Il lavoro muove, nel primo capitolo, dall’accoglimento di una concezione di accordo inteso come “categoria normativa” (fatto qualificato da norme) caratterizzata da condotte delle parti conformi agli schemi legali di formazione del contratto o, comunque, compatibili con i c.d. “requisiti minimi”, ed i connessi limiti di variabilità degli schemi legali, che si desumono dalle relative disposizioni legislative. La conclusione logica e giuridica che viene tratta da questa impostazione è l’inesistenza di una regola di “tassatività” o di “tipicità” dei procedimenti di conclusione del contratto, nonché l’inconfigurabilità di rapporti del tipo “regola generale ed eccezione” tra i diversi procedimenti legali di formazione del contratto. Il problema dell’individuazione dei suddetti “requisiti minimi dell’accordo” consente all’A. di esaminare l’opinione, espressa in dottrina, secondo cui siffatto requisito minimo sarebbe rappresentato dalla determinazione di contrarre da parte del (solo) contraente o dei contraenti a carico del quale o dei quali il contratto è destinato a produrre effetti gravosi. Su tale tesi si fonda l’orientamento che individua nella norma di cui all’art. 1333 c.c. uno schema di “contratto a formazione unilaterale”. Si passa, quindi, al secondo capitolo del lavoro, in cui l’A. compie un’indagine in ordine, appunto, alla natura giuridica ed alla struttura dell’istituto di cui all’art. 1333 c.c., analizzando (in particolare nei paragrafi 5-8) le varie teorie dottrinali e giurisprudenziali che sono state proposte nel tempo e mettendo in evidenza, per ciascuna di esse, i rispettivi profili di criticità, nonché le conseguenze giuridiche e pratiche che deriverebbero dal loro accoglimento (par. 9). La fattispecie formativa in oggetto viene esaminata ricollegandosi anche ai suoi “antecedenti diretti” nell’ordinamento italiano nonché, comparativamente, facendosi riferimento ad istituti simili riscontrabili in ambito internazionale ed a quanto previsto nel c.d. diritto privato europeo, in particolare nei recenti progetti di “armonizzazione” e di “codificazione” civile europea (v. part. 16). L’A. propone, quindi, una soluzione ermeneutica alternativa, muovendo dal concetto di “silenzio circostanziato” ed ipotizzando un’applicazione di tale concetto al comportamento omissivo dell’oblato, che verrebbe così valutato e “qualificato” sulla base delle circostanze “tipizzate” dal legislatore e di tutte le circostanze, soggettive ed oggettive, ravvisabili nel caso concreto. L’impostazione così suggerita troverebbe significativi riscontri anche in talune fattispecie concrete emergenti nella casistica giurisprudenziale (v. par. 11). La tesi contrattualista avanzata viene approfondita nei successivi par. 12 e 13, in cui vengono individuati e confrontati i rispettivi interessi che sono alla base del rapporto tra il proponente e l’oblato, prospettandosi due differenti ipotesi ricostruttive della norma di cui all’art. 1333 c.c. Nella prima di esse, la valorizzazione delle esigenze del promissario, emergenti dal “contesto” e dai risvolti oggettivi e soggettivi della complessiva operazione economica, potrebbe indurre l’interprete, qualora rinvenga un interesse concreto dell’oblato a non ricevere l’attribuzione patrimoniale, a considerare non concluso il contratto nonostante l’omesso rifiuto nel termine previsto. Nella seconda ipotesi, invece, ragioni di “coerenza sistematica”, esigenze di “certezza del diritto” e la necessità di tutelare l’affidamento del proponente, farebbero propendere per una prevalenza delle “circostanze legalmente tipizzate” sulle “circostanze di fatto”, e quindi per una valutazione del “silenzio” del promissario in cui l’unica circostanza rilevante (al fine di escludere che esso integri una “determinazione di contrarre”) potrebbe essere costituita dall’ “impedimento di fatto” dell’oblato ad esercitare tempestivamente il potere di rifiuto. Alla luce delle considerazioni svolte, ed attraverso un raffronto con altre fattispecie normative, viene quindi confutata l’opinione secondo cui il contegno omissivo dell’oblato si qualificherebbe sempre come “silenzio semplice” e mai come “silenzio circostanziato”, sottolineandosi l’insufficienza delle argomentazioni basate sul rispetto della sola lettera della disposizione codicistica in esame. Il terzo capitolo del lavoro è dedicato specificamente all’esame dei rapporti tra la fattispecie di cui all’art. 1333 c.c. e le ipotesi di c.d. adempimento traslato, ed al connesso problema dell’individuazione della struttura dell’atto adempitivo dell’obbligo traslativo. Viene, a tal riguardo, affrontata preliminarmente la dibattuta questione relativa alla configurabilità o meno di negozi ex art. 1333 c.c. ad efficacia reale, che l’A. risolve, in linea di principio, in senso negativo tenendo conto delle “ratio” della norma e della conseguente necessità di valutare i pregiudizi che possono derivare dall’acquisto di diritti reali (par. 17 e 18). L’efficacia extraobbligatoria delle fattispecie in oggetto viene peraltro ammessa quantomeno in alcune specifiche ipotesi di “adempimento traslativo”, potendosi ritenere rispettati, in tali casi, anche i requisiti di forma prescritti ad substantiam dalla legge nella conclusione di contratti traslativi relativi ai diritti reali immobiliari. La ricerca dedica ampio spazio alle applicazioni giurisprudenziali dell’art. 1333 c.c. in materia di “adempimento traslativo”, con particolare riferimento agli accordi raggiunti in sede di separazione personale (o di divorzio) tra i coniugi che prevedano, con tecnica obbligatoria, il trasferimento o la costituzione di diritti reali (v. par. 20 e 21). L’A. analizza, quindi, criticamente le tesi dottrinali che configurano l’atto adempitivo dell’obbligo traslativo in termini di “unilateralità” (cioè quale “atto unilaterale non negoziale” o quale “negozio giuridico unilaterale”), esponendo gli argomenti di tipo giuridico e di tipo economico che depongono, al contrario, nel senso della necessità della struttura contrattuale per la realizzazione del trasferimento dei diritti reali. Una volta affermata la necessità della struttura contrattuale per attuare il trasferimento nelle ipotesi di “adempimento traslativo”, lo studio mette, peraltro, in evidenza l’opportunità di considerare i vari aspetti della fattispecie concreta (ed in primis la presenza o meno del carattere di “gratuità” nell’attribuzione traslativa), al fine di stabilire se l’atto adempitivo possa essere ricondotto allo schema contrattuale di cui all’art. 1333 c.c., ovvero debba concludersi secondo gli altri modi di formazione caratterizzati da una duplice approvazione espressa dal proponente o dall’accettante. Il lavoro si sofferma particolarmente sulle garanzie previste dalla legge a tutela del “solvens” nei casi in cui il creditore non aderisca alla proposta contrattuale di adempimento (par. 25), dimostrandosi l’applicabilità dell’istituto della “mora credendi” alle “prestazioni di contrarre” in oggetto ma non la necessità, per il debitore, di ricorrere alle procedure di liberazione coattiva di cui agli artt. 1210 e segg. c.c. Viceversa, l’A. prospetta la possibilità per il solvens di liberarsi dal vincolo attraverso il modo di estinzione dell’obbligazione rappresentato dall’impossibilità sopravvenuta temporanea, non imputabile al debitore; sottolineando, inoltre, che il debitore trova un’ulteriore, fondamentale tutela nella previsione dell’ “esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto” di cui all’art. 2932 c.c. (di cui vengono citate anche talune applicazioni giurisprudenziali concernenti diverse fattispecie tipiche di “adempimento traslativo”).

Il valore del silenzio nel contratto con obbligazioni del solo proponente. Rapporti tra la fattispecie di cui all'art.1333 c.c. e le ipotesi di c.d. adempimento traslativo.

CERQUETTI, Paolo
2014-01-01

Abstract

Il lavoro muove, nel primo capitolo, dall’accoglimento di una concezione di accordo inteso come “categoria normativa” (fatto qualificato da norme) caratterizzata da condotte delle parti conformi agli schemi legali di formazione del contratto o, comunque, compatibili con i c.d. “requisiti minimi”, ed i connessi limiti di variabilità degli schemi legali, che si desumono dalle relative disposizioni legislative. La conclusione logica e giuridica che viene tratta da questa impostazione è l’inesistenza di una regola di “tassatività” o di “tipicità” dei procedimenti di conclusione del contratto, nonché l’inconfigurabilità di rapporti del tipo “regola generale ed eccezione” tra i diversi procedimenti legali di formazione del contratto. Il problema dell’individuazione dei suddetti “requisiti minimi dell’accordo” consente all’A. di esaminare l’opinione, espressa in dottrina, secondo cui siffatto requisito minimo sarebbe rappresentato dalla determinazione di contrarre da parte del (solo) contraente o dei contraenti a carico del quale o dei quali il contratto è destinato a produrre effetti gravosi. Su tale tesi si fonda l’orientamento che individua nella norma di cui all’art. 1333 c.c. uno schema di “contratto a formazione unilaterale”. Si passa, quindi, al secondo capitolo del lavoro, in cui l’A. compie un’indagine in ordine, appunto, alla natura giuridica ed alla struttura dell’istituto di cui all’art. 1333 c.c., analizzando (in particolare nei paragrafi 5-8) le varie teorie dottrinali e giurisprudenziali che sono state proposte nel tempo e mettendo in evidenza, per ciascuna di esse, i rispettivi profili di criticità, nonché le conseguenze giuridiche e pratiche che deriverebbero dal loro accoglimento (par. 9). La fattispecie formativa in oggetto viene esaminata ricollegandosi anche ai suoi “antecedenti diretti” nell’ordinamento italiano nonché, comparativamente, facendosi riferimento ad istituti simili riscontrabili in ambito internazionale ed a quanto previsto nel c.d. diritto privato europeo, in particolare nei recenti progetti di “armonizzazione” e di “codificazione” civile europea (v. part. 16). L’A. propone, quindi, una soluzione ermeneutica alternativa, muovendo dal concetto di “silenzio circostanziato” ed ipotizzando un’applicazione di tale concetto al comportamento omissivo dell’oblato, che verrebbe così valutato e “qualificato” sulla base delle circostanze “tipizzate” dal legislatore e di tutte le circostanze, soggettive ed oggettive, ravvisabili nel caso concreto. L’impostazione così suggerita troverebbe significativi riscontri anche in talune fattispecie concrete emergenti nella casistica giurisprudenziale (v. par. 11). La tesi contrattualista avanzata viene approfondita nei successivi par. 12 e 13, in cui vengono individuati e confrontati i rispettivi interessi che sono alla base del rapporto tra il proponente e l’oblato, prospettandosi due differenti ipotesi ricostruttive della norma di cui all’art. 1333 c.c. Nella prima di esse, la valorizzazione delle esigenze del promissario, emergenti dal “contesto” e dai risvolti oggettivi e soggettivi della complessiva operazione economica, potrebbe indurre l’interprete, qualora rinvenga un interesse concreto dell’oblato a non ricevere l’attribuzione patrimoniale, a considerare non concluso il contratto nonostante l’omesso rifiuto nel termine previsto. Nella seconda ipotesi, invece, ragioni di “coerenza sistematica”, esigenze di “certezza del diritto” e la necessità di tutelare l’affidamento del proponente, farebbero propendere per una prevalenza delle “circostanze legalmente tipizzate” sulle “circostanze di fatto”, e quindi per una valutazione del “silenzio” del promissario in cui l’unica circostanza rilevante (al fine di escludere che esso integri una “determinazione di contrarre”) potrebbe essere costituita dall’ “impedimento di fatto” dell’oblato ad esercitare tempestivamente il potere di rifiuto. Alla luce delle considerazioni svolte, ed attraverso un raffronto con altre fattispecie normative, viene quindi confutata l’opinione secondo cui il contegno omissivo dell’oblato si qualificherebbe sempre come “silenzio semplice” e mai come “silenzio circostanziato”, sottolineandosi l’insufficienza delle argomentazioni basate sul rispetto della sola lettera della disposizione codicistica in esame. Il terzo capitolo del lavoro è dedicato specificamente all’esame dei rapporti tra la fattispecie di cui all’art. 1333 c.c. e le ipotesi di c.d. adempimento traslato, ed al connesso problema dell’individuazione della struttura dell’atto adempitivo dell’obbligo traslativo. Viene, a tal riguardo, affrontata preliminarmente la dibattuta questione relativa alla configurabilità o meno di negozi ex art. 1333 c.c. ad efficacia reale, che l’A. risolve, in linea di principio, in senso negativo tenendo conto delle “ratio” della norma e della conseguente necessità di valutare i pregiudizi che possono derivare dall’acquisto di diritti reali (par. 17 e 18). L’efficacia extraobbligatoria delle fattispecie in oggetto viene peraltro ammessa quantomeno in alcune specifiche ipotesi di “adempimento traslativo”, potendosi ritenere rispettati, in tali casi, anche i requisiti di forma prescritti ad substantiam dalla legge nella conclusione di contratti traslativi relativi ai diritti reali immobiliari. La ricerca dedica ampio spazio alle applicazioni giurisprudenziali dell’art. 1333 c.c. in materia di “adempimento traslativo”, con particolare riferimento agli accordi raggiunti in sede di separazione personale (o di divorzio) tra i coniugi che prevedano, con tecnica obbligatoria, il trasferimento o la costituzione di diritti reali (v. par. 20 e 21). L’A. analizza, quindi, criticamente le tesi dottrinali che configurano l’atto adempitivo dell’obbligo traslativo in termini di “unilateralità” (cioè quale “atto unilaterale non negoziale” o quale “negozio giuridico unilaterale”), esponendo gli argomenti di tipo giuridico e di tipo economico che depongono, al contrario, nel senso della necessità della struttura contrattuale per la realizzazione del trasferimento dei diritti reali. Una volta affermata la necessità della struttura contrattuale per attuare il trasferimento nelle ipotesi di “adempimento traslativo”, lo studio mette, peraltro, in evidenza l’opportunità di considerare i vari aspetti della fattispecie concreta (ed in primis la presenza o meno del carattere di “gratuità” nell’attribuzione traslativa), al fine di stabilire se l’atto adempitivo possa essere ricondotto allo schema contrattuale di cui all’art. 1333 c.c., ovvero debba concludersi secondo gli altri modi di formazione caratterizzati da una duplice approvazione espressa dal proponente o dall’accettante. Il lavoro si sofferma particolarmente sulle garanzie previste dalla legge a tutela del “solvens” nei casi in cui il creditore non aderisca alla proposta contrattuale di adempimento (par. 25), dimostrandosi l’applicabilità dell’istituto della “mora credendi” alle “prestazioni di contrarre” in oggetto ma non la necessità, per il debitore, di ricorrere alle procedure di liberazione coattiva di cui agli artt. 1210 e segg. c.c. Viceversa, l’A. prospetta la possibilità per il solvens di liberarsi dal vincolo attraverso il modo di estinzione dell’obbligazione rappresentato dall’impossibilità sopravvenuta temporanea, non imputabile al debitore; sottolineando, inoltre, che il debitore trova un’ulteriore, fondamentale tutela nella previsione dell’ “esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto” di cui all’art. 2932 c.c. (di cui vengono citate anche talune applicazioni giurisprudenziali concernenti diverse fattispecie tipiche di “adempimento traslativo”).
File in questo prodotto:
Non ci sono file associati a questo prodotto.

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11393/192682
 Attenzione

Attenzione! I dati visualizzati non sono stati sottoposti a validazione da parte dell'ateneo

Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact