Il tema dell’abitare e della città sono giustamente tra i temi che, in un’accezione autenticamente politica provocano la filosofia – autenticamente politica nella misura in cui la filosofia di cui ci occupiamo è quella che si esprime nella forma cui siamo più familiari e che è nata nella polis. Ciò detto, la necessità di queste poche righe esplicative non nasce dal bisogno di chiarire ciò che di per sé è patente, e dunque l’attualità del quadro teorico e pratico dell’argomento cui siamo convocati, ma nasce dal desiderio di verificare un’idea che, come ogni idea, nasce dall’incontro con altri. Innanzitutto, nasce da una suggestione che Emmanuel Levinas ha rapidamente affidato alle sue conversazioni con Philippe Nemo nelle interviste pubblicate col titolo "Éthique et infini". Qui il filosofo franco-lituano dice che Henri Bergson ha avuto per primo il merito di sottrarre il tempo alla fisica e al suo essere scandito dagli orologi, restituendolo alla densità della durata . Il passaggio di Levinas è rapido, ma basta a suscitare una prima domanda: è possibile compiere la stessa operazione in merito allo spazio, ossia sottrarlo al paradigma della fisica per restituirlo alla sua vitalità intrinseca? Forse, proprio una concezione dello spazio a partire dalla sua pluralità relata, come suggerisce il titolo I luoghi e gli altri: la cura dell’abitare, potrebbe essere un efficace contributo in questa direzione. Un secondo rapido accenno è fonte di una seconda idea. Jean Greisch, nella quinta delle lezioni tenute in occasione della “Chaire Cardinal Mercier” organizzate dall’Université Catholique de Louvain-La-Neuve e pubblicate nel volume "Qui sommes nous? Chemins phénoménologiques vers l’homme" , scrive che in Levinas il tema della dimora, del lavoro e altri motivi, facendo risaltare la fragilità costitutiva dell’io, spostano la possibile domanda dal “chi” è l’uomo al “dove” questi sia. Il “sé”, cioè, si comprenderebbe non soltanto per la domanda “chi?” che si pone a diversi livelli, come Paul Ricœur ci ha appreso, ma anche per i luoghi e gli spazi di cui si prende cura e che abita. Anzi, «il sé si comprende innanzitutto in riferimento allo chez soi, all’essere a casa “propria”» e più elementare dell’identità narrativa (addirittura precedente e fondante questa stessa), è un’elementarietà che proponiamo di chiamare “identità oikologica”. Un’esplicazione di tale possibile identità che si scoprirebbe nel passaggio dal “chi?” al “dove?” si presenta in un passo del Vangelo di Giovanni, quando i primi che hanno incontrato l’uomo indicato da Giovanni il Battista, dopo averlo seguito, non gli chiedono «Chi sei?» ma «Rabbì (che, tradotto, vuol dire Maestro), dove abiti?» (Gv, 1,38), domanda alla quale, poi, il Vangelo risponde in modo narrativo. Ora, la seconda idea che vorremmo svolgere nasce dal voler verificare se quest’identità sia qualcosa in più di una semplice suggestione o se sia possibile indagare la “cura dell’abitare” non soltanto come dimensione ontico/esistentiva dell’“identità oikologica” ma anche come dimensione ontologico/esistenziale. Le idee, tuttavia, debbono essere confermate. In che modo, allora, potremo trovare conferma di un abitare in quanto “dove” che precede il “chi” legittimando che si parli di “identità oikologica”, e legittimandone la dimensione ontologico/esistenziale? Potremmo mai attestare altro dalla cura dell’abitare intesa come pratica ontico/esistentiva? Inoltre, l’interrogativo “dove?”, per porsi, non deve forse essere già pronunciato da un “chi”? E infine, la domanda “chi?” non precede la domanda sul “dove?”, dal momento che questa deve esser sempre posta da qualcuno e, anche, si pone sempre di fronte a qualcuno/qualcosa? Proprio il testo di Giovanni prima citato, conferma che la domanda “dove?” è successiva al “chi?”, giacché “l’identità oikologica” di Gesù di Nazareth, nel passo citato, si motiva non già perché precede la narrazione evangelica ma perché i Discepoli ascoltano un uomo (Giovanni il Battista) che indica un altro uomo. La loro domanda è meno una questione posta a qualcuno e più una risposta a un richiamo o a un cenno. Se, allora, per un verso l’“identità oikologica” non può semplicemente sostituire l’“identità narrativa”, per altro verso, essa non si pone in astratto e a partire da un luogo vuoto ma si pone in un luogo abitato. Per ciò l’avverbio interrogativo “dove?” non interroga un’identità che si pensa in astratto ma la interroga nella trama di una relazione (o anche in uno spazio) originariamente relazionale, che si scopre per le relazioni che non soltanto in esso si vivono ma che, anche, esso stesso rende possibili. Qui risiede quella che proponiamo di individuare come la dimensione esistenziale-ontologica dello spazio in quanto condizione di possibilità di un’“identità oikologica”. Possibilità che cercheremo di confermare con Franz Rosenzweig (primo momento), per riflettere più liberamente sui suoi temi (secondo momento), lasciando infine il confronto diretto con i suoi testi (terzo momento).

"Filosofare nella forma dello spazio". Jalons per un'identità oikologica

CANULLO, Carla
2016-01-01

Abstract

Il tema dell’abitare e della città sono giustamente tra i temi che, in un’accezione autenticamente politica provocano la filosofia – autenticamente politica nella misura in cui la filosofia di cui ci occupiamo è quella che si esprime nella forma cui siamo più familiari e che è nata nella polis. Ciò detto, la necessità di queste poche righe esplicative non nasce dal bisogno di chiarire ciò che di per sé è patente, e dunque l’attualità del quadro teorico e pratico dell’argomento cui siamo convocati, ma nasce dal desiderio di verificare un’idea che, come ogni idea, nasce dall’incontro con altri. Innanzitutto, nasce da una suggestione che Emmanuel Levinas ha rapidamente affidato alle sue conversazioni con Philippe Nemo nelle interviste pubblicate col titolo "Éthique et infini". Qui il filosofo franco-lituano dice che Henri Bergson ha avuto per primo il merito di sottrarre il tempo alla fisica e al suo essere scandito dagli orologi, restituendolo alla densità della durata . Il passaggio di Levinas è rapido, ma basta a suscitare una prima domanda: è possibile compiere la stessa operazione in merito allo spazio, ossia sottrarlo al paradigma della fisica per restituirlo alla sua vitalità intrinseca? Forse, proprio una concezione dello spazio a partire dalla sua pluralità relata, come suggerisce il titolo I luoghi e gli altri: la cura dell’abitare, potrebbe essere un efficace contributo in questa direzione. Un secondo rapido accenno è fonte di una seconda idea. Jean Greisch, nella quinta delle lezioni tenute in occasione della “Chaire Cardinal Mercier” organizzate dall’Université Catholique de Louvain-La-Neuve e pubblicate nel volume "Qui sommes nous? Chemins phénoménologiques vers l’homme" , scrive che in Levinas il tema della dimora, del lavoro e altri motivi, facendo risaltare la fragilità costitutiva dell’io, spostano la possibile domanda dal “chi” è l’uomo al “dove” questi sia. Il “sé”, cioè, si comprenderebbe non soltanto per la domanda “chi?” che si pone a diversi livelli, come Paul Ricœur ci ha appreso, ma anche per i luoghi e gli spazi di cui si prende cura e che abita. Anzi, «il sé si comprende innanzitutto in riferimento allo chez soi, all’essere a casa “propria”» e più elementare dell’identità narrativa (addirittura precedente e fondante questa stessa), è un’elementarietà che proponiamo di chiamare “identità oikologica”. Un’esplicazione di tale possibile identità che si scoprirebbe nel passaggio dal “chi?” al “dove?” si presenta in un passo del Vangelo di Giovanni, quando i primi che hanno incontrato l’uomo indicato da Giovanni il Battista, dopo averlo seguito, non gli chiedono «Chi sei?» ma «Rabbì (che, tradotto, vuol dire Maestro), dove abiti?» (Gv, 1,38), domanda alla quale, poi, il Vangelo risponde in modo narrativo. Ora, la seconda idea che vorremmo svolgere nasce dal voler verificare se quest’identità sia qualcosa in più di una semplice suggestione o se sia possibile indagare la “cura dell’abitare” non soltanto come dimensione ontico/esistentiva dell’“identità oikologica” ma anche come dimensione ontologico/esistenziale. Le idee, tuttavia, debbono essere confermate. In che modo, allora, potremo trovare conferma di un abitare in quanto “dove” che precede il “chi” legittimando che si parli di “identità oikologica”, e legittimandone la dimensione ontologico/esistenziale? Potremmo mai attestare altro dalla cura dell’abitare intesa come pratica ontico/esistentiva? Inoltre, l’interrogativo “dove?”, per porsi, non deve forse essere già pronunciato da un “chi”? E infine, la domanda “chi?” non precede la domanda sul “dove?”, dal momento che questa deve esser sempre posta da qualcuno e, anche, si pone sempre di fronte a qualcuno/qualcosa? Proprio il testo di Giovanni prima citato, conferma che la domanda “dove?” è successiva al “chi?”, giacché “l’identità oikologica” di Gesù di Nazareth, nel passo citato, si motiva non già perché precede la narrazione evangelica ma perché i Discepoli ascoltano un uomo (Giovanni il Battista) che indica un altro uomo. La loro domanda è meno una questione posta a qualcuno e più una risposta a un richiamo o a un cenno. Se, allora, per un verso l’“identità oikologica” non può semplicemente sostituire l’“identità narrativa”, per altro verso, essa non si pone in astratto e a partire da un luogo vuoto ma si pone in un luogo abitato. Per ciò l’avverbio interrogativo “dove?” non interroga un’identità che si pensa in astratto ma la interroga nella trama di una relazione (o anche in uno spazio) originariamente relazionale, che si scopre per le relazioni che non soltanto in esso si vivono ma che, anche, esso stesso rende possibili. Qui risiede quella che proponiamo di individuare come la dimensione esistenziale-ontologica dello spazio in quanto condizione di possibilità di un’“identità oikologica”. Possibilità che cercheremo di confermare con Franz Rosenzweig (primo momento), per riflettere più liberamente sui suoi temi (secondo momento), lasciando infine il confronto diretto con i suoi testi (terzo momento).
2016
9788854895188
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