“Comunicazione e comunicare”, ovvero leggere la comunicazione alla luce della sua verbalità, del suo essere verbo che descrive un’azione: che cosa ne va nell’atto del comunicare, per il corpo? In che modo questo atto coinvolge e implica il corpo visibile che comunica? Essendo il corpo a “comunicare”, essendo per suo tramite che la comunicazione è resa alla propria verbalità (“a ciò che nella comunicazione è evento”), è per esso che propongo di iniziare, mettendo a fuoco un particolare dello status quaestionis al quale, negli ultimi anni, è stato consegnato. Tale particolare è l’efficace e feconda distinzione husserliana di Körper e Leib, ossia la differenza tra un corpo che è fisico e visibile e un corpo organico invisibile. Distinzione felice e feconda, che ha sottratto il corpo alla pura e semplice cosalità rendendo possibile che si parlasse, dopo la separazione tra mente e corpo, dell’io come unità psicofisica. Distinzione tanto felice quanto equivocata: la sua Wirkungsgeschichte, infatti, ci consegna una vicenda nella quale tra corpo fisico visibile e corpo organico invisibile, evidentemente due diversi modi di concepire il medesimo corpo (e la medesima carne), si consuma una paradossale “separazione” la cui forma è la delegittimazione del primo, visibile tra i visibili (cosa tra le cose, ente tra gli enti, oggetto tra gli oggetti…) con la conseguente enfasi posta sul secondo. Non che tale enfasi sia deprecabile, tutt’altro: essa mira a ribadire la dignità di ogni aspetto del biologico vivente, della complessità vivente dell’umano. E, tuttavia, è lecito mettere in ombra il corpo fisico soltanto perché visibile al modo degli enti? È quanto ha fatto – spingendosi ben oltre Husserl – il filosofo francese Michel Henry, che riflettendo in modo endurante sulla carne opponendola al corpo, ne ha affermato la superiorità (ossia la superiorità della carne invisibile e senziente) rispetto al corpo visibile, che non sarebbe altro da un ente tra gli enti. Tale primato spetta alla carne perché il sentire è possibile per la Vita che in essa s’auto-impressionne. Così facendo limito a poche battute la discussione di un pensiero ben più ricco e articolato; poche battute che, tuttavia, permettono di cogliere le conseguenze che la scelta di campo compiuta dal filosofo francese ha per il tema della comunicazione e del comunicare: com’è possibile, infatti, che la carne senziente, e senziente per sé grazie alla Vita che in essa s’autoaffecte da sé e in sé, comunichi? Non rischia di incorrere in quel solipsismo che Husserl obiettava a se stesso all’inizio della Quinta meditazione cartesiana – obiezione per rispondere alla quale introduceva proprio la distinzione tra Körper e Leib, incrociando infine la questione dell’alterità ? Quando ogni apparire del corpo è delegittimato perché apparire nel mondo (a differenza della Vita che non si manifesta nel mondo, restando invisibile), che cosa si comunica, se sentire è possibile per ciascuno soltanto nella propria carne vivente grazie e per la Vita che, proprio in tale sentire, si dà? È possibile comunicare tale sentire la Vita, ché «una carne reale e vivente, si rivela nell’autoimpressionalità della vita e non nel fuori di sé di un mondo» ? Mi pare che, posta – da parte di Henry – questa premessa fenomenologica, comunicare non sarà effettivamente possibile e si correrà il rischio di murare ogni atto del comunicare nell’enclave di un sentire la cui comunicazione è sempre e solo autocomunicazione – cadendo in un paradossale solipsismo auto-impressionantesi della carne senziente. Questa è una vicenda, nota e recente, della distinzione tra Körper e Leib inizialmente annunciata; non la sola, naturalmente, e un’altra via, un’altra lettura può darsi , riprendendo la differenza tra corpo fisico visibile e corpo vivente invisibile da un diverso punto di vista, rimarcando la tensione che tiene insieme i due modi intendere il medesimo corpo, le due dimensioni individuate, pensabili anche in unione tensiva. È vero, naturalmente, che gioia, piacere, dolore, soddisfazione, godimento, appagamento… , sono sentimenti sentiti da ciascuno nella e per la dimensione invisibile della carne vivente. Ma il sentire gioia, dolore, ecc., reso possibile da questa carne invisibile, che avviene in questa carne invisibile, è comunicato e portato ad espressione comunicativa visibile da segni visibili nel corpo fisico, nel volto, ad esempio, o in talune posture del corpo nelle quali si coglie e comunica più di quanto il corpo stesso di fatto esprima. La reciproca, perciò, vale, perché il corpo, il corpo fisico, è capace di portare a manifestazione e rivelazione ciò che invisibilmente è accaduto: gli occhi mostrano gioia o tristezza, un volto, l’ampia gamma di sentire che va dal godimento al dolore. Vi è dunque un’unione tensiva e vivente resa possibile da un legame che potrebbe essere definito simbolico tra quanto la carne invisibile sente e il corpo visibile porta a manifestazione; simbolico nel senso di uno dei significati etimologici di simbolo, ossia la tessera hospitalis: due parti che si ricongiungono in un’unità internamente differente . Il corpo fisico, cioè, è la visibilità di qualcosa che accade restando invisibile. Esso comunica ciò che altrimenti resterebbe invisibile e non partecipabile dal momento che è sentito esclusivamente da ciascuno per sé. Detto altrimenti, quello del corpo è un comunicare “che porta ad espressione”. Delegittimare il corpo fisico, riducendolo soltanto ad “oggettività fisica”, non rende conto di questo aspetto che, invece, è essenziale per il corpo stesso: il corpo, di per sé, è già più di un semplice oggetto; esso è una complessione, uno stato che porta a manifestazione comunicando, facendo conoscere ciò che invisibilmente accade. Comunicazioni invisibili che rivelano quel legame simbolico che il corpo come tale – unione tensiva – è.

La comunicazione invisibile del corpo visibile

CANULLO, Carla
2012-01-01

Abstract

“Comunicazione e comunicare”, ovvero leggere la comunicazione alla luce della sua verbalità, del suo essere verbo che descrive un’azione: che cosa ne va nell’atto del comunicare, per il corpo? In che modo questo atto coinvolge e implica il corpo visibile che comunica? Essendo il corpo a “comunicare”, essendo per suo tramite che la comunicazione è resa alla propria verbalità (“a ciò che nella comunicazione è evento”), è per esso che propongo di iniziare, mettendo a fuoco un particolare dello status quaestionis al quale, negli ultimi anni, è stato consegnato. Tale particolare è l’efficace e feconda distinzione husserliana di Körper e Leib, ossia la differenza tra un corpo che è fisico e visibile e un corpo organico invisibile. Distinzione felice e feconda, che ha sottratto il corpo alla pura e semplice cosalità rendendo possibile che si parlasse, dopo la separazione tra mente e corpo, dell’io come unità psicofisica. Distinzione tanto felice quanto equivocata: la sua Wirkungsgeschichte, infatti, ci consegna una vicenda nella quale tra corpo fisico visibile e corpo organico invisibile, evidentemente due diversi modi di concepire il medesimo corpo (e la medesima carne), si consuma una paradossale “separazione” la cui forma è la delegittimazione del primo, visibile tra i visibili (cosa tra le cose, ente tra gli enti, oggetto tra gli oggetti…) con la conseguente enfasi posta sul secondo. Non che tale enfasi sia deprecabile, tutt’altro: essa mira a ribadire la dignità di ogni aspetto del biologico vivente, della complessità vivente dell’umano. E, tuttavia, è lecito mettere in ombra il corpo fisico soltanto perché visibile al modo degli enti? È quanto ha fatto – spingendosi ben oltre Husserl – il filosofo francese Michel Henry, che riflettendo in modo endurante sulla carne opponendola al corpo, ne ha affermato la superiorità (ossia la superiorità della carne invisibile e senziente) rispetto al corpo visibile, che non sarebbe altro da un ente tra gli enti. Tale primato spetta alla carne perché il sentire è possibile per la Vita che in essa s’auto-impressionne. Così facendo limito a poche battute la discussione di un pensiero ben più ricco e articolato; poche battute che, tuttavia, permettono di cogliere le conseguenze che la scelta di campo compiuta dal filosofo francese ha per il tema della comunicazione e del comunicare: com’è possibile, infatti, che la carne senziente, e senziente per sé grazie alla Vita che in essa s’autoaffecte da sé e in sé, comunichi? Non rischia di incorrere in quel solipsismo che Husserl obiettava a se stesso all’inizio della Quinta meditazione cartesiana – obiezione per rispondere alla quale introduceva proprio la distinzione tra Körper e Leib, incrociando infine la questione dell’alterità ? Quando ogni apparire del corpo è delegittimato perché apparire nel mondo (a differenza della Vita che non si manifesta nel mondo, restando invisibile), che cosa si comunica, se sentire è possibile per ciascuno soltanto nella propria carne vivente grazie e per la Vita che, proprio in tale sentire, si dà? È possibile comunicare tale sentire la Vita, ché «una carne reale e vivente, si rivela nell’autoimpressionalità della vita e non nel fuori di sé di un mondo» ? Mi pare che, posta – da parte di Henry – questa premessa fenomenologica, comunicare non sarà effettivamente possibile e si correrà il rischio di murare ogni atto del comunicare nell’enclave di un sentire la cui comunicazione è sempre e solo autocomunicazione – cadendo in un paradossale solipsismo auto-impressionantesi della carne senziente. Questa è una vicenda, nota e recente, della distinzione tra Körper e Leib inizialmente annunciata; non la sola, naturalmente, e un’altra via, un’altra lettura può darsi , riprendendo la differenza tra corpo fisico visibile e corpo vivente invisibile da un diverso punto di vista, rimarcando la tensione che tiene insieme i due modi intendere il medesimo corpo, le due dimensioni individuate, pensabili anche in unione tensiva. È vero, naturalmente, che gioia, piacere, dolore, soddisfazione, godimento, appagamento… , sono sentimenti sentiti da ciascuno nella e per la dimensione invisibile della carne vivente. Ma il sentire gioia, dolore, ecc., reso possibile da questa carne invisibile, che avviene in questa carne invisibile, è comunicato e portato ad espressione comunicativa visibile da segni visibili nel corpo fisico, nel volto, ad esempio, o in talune posture del corpo nelle quali si coglie e comunica più di quanto il corpo stesso di fatto esprima. La reciproca, perciò, vale, perché il corpo, il corpo fisico, è capace di portare a manifestazione e rivelazione ciò che invisibilmente è accaduto: gli occhi mostrano gioia o tristezza, un volto, l’ampia gamma di sentire che va dal godimento al dolore. Vi è dunque un’unione tensiva e vivente resa possibile da un legame che potrebbe essere definito simbolico tra quanto la carne invisibile sente e il corpo visibile porta a manifestazione; simbolico nel senso di uno dei significati etimologici di simbolo, ossia la tessera hospitalis: due parti che si ricongiungono in un’unità internamente differente . Il corpo fisico, cioè, è la visibilità di qualcosa che accade restando invisibile. Esso comunica ciò che altrimenti resterebbe invisibile e non partecipabile dal momento che è sentito esclusivamente da ciascuno per sé. Detto altrimenti, quello del corpo è un comunicare “che porta ad espressione”. Delegittimare il corpo fisico, riducendolo soltanto ad “oggettività fisica”, non rende conto di questo aspetto che, invece, è essenziale per il corpo stesso: il corpo, di per sé, è già più di un semplice oggetto; esso è una complessione, uno stato che porta a manifestazione comunicando, facendo conoscere ciò che invisibilmente accade. Comunicazioni invisibili che rivelano quel legame simbolico che il corpo come tale – unione tensiva – è.
2012
9788860563132
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