Va pregiudizialmente sciolta l’ambiguità funzionale di cui il processo penale minorile sovente è intriso: strumento specializzato di accertamento di eventuali responsabilità penali o strumento psicoterapeutico, a vocazione rieducativa. L’attenzione per le esigenze evolutive del minorenne e la conseguente tensione verso una individualizzazione del processo sono indubbiamente apprezzabili, purché se ne colga l’invalicabile limite implicito: l’intervento giurisdizionale non deve mai abdicare al suo compito di accertamento delle responsabilità penali, attraverso le medesime regole procedimentali. Il legislatore può anche decidere di rinunciare al processo, alla sua prosecuzione, alla condanna o alla pena, quando valuta i vantaggi individuali e sociali che ne deriverebbero minusvalenti rispetto al nocumento per la positiva evoluzione della personalità del minore, ma non deve snaturare il processo asservendolo a generici fini rieducativi, tanto giuridicamente inammissibili (a meno di non voler rinunciare alla presunzione di non colpevolezza), quanto pedagogicamente improbabili (proprio la «pedagogizzazione» del processo penale sarebbe il più serio vulnus a quella finalità educativa nel cui nome la si vorrebbe imporre: l’imputato innocente non potrebbe che percepirla come un’ingiusta e intollerabile irruzione dello Stato nel suo percorso evolutivo; l’imputato colpevole ne riceverebbe un diseducativo messaggio di paternalistico indulgenzialismo). Riaffermare le ragioni del processo rispetto alle finalità improprie che talvolta si tende ad assegnargli nella giustizia minorile, è necessario, ma certo non sufficiente: si perderebbe altrimenti il senso dell’esigenza – che invece va ribadita con forza - di una giurisdizione minorile specializzata. Il processo penale minorile deve ritagliare le sue forme sulle peculiarità del soggetto che ne è protagonista, anzitutto, predisponendo un reticolo di accorgimenti per ridurre, se non per eliminare, le difficoltà del minorenne a parteciparvi nella piena consapevolezza del suo significato, delle proprie prerogative e delle implicazioni delle proprie scelte. L’obbiettivo primario, dunque, dovrebbe essere quello di una giurisdizione che sappia declinarsi sulle peculiari necessità dell’imputato, senza abdicare al suo fine istituzionale; anzi, che si specializzi per meglio perseguirlo. In quest’ottica la giustizia penale minorile deve avere una sua autonoma fisionomia normativa che, pur largamente tributaria di quella ordinaria, sappia disegnare organi ed itinerari consentanei alla specifica condizione psicofisica del suo destinatario elettivo. Non può, tuttavia, essere concepita come la giustizia penale per gli adulti con qualche deroga ope legis vel iudicis. Non basta predisporre “provvidenze normative” idonee a compensare il deficit di maturità del minorenne, per garantire una sua partecipazione effettiva e consapevole al procedimento, così da assicurare anche nei suoi confronti una giustizia equa e credibile (si pensi al difensore specializzato, alle prerogative dell’esercente la potestà genitoriale, all’obbligo del giudice di rappresentargli il processo e i suoi diritti, ecc.). E’ anche doveroso compiere ogni sforzo per modulare le forme procedimentali in modo che queste, senza perdere di funzionalità, producano il minor pregiudizio possibile all’imputato (si pensi alla disciplina della pubblicità, all’assistenza affettiva, alle modalità esecutive di misure cautelari o della messa alla prova, ecc.). Si tratta, naturalmente, di due piani di intervento, che presentano ampie aree di sovrapposizione. Vi sono garanzie, infatti, che si iscrivono a pieno titolo in entrambe le prospettive teleologiche sopra delineate (si pensi all’eliminazione dell’esame diretto, giustificabile, forse, tanto con l’esigenza di evitare facili condizionamenti, tanto con l’intento di sottrarre il minorenne ad aggressioni verbali dannose per il suo equilibrio). E’ all’interno di questa cornice che deve essere delineato il paradigma minimale europeo in materia di giustizia penale minorile, che è l’obbiettivo di questa unità di ricerca. Obbiettivo estremamente impegnativo, trattandosi, da un lato, di andare oltre le singole e disorganiche prescrizioni contenute nei diversi documenti sovranazionali; dall’altro, di evitare di proiettare sullo schermo europeo, soltanto le proprie opzioni culturali. Bisogna cercare di dar voce e coerenza di sistema ad istanze che si sono manifestate in modo frammentario e disomogeneo, ma che sembrano testimoniare se non l’esistenza, quanto meno l’esigenza di un patrimonio nucleare di garanzie condivise in subiecta materia. Naturalmente, si è ben consapevoli del fatto che non esiste un modello ideale di processo penale per il minore: questo non potrà non cambiare in relazione alle particolari tradizioni e alla diversa realtà organizzativa e socio-culturale del singolo ordinamento nonché, all’interno dello stesso ordinamento, con il mutare della sensibilità civile, del progresso scientifico e delle disponibilità economiche e strutturali. Ma i segnali politici e culturali di cui si è parlato sembrano dimostrare che forse vi è oggi la possibilità –e se vi è la possibilità vi è il dovere- di tracciare una non arretrabile trincea di valori e di acquisizioni della cultura giuridica europea in ordine ad un giusto processo penale minorile. Un paradigma comune di riferimento, che indichi le garanzie giurisdizionali ineludibili, assicurate le quali ogni ordinamento nazionale potrà disegnare l’itinerario processuale più confacente alle proprio contesto socio-culturale.

Regole minime per il giusto processo penale nei confronti dell'imputato minorenne

CESARI, Claudia;BOSCO, Valeria;URBANI, Arturo Romano;CARACENI, Lina
2005-01-01

Abstract

Va pregiudizialmente sciolta l’ambiguità funzionale di cui il processo penale minorile sovente è intriso: strumento specializzato di accertamento di eventuali responsabilità penali o strumento psicoterapeutico, a vocazione rieducativa. L’attenzione per le esigenze evolutive del minorenne e la conseguente tensione verso una individualizzazione del processo sono indubbiamente apprezzabili, purché se ne colga l’invalicabile limite implicito: l’intervento giurisdizionale non deve mai abdicare al suo compito di accertamento delle responsabilità penali, attraverso le medesime regole procedimentali. Il legislatore può anche decidere di rinunciare al processo, alla sua prosecuzione, alla condanna o alla pena, quando valuta i vantaggi individuali e sociali che ne deriverebbero minusvalenti rispetto al nocumento per la positiva evoluzione della personalità del minore, ma non deve snaturare il processo asservendolo a generici fini rieducativi, tanto giuridicamente inammissibili (a meno di non voler rinunciare alla presunzione di non colpevolezza), quanto pedagogicamente improbabili (proprio la «pedagogizzazione» del processo penale sarebbe il più serio vulnus a quella finalità educativa nel cui nome la si vorrebbe imporre: l’imputato innocente non potrebbe che percepirla come un’ingiusta e intollerabile irruzione dello Stato nel suo percorso evolutivo; l’imputato colpevole ne riceverebbe un diseducativo messaggio di paternalistico indulgenzialismo). Riaffermare le ragioni del processo rispetto alle finalità improprie che talvolta si tende ad assegnargli nella giustizia minorile, è necessario, ma certo non sufficiente: si perderebbe altrimenti il senso dell’esigenza – che invece va ribadita con forza - di una giurisdizione minorile specializzata. Il processo penale minorile deve ritagliare le sue forme sulle peculiarità del soggetto che ne è protagonista, anzitutto, predisponendo un reticolo di accorgimenti per ridurre, se non per eliminare, le difficoltà del minorenne a parteciparvi nella piena consapevolezza del suo significato, delle proprie prerogative e delle implicazioni delle proprie scelte. L’obbiettivo primario, dunque, dovrebbe essere quello di una giurisdizione che sappia declinarsi sulle peculiari necessità dell’imputato, senza abdicare al suo fine istituzionale; anzi, che si specializzi per meglio perseguirlo. In quest’ottica la giustizia penale minorile deve avere una sua autonoma fisionomia normativa che, pur largamente tributaria di quella ordinaria, sappia disegnare organi ed itinerari consentanei alla specifica condizione psicofisica del suo destinatario elettivo. Non può, tuttavia, essere concepita come la giustizia penale per gli adulti con qualche deroga ope legis vel iudicis. Non basta predisporre “provvidenze normative” idonee a compensare il deficit di maturità del minorenne, per garantire una sua partecipazione effettiva e consapevole al procedimento, così da assicurare anche nei suoi confronti una giustizia equa e credibile (si pensi al difensore specializzato, alle prerogative dell’esercente la potestà genitoriale, all’obbligo del giudice di rappresentargli il processo e i suoi diritti, ecc.). E’ anche doveroso compiere ogni sforzo per modulare le forme procedimentali in modo che queste, senza perdere di funzionalità, producano il minor pregiudizio possibile all’imputato (si pensi alla disciplina della pubblicità, all’assistenza affettiva, alle modalità esecutive di misure cautelari o della messa alla prova, ecc.). Si tratta, naturalmente, di due piani di intervento, che presentano ampie aree di sovrapposizione. Vi sono garanzie, infatti, che si iscrivono a pieno titolo in entrambe le prospettive teleologiche sopra delineate (si pensi all’eliminazione dell’esame diretto, giustificabile, forse, tanto con l’esigenza di evitare facili condizionamenti, tanto con l’intento di sottrarre il minorenne ad aggressioni verbali dannose per il suo equilibrio). E’ all’interno di questa cornice che deve essere delineato il paradigma minimale europeo in materia di giustizia penale minorile, che è l’obbiettivo di questa unità di ricerca. Obbiettivo estremamente impegnativo, trattandosi, da un lato, di andare oltre le singole e disorganiche prescrizioni contenute nei diversi documenti sovranazionali; dall’altro, di evitare di proiettare sullo schermo europeo, soltanto le proprie opzioni culturali. Bisogna cercare di dar voce e coerenza di sistema ad istanze che si sono manifestate in modo frammentario e disomogeneo, ma che sembrano testimoniare se non l’esistenza, quanto meno l’esigenza di un patrimonio nucleare di garanzie condivise in subiecta materia. Naturalmente, si è ben consapevoli del fatto che non esiste un modello ideale di processo penale per il minore: questo non potrà non cambiare in relazione alle particolari tradizioni e alla diversa realtà organizzativa e socio-culturale del singolo ordinamento nonché, all’interno dello stesso ordinamento, con il mutare della sensibilità civile, del progresso scientifico e delle disponibilità economiche e strutturali. Ma i segnali politici e culturali di cui si è parlato sembrano dimostrare che forse vi è oggi la possibilità –e se vi è la possibilità vi è il dovere- di tracciare una non arretrabile trincea di valori e di acquisizioni della cultura giuridica europea in ordine ad un giusto processo penale minorile. Un paradigma comune di riferimento, che indichi le garanzie giurisdizionali ineludibili, assicurate le quali ogni ordinamento nazionale potrà disegnare l’itinerario processuale più confacente alle proprio contesto socio-culturale.
2005
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