Dinanzi al dislivello irriducibile fra miseria e misericordia, il deficit e l’eccedenza dell’amore devono potersi incontrare da entrambi i lati: quello della domanda esistenziale e quello della risposta salvifica. Attraverso un dialogo con Jankélévitch, Jonas e Ricoeur, emerge un contributo importante che prende sul serio il tema del male, senza cedere alle suggestioni nichilistiche: il riconoscimento del valore infinitamente prezioso della finitezza, ricordato da Jankélévitch; l’appello alla responsabilità della cura (che implica anche la cura della responsabilità) in Jonas; l’invito di Ricoeur ad assumere il senso della sproporzione, custodito in forma atematica nel “patetico della miseria”, come presupposto per una ripresa riflessiva aperta e plurale. Il punto d’incontro più alto tra ordine del bene e disordine del male rimanda a una enigmatica tangenza tra finito e infinito che attraversa la doppia scala della miseria e della misericordia. Questa convivenza paradossale, che abita l'esistenza, deve poter essere rintracciata e differenziata nello statuto antropologico; uno statuto che sappia resistere a ogni riduzione naturalistica, come pure alle lusinghe di approdare a un “grado zero” dell’umano, rispetto al quale l’eccedenza del bene suonerebbe come una sovrastruttura estrinseca e supererogatoria rispetto all’asettica neutralità della vita. È nella comune umanità fragile, che accetta il limite ma rifiuta la ferita, dove finito e infinito si toccano, che può avvenire l’incontro stupefacente di miseria e misericordia.
L’infinito e il nulla: l’amore che non ti aspetti
ALICI, Luigino
2016-01-01
Abstract
Dinanzi al dislivello irriducibile fra miseria e misericordia, il deficit e l’eccedenza dell’amore devono potersi incontrare da entrambi i lati: quello della domanda esistenziale e quello della risposta salvifica. Attraverso un dialogo con Jankélévitch, Jonas e Ricoeur, emerge un contributo importante che prende sul serio il tema del male, senza cedere alle suggestioni nichilistiche: il riconoscimento del valore infinitamente prezioso della finitezza, ricordato da Jankélévitch; l’appello alla responsabilità della cura (che implica anche la cura della responsabilità) in Jonas; l’invito di Ricoeur ad assumere il senso della sproporzione, custodito in forma atematica nel “patetico della miseria”, come presupposto per una ripresa riflessiva aperta e plurale. Il punto d’incontro più alto tra ordine del bene e disordine del male rimanda a una enigmatica tangenza tra finito e infinito che attraversa la doppia scala della miseria e della misericordia. Questa convivenza paradossale, che abita l'esistenza, deve poter essere rintracciata e differenziata nello statuto antropologico; uno statuto che sappia resistere a ogni riduzione naturalistica, come pure alle lusinghe di approdare a un “grado zero” dell’umano, rispetto al quale l’eccedenza del bene suonerebbe come una sovrastruttura estrinseca e supererogatoria rispetto all’asettica neutralità della vita. È nella comune umanità fragile, che accetta il limite ma rifiuta la ferita, dove finito e infinito si toccano, che può avvenire l’incontro stupefacente di miseria e misericordia.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.