Questo testo è dichiarato parte di un ragionamento più complesso. L’assunto di fondo muove dalla convinzione che Platone scriva in modo protrettico, offrendo “giochi” che spingono, e a volte costringo-no, il lettore a procedere oltre quello che afferma il testo. Ciò implica anche che i “giochi divengono via via più complessi e “difficili”. Su questa base, si intende mostrare che Platone ha scritto Filebo e Timeo in un “quadro di allusioni unitarie”, fornendo così un’indicazione della opportunità di leggerli in stretta connessione, in quanto si integrano reciprocamente. Di conseguenza, compito dell’interprete è quello 1) di identificare questi segnali, 2) di verificare, in prima approssimazione, il reciproco “soccorso” dei due dialoghi; 3) di mostrare come tale operazione aiuti a ricostruire un quadro della metafisica e della co-smologia platonica. In questo testo ci si limita a svolgere una parte del primo punto, di cui però elenca tutti i passaggi. Dunque, entrambi i dialoghi, 1) sono titolati a personaggi inventati; 2) svolgono una discussione con un interlocutore “di ripiego”; 3) rinviano a una trattazione precedente; 4) finiscono con una interruzione, una scelta drammaturgica estrema che va spiegata; 5) si collegano ad un contesto pitagorico; 6) presen-tano al loro interno due trattazioni diverse, che devono essere intrecciate per cogliere il senso della pro-posta platonica; 7) presentano una doppia natura, uguale e contraria: il Filebo svolge una trattazione an-tropologica e fornisce un contributo sul piano metafisico e teologico, il Timeo svolge una riflessione co-smologico-metafisica e fornisce fin dall’inizio elementi per l’antropologia platonica; 8) danno luogo ad un gioco di incastri: sul piano antropologico, il Filebo svolge il quadro etico mentre il Timeo propone elementi del quadro politico, sul terreno metafisico, il Filebo parla dei Principi e del Bene, mentre il Ti-meo tratta della Causa demiurgica e della Causa materiale; 9) rivelano una struttura bifronte, sia sul pia-no del metodo sia su quello argomentativo, per cui, in sintesi, il Filebo è riduttivo-generalizzante, il Ti-meo derivativo-elementarizzante; 10) presentano caratteristiche peculiari rispetto alla struttura degli altri dialoghi; 11) si collocano nello stesso blocco finale di dialoghi. Di questi punti l’articolo svolge solo i primi quattro, di cui però approfondisce tutti gli aspetti più ri-levanti. Così si cerca di dimostrare che sotto la figura di Filebo di nasconde Eudosso e che l’Innominato che è assente dalla discussione del Timeo è tanto importante che si può anche supporre che nasconda la figura dello stesso Platone. Si affronta in modo approfondito anche la questione del rapporto tra la Re-pubblica e il Timeo, mostrando i tanti argomenti che portano ad escludere che il modello presentato nel secondo dialogo sia una cattiva esposizione di quello illustrato nel primo. Infine, a proposito della chiusura tronca dei due testi, sulla base della evidenza che in entrambi i casi si tratta di un gesto drammaturgico estremo voluto dall’autore si affronta la questione del Crizia e quindi della “stranezza” dei personaggi che interloquiscono nel Timeo. In questa chiave si sostiene non solo che non c’è alcuna base testuale per pensare ad altri dialoghi che Platone non avrebbe avuto il tempo di scrivere, ma che 1) può essere possibile spiegare come Platone faccia intervenire Crizia per togliergli poi la parola nel momento in cui deve assumere la veste di Zeus e 2) che appare logico non far svolgere un ruolo positivo a un personaggio del tutto negativo e nemico di Atene come Ermocrate.

Philebus and Timaeus: Plato “suggests” reading these two dialogues together

MIGLIORI, Maurizio
2010-01-01

Abstract

Questo testo è dichiarato parte di un ragionamento più complesso. L’assunto di fondo muove dalla convinzione che Platone scriva in modo protrettico, offrendo “giochi” che spingono, e a volte costringo-no, il lettore a procedere oltre quello che afferma il testo. Ciò implica anche che i “giochi divengono via via più complessi e “difficili”. Su questa base, si intende mostrare che Platone ha scritto Filebo e Timeo in un “quadro di allusioni unitarie”, fornendo così un’indicazione della opportunità di leggerli in stretta connessione, in quanto si integrano reciprocamente. Di conseguenza, compito dell’interprete è quello 1) di identificare questi segnali, 2) di verificare, in prima approssimazione, il reciproco “soccorso” dei due dialoghi; 3) di mostrare come tale operazione aiuti a ricostruire un quadro della metafisica e della co-smologia platonica. In questo testo ci si limita a svolgere una parte del primo punto, di cui però elenca tutti i passaggi. Dunque, entrambi i dialoghi, 1) sono titolati a personaggi inventati; 2) svolgono una discussione con un interlocutore “di ripiego”; 3) rinviano a una trattazione precedente; 4) finiscono con una interruzione, una scelta drammaturgica estrema che va spiegata; 5) si collegano ad un contesto pitagorico; 6) presen-tano al loro interno due trattazioni diverse, che devono essere intrecciate per cogliere il senso della pro-posta platonica; 7) presentano una doppia natura, uguale e contraria: il Filebo svolge una trattazione an-tropologica e fornisce un contributo sul piano metafisico e teologico, il Timeo svolge una riflessione co-smologico-metafisica e fornisce fin dall’inizio elementi per l’antropologia platonica; 8) danno luogo ad un gioco di incastri: sul piano antropologico, il Filebo svolge il quadro etico mentre il Timeo propone elementi del quadro politico, sul terreno metafisico, il Filebo parla dei Principi e del Bene, mentre il Ti-meo tratta della Causa demiurgica e della Causa materiale; 9) rivelano una struttura bifronte, sia sul pia-no del metodo sia su quello argomentativo, per cui, in sintesi, il Filebo è riduttivo-generalizzante, il Ti-meo derivativo-elementarizzante; 10) presentano caratteristiche peculiari rispetto alla struttura degli altri dialoghi; 11) si collocano nello stesso blocco finale di dialoghi. Di questi punti l’articolo svolge solo i primi quattro, di cui però approfondisce tutti gli aspetti più ri-levanti. Così si cerca di dimostrare che sotto la figura di Filebo di nasconde Eudosso e che l’Innominato che è assente dalla discussione del Timeo è tanto importante che si può anche supporre che nasconda la figura dello stesso Platone. Si affronta in modo approfondito anche la questione del rapporto tra la Re-pubblica e il Timeo, mostrando i tanti argomenti che portano ad escludere che il modello presentato nel secondo dialogo sia una cattiva esposizione di quello illustrato nel primo. Infine, a proposito della chiusura tronca dei due testi, sulla base della evidenza che in entrambi i casi si tratta di un gesto drammaturgico estremo voluto dall’autore si affronta la questione del Crizia e quindi della “stranezza” dei personaggi che interloquiscono nel Timeo. In questa chiave si sostiene non solo che non c’è alcuna base testuale per pensare ad altri dialoghi che Platone non avrebbe avuto il tempo di scrivere, ma che 1) può essere possibile spiegare come Platone faccia intervenire Crizia per togliergli poi la parola nel momento in cui deve assumere la veste di Zeus e 2) che appare logico non far svolgere un ruolo positivo a un personaggio del tutto negativo e nemico di Atene come Ermocrate.
2010
9788486887766
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