Nella gamma di strumenti astrattamente ipotizzabili per garantire al sistema processualpenalistico maggiore agilità ed efficienza, rivestono notevole interesse la declaratoria di irrilevanza del fatto e la mediazione: l'una volta ad espellere dal circuito giudiziario fatti di scarsa lesività, l'altra protesa alla composizione del conflitto tra autore e vittima del reato, con effetti inibitori sull'itinerario processuale. L'idoneità di entrambe ad imprimere al rito penale una consistente accelerazione è legata alla naturale vocazione di tali istituti a collocarsi in una fase precoce del procedimento, propiziandone una definizione anticipata a fronte del riconosciuto venir meno dell'interesse statuale alla realizzazione della pretesa punitiva, vuoi in considerazione della concreta irrilevanza del reato commesso, vuoi a seguito dell'intervenuta conciliazione tra il responsabile e l'offeso. Da un lato, consentono di evitare il funzionamento a pieno regime della macchina processuale per fatti bagatellari in sé o per il venir meno del conflitto prodotto, portando a compimento in tempi rapidi il percorso processuale avviatosi; dall'altro, permettono di recuperare le energie risparmiate dal sistema su altri, più impegnativi fronti. Gli istituti in esame, inoltre, presentano collegamenti non trascurabili con esperienze consolidate di altri paesi europei (si pensi a quelle francese, tedesca, austriaca), sicché una verifica sulle loro potenzialità nell'ordinamento nazionale è divenuta indifferibile, considerate le sempre maggiori spinte, a tutti i livelli, verso una progressiva integrazione (o quanto meno armonizzazione) degli ordinamenti e dei sistemi giuridici d'Europa. Anche la facile praticabilità e il rilevante tasso di flessibilità e "concretezza" sipegano l'indubbio risalto che l'irrilevanza e la mediazione hanno acquisito, tra le prospettive di riforma dell'ordinamento processuale. Entrambe valorizzano l'illecito penale come manifestazione reale, con le sue peculiarità di fatto umano produttivo di danno, persino svalutandone la riconducibilità ad una fattispecie normativa, in un certo senso avvicinando alla sensibilità collettiva il giudizio sulla gravità dell'illecito e rendendo maggiormente "comprensibile" la risposta offerta dall'ordinamento. Su questo piano, non va ignorato il rilievo assegnato, in entrambe le prospettive, alla vittima del reato, offrendosi al legislatore una considerevole chance per recuperare il terreno perduto nel settore della tutela dell'offeso e del recupero di un suo ruolo definito nella disciplina processuale. I segnali dell'interesse che gli istituti ricordati stanno progressivamente guadagnando sono piuttosto evidenti (v. le indicazioni di cui alla base scientifica), ma le prospettive che hanno nel nostro ordinamento sono fortemente condizionate dai problemi che possono sollevare. Si pensi solo alla difficoltà di conciliare i presupposti dell'irrilevanza del fatto con il principio di obbligatorietà dell'azione penale, al problema di costruirla come causa di non punibilità o condizione di procedibilità, alla possibilità di farla operare come causa di archiviazione o a fondamento della sentenza di non luogo a procedere, alla necessità di indicarne i parametri di verifica ed i meccanismi di applicazione. Così, la mediazione solleva non pochi problemi, non avendo una solida base normativa dalla quale muovere ed imponendo uno sforzo di inventiva per individuarne i parametri di applicazione, le modalità di inserimento all'interno del meccanismo processuale, le ricadute in termini di definizione anticipata del procedimento, il ruolo della difesa e della vittima, e per valutare la stessa opportunità di definire normativamente la figura di un "mediatore". La ricerca su queste tematiche, dunque, non può prescindere dall'analisi dell'elaborazione esistente in materia e dalle emersioni normative degli istituti che sono oggetto di studio. Vanno innanzitutto verificati: l'applicazione delle ipotesi di irrilevanza e di mediazione (ovvero di conciliazione) vigenti nell'ordinamento, le problematiche di maggior spessore cui hanno dato origine, la giurisprudenza che ne è scaturita, la dottrina che vi si è dedicata. E, soprattutto, si deve analizzare il grado di deflazione che hanno in concreto prodotto, considerando la reale idoneità che presentano come tecniche di alleggerimento del sistema processuale, strumenti per contemperare efficienza ed economia del rito. A seguito di questa fase "ricognitiva", potranno essere isolati i punti maggiormente problematici sollevati dai temi oggetto di studio. Va tenuto conto delle analoghe esperienze straniere cui gli istituti in esame possono essere assimilati: si rende necessario, in particolare, verificare l'efficacia deflattiva che hanno dimostrato negli ordinamenti d'oltre confine in cui sono previsti, nonché la reale idoenità a contrarre i tempi del rito. Vanno quindi analizzate le prospettive di riforma, prendendo le mosse dalla legge delega per il procedimento innanzi al giudice di pace, ed arrivando alle proposte di legge tuttora giacenti presso le Camere, di cui vanno verificate la praticabilità e la compatibilità con l'assetto normativo vigente, soprattutto a livello della disciplina costituzionale, con la quale vi sono diverse, ardue implicazioni. Le conclusioni della ricerca dovrebbero concretarsi nel suggerire accomodamenti e modifiche alla normativa vigente, ma anche nell'individuare i possibili interventi in ordine alla disciplina che su queste tematiche è tuttora in itinere, senza trascurare la possibilità di riforme ulteriori, ove lo stato dell'ordinamento processuale consigli più ampie e penetranti iniziative. In particolare, verranno coltivate le prospettive di intervento sulla normativa in vigore, al fine di valorizzare gli istituti in esame (o di introdurne di nuovi) come tecniche per incrementare il tasso di efficienza del processo penale e la sua celerità, conseguendo al contempo una risposta istituzionale all'illecito che possa dirsi rapida e credibile.

Irrilevanza del fatto e forme di mediazione

GIOSTRA, Glauco;CESARI, Claudia;CARACENI, Lina;BOSCO, Valeria
2000-01-01

Abstract

Nella gamma di strumenti astrattamente ipotizzabili per garantire al sistema processualpenalistico maggiore agilità ed efficienza, rivestono notevole interesse la declaratoria di irrilevanza del fatto e la mediazione: l'una volta ad espellere dal circuito giudiziario fatti di scarsa lesività, l'altra protesa alla composizione del conflitto tra autore e vittima del reato, con effetti inibitori sull'itinerario processuale. L'idoneità di entrambe ad imprimere al rito penale una consistente accelerazione è legata alla naturale vocazione di tali istituti a collocarsi in una fase precoce del procedimento, propiziandone una definizione anticipata a fronte del riconosciuto venir meno dell'interesse statuale alla realizzazione della pretesa punitiva, vuoi in considerazione della concreta irrilevanza del reato commesso, vuoi a seguito dell'intervenuta conciliazione tra il responsabile e l'offeso. Da un lato, consentono di evitare il funzionamento a pieno regime della macchina processuale per fatti bagatellari in sé o per il venir meno del conflitto prodotto, portando a compimento in tempi rapidi il percorso processuale avviatosi; dall'altro, permettono di recuperare le energie risparmiate dal sistema su altri, più impegnativi fronti. Gli istituti in esame, inoltre, presentano collegamenti non trascurabili con esperienze consolidate di altri paesi europei (si pensi a quelle francese, tedesca, austriaca), sicché una verifica sulle loro potenzialità nell'ordinamento nazionale è divenuta indifferibile, considerate le sempre maggiori spinte, a tutti i livelli, verso una progressiva integrazione (o quanto meno armonizzazione) degli ordinamenti e dei sistemi giuridici d'Europa. Anche la facile praticabilità e il rilevante tasso di flessibilità e "concretezza" sipegano l'indubbio risalto che l'irrilevanza e la mediazione hanno acquisito, tra le prospettive di riforma dell'ordinamento processuale. Entrambe valorizzano l'illecito penale come manifestazione reale, con le sue peculiarità di fatto umano produttivo di danno, persino svalutandone la riconducibilità ad una fattispecie normativa, in un certo senso avvicinando alla sensibilità collettiva il giudizio sulla gravità dell'illecito e rendendo maggiormente "comprensibile" la risposta offerta dall'ordinamento. Su questo piano, non va ignorato il rilievo assegnato, in entrambe le prospettive, alla vittima del reato, offrendosi al legislatore una considerevole chance per recuperare il terreno perduto nel settore della tutela dell'offeso e del recupero di un suo ruolo definito nella disciplina processuale. I segnali dell'interesse che gli istituti ricordati stanno progressivamente guadagnando sono piuttosto evidenti (v. le indicazioni di cui alla base scientifica), ma le prospettive che hanno nel nostro ordinamento sono fortemente condizionate dai problemi che possono sollevare. Si pensi solo alla difficoltà di conciliare i presupposti dell'irrilevanza del fatto con il principio di obbligatorietà dell'azione penale, al problema di costruirla come causa di non punibilità o condizione di procedibilità, alla possibilità di farla operare come causa di archiviazione o a fondamento della sentenza di non luogo a procedere, alla necessità di indicarne i parametri di verifica ed i meccanismi di applicazione. Così, la mediazione solleva non pochi problemi, non avendo una solida base normativa dalla quale muovere ed imponendo uno sforzo di inventiva per individuarne i parametri di applicazione, le modalità di inserimento all'interno del meccanismo processuale, le ricadute in termini di definizione anticipata del procedimento, il ruolo della difesa e della vittima, e per valutare la stessa opportunità di definire normativamente la figura di un "mediatore". La ricerca su queste tematiche, dunque, non può prescindere dall'analisi dell'elaborazione esistente in materia e dalle emersioni normative degli istituti che sono oggetto di studio. Vanno innanzitutto verificati: l'applicazione delle ipotesi di irrilevanza e di mediazione (ovvero di conciliazione) vigenti nell'ordinamento, le problematiche di maggior spessore cui hanno dato origine, la giurisprudenza che ne è scaturita, la dottrina che vi si è dedicata. E, soprattutto, si deve analizzare il grado di deflazione che hanno in concreto prodotto, considerando la reale idoneità che presentano come tecniche di alleggerimento del sistema processuale, strumenti per contemperare efficienza ed economia del rito. A seguito di questa fase "ricognitiva", potranno essere isolati i punti maggiormente problematici sollevati dai temi oggetto di studio. Va tenuto conto delle analoghe esperienze straniere cui gli istituti in esame possono essere assimilati: si rende necessario, in particolare, verificare l'efficacia deflattiva che hanno dimostrato negli ordinamenti d'oltre confine in cui sono previsti, nonché la reale idoenità a contrarre i tempi del rito. Vanno quindi analizzate le prospettive di riforma, prendendo le mosse dalla legge delega per il procedimento innanzi al giudice di pace, ed arrivando alle proposte di legge tuttora giacenti presso le Camere, di cui vanno verificate la praticabilità e la compatibilità con l'assetto normativo vigente, soprattutto a livello della disciplina costituzionale, con la quale vi sono diverse, ardue implicazioni. Le conclusioni della ricerca dovrebbero concretarsi nel suggerire accomodamenti e modifiche alla normativa vigente, ma anche nell'individuare i possibili interventi in ordine alla disciplina che su queste tematiche è tuttora in itinere, senza trascurare la possibilità di riforme ulteriori, ove lo stato dell'ordinamento processuale consigli più ampie e penetranti iniziative. In particolare, verranno coltivate le prospettive di intervento sulla normativa in vigore, al fine di valorizzare gli istituti in esame (o di introdurne di nuovi) come tecniche per incrementare il tasso di efficienza del processo penale e la sua celerità, conseguendo al contempo una risposta istituzionale all'illecito che possa dirsi rapida e credibile.
2000
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