A più di dieci anni dall'entrata in vigore del d. lgs. n. 231/2001, che, come noto, ha introdotto nel nostro ordinamento giuridico un sistema di responsabilità sanzionatoria degli enti collettivi, sul palcoscenico si staglia con veemenza un interrogativo: societas publica delinquere potest ? Si tratta di una questione particolarmente attuale e dibattuta, che non interessa l’ente pubblico economico, il quale, esercitando un’attività di impresa finalizzata al profitto, rientra a pieno titolo nel novero dei destinatari del d. lgs. 231/2001, al pari di una società privata. Le certezze, invece, sfumano quando ci si muove nel magmatico universo delle società pubbliche partecipate dallo Stato o da un altro ente pubblico, che, pur ricoprendo la veste di società per azioni, non svolgono un'attività economica al fine del conseguimento di utili, ma un'attività amministrativa per il perseguimento di interessi di natura generale. Questo è il nodo oggetto di riflessione, la cui indagine è approfondita volgendo lo sguardo sia alla scelta effettuata dal legislatore italiano di escludere dal sistema del decreto 231 tutti gli enti caratterizzati da soggettività pubblica (Stato, enti pubblici decentrati e altri enti pubblici non economici) e alle ragioni ad essa sottese, sia alle esperienze normative di alcuni ordinamenti stranieri, che mostrano la tendenza, salvo alcune eccezioni, ad esentare da responsabilità penale gli enti pubblici, per motivi essenzialmente riconducibili alla natura pubblica delle funzioni esercitate. La validità del divieto di corresponsabilizzare la societas publica, almeno con riferimento alla criminalità economica dolosa, trova fondamento in ragioni di carattere empirico-criminologiche e dogmatiche. Le prime hanno a che vedere con l’orientamento al profitto delle attività economiche: un movente, questo, non rintracciabile negli enti pubblici non economici, che non svolgono attività imprenditoriale. Le seconde poggiano, anzitutto, sulla impossibilità di ravvisare un anello di congiunzione tra l'illecito penale, realizzato dall'autore-persona fisica, e l'ente, in quanto chi rappresenta il soggetto pubblico agisce per scopi di guadagno personale e non nell'interesse o a vantaggio del soggetto pubblico all'interno del quale è inserito, così che viene meno quella separatezza dei centri di imputazione che la responsabilità dell'ente postula. Inoltre, sotto il profilo sanzionatorio, appaiono evidenti l'ineffettività della “pena” pecuniaria, incapace di colpire il reale centro di interessi, “motore” dell'illecito e i potenziali pericoli derivanti dall'irrogazione di sanzioni interdittive. Per contro, la responsabilità della societas publica potrebbe riconoscersi con riferimento ai reati colposi che si situano, criminologicamente, nel cono d'ombra del rischio di impresa, come i reati in materia antinfortunistica ed i reati ambientali. In questo contesto, è infatti possibile rintracciare la riferibilità oggettiva dell’illecito all’ente, identificando, nell'ottica intrapresa dalla giurisprudenza, l'interesse/vantaggio dell'ente collettivo nel risparmio dei costi organizzativi, necessari a dare attuazione alle cautele omesse. L'analisi condotta induce a ritenere che, ad eccezione dei fenomeni criminosi di natura colposa, non vi è spazio per affermare la responsabilità ex delicto della societas publica. Tuttavia, la necessità che anche i soggetti pubblici non economici si indirizzino verso una compliance governance, per prevenire e ridurre il rischio del verificarsi di alcuni reati, primo tra tutti, la corruzione, rende indispensabile ritagliare un sistema di corresponsabilizzazione dell'ente pubblico di natura non “punitiva”, bensì “disciplinare”.

Societas publica delinquere potest? Persone giuridiche di diritto pubblico e D.Lgs. 231/2001

BARTOLINI, Paola
2014-01-01

Abstract

A più di dieci anni dall'entrata in vigore del d. lgs. n. 231/2001, che, come noto, ha introdotto nel nostro ordinamento giuridico un sistema di responsabilità sanzionatoria degli enti collettivi, sul palcoscenico si staglia con veemenza un interrogativo: societas publica delinquere potest ? Si tratta di una questione particolarmente attuale e dibattuta, che non interessa l’ente pubblico economico, il quale, esercitando un’attività di impresa finalizzata al profitto, rientra a pieno titolo nel novero dei destinatari del d. lgs. 231/2001, al pari di una società privata. Le certezze, invece, sfumano quando ci si muove nel magmatico universo delle società pubbliche partecipate dallo Stato o da un altro ente pubblico, che, pur ricoprendo la veste di società per azioni, non svolgono un'attività economica al fine del conseguimento di utili, ma un'attività amministrativa per il perseguimento di interessi di natura generale. Questo è il nodo oggetto di riflessione, la cui indagine è approfondita volgendo lo sguardo sia alla scelta effettuata dal legislatore italiano di escludere dal sistema del decreto 231 tutti gli enti caratterizzati da soggettività pubblica (Stato, enti pubblici decentrati e altri enti pubblici non economici) e alle ragioni ad essa sottese, sia alle esperienze normative di alcuni ordinamenti stranieri, che mostrano la tendenza, salvo alcune eccezioni, ad esentare da responsabilità penale gli enti pubblici, per motivi essenzialmente riconducibili alla natura pubblica delle funzioni esercitate. La validità del divieto di corresponsabilizzare la societas publica, almeno con riferimento alla criminalità economica dolosa, trova fondamento in ragioni di carattere empirico-criminologiche e dogmatiche. Le prime hanno a che vedere con l’orientamento al profitto delle attività economiche: un movente, questo, non rintracciabile negli enti pubblici non economici, che non svolgono attività imprenditoriale. Le seconde poggiano, anzitutto, sulla impossibilità di ravvisare un anello di congiunzione tra l'illecito penale, realizzato dall'autore-persona fisica, e l'ente, in quanto chi rappresenta il soggetto pubblico agisce per scopi di guadagno personale e non nell'interesse o a vantaggio del soggetto pubblico all'interno del quale è inserito, così che viene meno quella separatezza dei centri di imputazione che la responsabilità dell'ente postula. Inoltre, sotto il profilo sanzionatorio, appaiono evidenti l'ineffettività della “pena” pecuniaria, incapace di colpire il reale centro di interessi, “motore” dell'illecito e i potenziali pericoli derivanti dall'irrogazione di sanzioni interdittive. Per contro, la responsabilità della societas publica potrebbe riconoscersi con riferimento ai reati colposi che si situano, criminologicamente, nel cono d'ombra del rischio di impresa, come i reati in materia antinfortunistica ed i reati ambientali. In questo contesto, è infatti possibile rintracciare la riferibilità oggettiva dell’illecito all’ente, identificando, nell'ottica intrapresa dalla giurisprudenza, l'interesse/vantaggio dell'ente collettivo nel risparmio dei costi organizzativi, necessari a dare attuazione alle cautele omesse. L'analisi condotta induce a ritenere che, ad eccezione dei fenomeni criminosi di natura colposa, non vi è spazio per affermare la responsabilità ex delicto della societas publica. Tuttavia, la necessità che anche i soggetti pubblici non economici si indirizzino verso una compliance governance, per prevenire e ridurre il rischio del verificarsi di alcuni reati, primo tra tutti, la corruzione, rende indispensabile ritagliare un sistema di corresponsabilizzazione dell'ente pubblico di natura non “punitiva”, bensì “disciplinare”.
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