto di vista temporale, invece, si è deciso di dare conto di alcune prassi a partire dalla XIII legislatura. La scelta di limitare l’indagine a tale periodo deriva dalla consapevolezza che la partecipazione alla fase ascendente del diritto comunitario da parte di Camera e Senato è fenomeno relativamente recente, per cui il periodo antecedente si caratterizza per l’esiguità di prassi e di profili applicativi di rilievo soprattutto in riferimento all’esame di specifici atti dell’Unione. Per quanto riguarda invece l’evoluzione delle pratiche parlamentari successive all’entrata in vigore della legge 234 del 2012, il punto di partenza temporale dell’analisi corrisponde al momento di avvio della XVII legislatura (15 marzo 2013) e al periodo di stallo politico-istituzionale conclusosi con la nomina del Governo Letta il 28 aprile del 2013. Per quanto riguarda le fonti utilizzate nell’analisi empirica, centrale è stato il ruolo della documentazione degli uffici per gli affari europei di Camera e Senato e delle banche dati sulle attività non legislative degli organi parlamentari deputati. Inoltre, si è ritenuto utile ricorrere ad alcune interviste ad attori privilegiati (funzionari parlamentari di Camera e Senato): le informazioni emerse e la documentazione raccolta nel corso delle interviste si sono rivelate essenziali per integrare i dati quantitativi e qualitativi laddove carenti. Nelle conclusioni, infine, sono brevemente richiamati i principali risultati della tesi, sono discussi i problemi ancora aperti nel caso italiano e sono avanzate alcune proposte – anche sulla scorta dell’analisi comparata – per migliorare il processo di controllo parlamentare e il raccordo parlamento-governo negli affari europei.
I PARLAMENTI NAZIONALI NELL’UNIONE EUROPEA. GLI EFFETTI DELL’INTEGRAZIONE SULLA FUNZIONE DI CONTROLLO PARLAMENTARE
PENNACCHIETTI, CLAUDIA
2017-01-01
Abstract
Le implicazioni dell’integrazione europea sulle dinamiche istituzionali e politiche interne agli stati membri e sui rapporti fra gli esecutivi e i parlamenti nazionali sono state oggetto di crescente attenzione di pari passo con l’approfondirsi dello stesso processo di integrazione nel continente. Il tema, che ovviamente include le questioni relative alla partecipazione dei Parlamenti nazionali al processo decisionale europeo, è tornato ad essere di grande attualità in seguito all’approvazione del Trattato di Lisbona e ad alcune recenti evoluzioni negli equilibri istituzionali indotte dalla crisi economico e finanziaria del 2008. L’obiettivo di questa tesi è esaminare le modalità di partecipazione dei Parlamenti nazionali nelle decisioni volte a definire le politiche e il diritto dell’Unione Europea con particolare attenzione al caso italiano e agli effetti legati a tali importanti innovazioni. Più precisamente, il lavoro mira a verificare quale sia il ruolo svolto dai parlamenti nazionali nella formazione della pozione nazionale che i rispettivi governi sono chiamati a sostenere nel quadro di quei processi decisionali intesi ad elaborare specifici atti europei. Sebbene l’obiettivo principale della tesi sia quello di indagare i meccanismi interni di coordinamento tra parlamento e governo funzionali all’attività di indirizzo del primo sul secondo, non mancheranno cenni anche in relazione agli altri canali di intervento parlamentare (quelle modalità di coinvolgimento cd. ‘dirette’), laddove ciò sia funzionale a meglio comprendere il sistema di controllo e indirizzo interno. Per quanto riguarda i casi di studio, come anticipato, il lavoro si concentra prevalentemente sul caso italiano. Tuttavia, è stata svolta anche un’analisi comparata. Sulla base della consolidata suddivisione elaborata COSAC, la scelta è ricaduta in particolare su due sistemi rappresentativi del modello document-based (Regno Unito e Germania) – anche il caso italiano è stato tradizionalmente incluso in tale modello – e su di uno riconducibile al modello mandating-based (Danimarca) Il primo capitolo della tesi ricostruisce le tappe della storia europea verso la soluzione del problema del riconoscimento di un ruolo dei parlamenti nazionali nei processi decisionali e nell’architettura istituzionale delle Comunità prima e dell’Unione poi. Tale processo si è sviluppato su due livelli: uno proprio dei singoli ordinamenti nazionali, che hanno progressivamente affinato specifiche pratiche di controllo e creato strutture appositamente dedicate agli affari europei; e un altro proprio del diritto europeo, che ha riconosciuto poteri informativi e poi poteri di interlocuzione non mediata dai governi con le istituzioni europee. Il capitolo discute anche l’evoluzione delle teorie dottrinarie, a partire dalle prime ricostruzioni del legame esistente tra la partecipazione dei parlamenti nazionali e il problema del deficit democratico, e affronta alcuni elementi definitori e classificatori utili per meglio comprendere gli aspetti comuni alle varie esperienze nazionali del controllo parlamentare. Il secondo capitolo è dedicato all’analisi comparata. Per ciascuna delle esperienze nazionali scelte (Danimarca, Germania e Regno Unito) sono analizzate le fonti di disciplina dei poteri interni di controllo parlamentare – siano esse disposizioni normative, regolamentari, prassi sperimentali –, le strutture parlamentari e governative coinvolte nello scrutiny interno e i meccanismi predisposti per rafforzare il potere parlamentare e migliorare il raccordo con il governo. L’effettivo utilizzo del controllo dipende, infatti, oltre che dalla volontà del parlamento, dalla funzionalità delle strutture e degli strumenti operativi di cui dispone e dalla presenza di un efficace raccordo con le competenti strutture dell’esecutivo. Il capitolo approfondisce anche l’aspetto dinamico dell’attuazione delle disposizioni, ovvero il funzionamento concreto delle strutture e degli strumenti di indirizzo e di raccordo. Le prassi applicative costituiscono la fonte primaria della ricerca, poiché l’attività di controllo interno sugli affari europei è sottoposta a continue influenze esterne (prodotte dai progressi dell’integrazione) e a processi interni di adattamento che ne impongono costanti modifiche, spesso approntate tramite procedure sperimentali e operazioni interpretative non formalizzate in fonti normative. Questa analisi è funzionale a individuare eventuali buone prassi per lo svolgimento di un’efficace partecipazione al processo decisionale dell’Unione. Al contempo, si cercherà di valutare se gli strumenti normativi e le prassi applicative hanno avuto l’effetto di riequilibrare le dinamiche dei rapporti tra le assemblee parlamentari e i rispettivi esecutivi negli affari europei. Gli ultimi due capitoli saranno interamente dedicati ad approfondire il caso italiano. In particolare, nel capitolo 3 è ricostruita la disciplina italiana dell’indirizzo e del controllo dalle origini fino alla legge 234 del 2012. Lo studio è effettuato tenendo conto del peculiare sistema di fonti che caratterizza la disciplina italiana dei meccanismi di scrutiny interno e che si ricava dalla combinazione della legge ordinaria di procedura, dei regolamenti parlamentari e delle prassi sperimentali che nel tempo si sono sviluppate in adeguamento, per via interpretativa, delle procedure regolamentari alle fonti europee. Il capitolo 4 sarà quindi dedicato alle dinamiche attuative delle disposizioni normative e regolamentari precedenti e successive all’entrata in vigore della legge 234 del 2012. L’analisi empirica è svolta unicamente con riferimento al canale interno di indirizzo e controllo del parlamento sulle attività del governo nella elaborazione di specifici atti dell’Unione, dedicando solo alcuni cenni ai poteri parlamentari in relazione a specifici settori e alla fase pre-legislativa. Sono oggetto di analisi le fasi che vanno dalla trasmissione degli atti e dall’informazione qualificata del Governo, all’istruttoria parlamentare e all’elaborazione degli indirizzi, fino all’informativa sul seguito governativo agli indirizzi formulati. Da un punto di vista temporale, invece, si è deciso di dare conto di alcune prassi a partire dalla XIII legislatura. La scelta di limitare l’indagine a tale periodo deriva dalla consapevolezza che la partecipazione alla fase ascendente del diritto comunitario da parte di Camera e Senato è fenomeno relativamente recente, per cui il periodo antecedente si caratterizza per l’esiguità di prassi e di profili applicativi di rilievo soprattutto in riferimento all’esame di specifici atti dell’Unione. Per quanto riguarda invece l’evoluzione delle pratiche parlamentari successive all’entrata in vigore della legge 234 del 2012, il punto di partenza temporale dell’analisi corrisponde al momento di avvio della XVII legislatura (15 marzo 2013) e al periodo di stallo politico-istituzionale conclusosi con la nomina del Governo Letta il 28 aprile del 2013. Per quanto riguarda le fonti utilizzate nell’analisi empirica, centrale è stato il ruolo della documentazione degli uffici per gli affari europei di Camera e Senato e delle banche dati sulle attività non legislative degli organi parlamentari deputati. Inoltre, si è ritenuto utile ricorrere ad alcune interviste ad attori privilegiati (funzionari parlamentari di Camera e Senato): le informazioni emerse e la documentazione raccolta nel corso delle interviste si sono rivelate essenziali per integrare i dati quantitativi e qualitativi laddove carenti. Nelle conclusioni, infine, sono brevemente richiamati i principali risultati della tesi, sono discussi i problemi ancora aperti nel caso italiano e sono avanzate alcune proposte – anche sulla scorta dell’analisi comparata – per migliorare il processo di controllo parlamentare e il raccordo parlamento-governo negli affari europei.File | Dimensione | Formato | |
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