Le sorti dell'esecuzione penitenziaria minorile sono tutte nella laconicità dell’art. 79 comma 1 ord. penit., laddove si stabilisce che, in attesa di un intervento legislativo che regolamenti la materia, ai minorenni in esecuzione di pena (più in generale, di una misura penale) si applicano le regole previste dall’ordinamento penitenziario per adulti (l. 26 luglio 1975, n. 354). E non bastano a sopperire alla carenza dell’enunciato le specificazioni contenute nei commi successivi che attribuiscono alla magistratura minorile le funzioni di sorveglianza. Dalla disposizione possono ricavarsi due proposizioni, tanto importanti quanto discutibili: da un lato, ci si limita ad auspicare la necessità di una disciplina ad hoc (indolenza legislativa che stiamo ancora pagando, visto che, a distanza di trentacinque anni, nulla è stato fatto); dall’altro, viene realizzata un’evidente forzatura laddove si equipara la condizione del condannato minore di età a quella dell’adulto, mentre il sistema di giustizia penale minorile è di tutt’altra ispirazione perché punta, almeno sotto il profilo delle regole procedurali, alla netta differenziazione tra maggiorenni e minorenni. Ma si tratta di una specificità che, a quanto pare, è destinata a fermarsi sulla soglia della cognizione. In ciò che non dice, l’art. 79 comma 1 ord. penit. rischia di travolgere del tutto la portata innovativa del d.P.R. n. 22 settembre 1988, n. 448, a proposito delle regole da osservarsi nell’esercizio della potestà punitiva verso autori di reato infradiciottenni. Il decreto, infatti, traccia le linee qualificanti e irrinunciabili di un microsistema normativo che ruota attorno ai bisogni e alle esigenze di una personalità in formazione, ravvisando anzitutto nel minorenne una persona portatrice del diritto ad una regolare crescita psico-sociale, e, in tale ottica, individua istituti giuridici e strumenti per dare adeguate risposte a queste esigenze. Ne emerge un autonomo archetipo processuale, in grado, da un lato, di approntare efficaci strumenti di accertamento e repressione, dall’altro, di delineare un modello di processo funzionale al recupero del minore e rispondente alle sue istanze educative. I princìpi che lo connotano sottolineano l’esistenza del binomio coazione-educazione: specialità del microsistema (vengono individuati precetti che tengono conto del singolare status dell’imputato), sussidiarietà (in mancanza di espressa previsione nella legge minorile, trovano applicazione le norme del processo per adulti), adeguatezza applicativa (rendere operanti le regole procedurali nel rispetto della personalità e delle esigenze educative del minorenne) e minima offensività (limitare, e in taluni casi escludere, l’ingresso del minore nel circuito penale, per ridurre al minimo le ripercussioni negative sul suo percorso di crescita). Una tutela, dunque, delle esigenze educative del soggetto che costituisce il leit motiv dell’intero processo, ma che è paradossalmente destinata a restare sulla carta proprio nella fase di esecuzione della pena. In effetti, appare se non altro singolare che tale prerogativa del sistema venga meno proprio nel segmento processuale a vocazione prettamente pedagogica. L’assenza di una normativa dedicata all’esecuzione della pena tradisce quella specificità connessa con lo status di minorenne (trattamento differenziato dagli adulti) che è il segno distintivo del nuovo modello di giurisdizione punitiva pensata per i minori. E in attesa di un intervento legislativo che colmi il vuoto è essenziale interrogarsi sulle concrete possibilità, in via interpretativa, di ricavare dal sistema di giustizia minorile codificato nel d.P.R. n. 448/1988 prescrizioni di portata generale valevoli anche in fase esecutiva, operazione esegetica consentita dall’essere il procedimento di sorveglianza a tutti gli effetti ricompreso nell’ambito della giurisdizione penale.

Magistratura di sorveglianza e giurisdizione rieducativa minorile: dal legislatore un silenzio assordante

CARACENI, Lina
2010-01-01

Abstract

Le sorti dell'esecuzione penitenziaria minorile sono tutte nella laconicità dell’art. 79 comma 1 ord. penit., laddove si stabilisce che, in attesa di un intervento legislativo che regolamenti la materia, ai minorenni in esecuzione di pena (più in generale, di una misura penale) si applicano le regole previste dall’ordinamento penitenziario per adulti (l. 26 luglio 1975, n. 354). E non bastano a sopperire alla carenza dell’enunciato le specificazioni contenute nei commi successivi che attribuiscono alla magistratura minorile le funzioni di sorveglianza. Dalla disposizione possono ricavarsi due proposizioni, tanto importanti quanto discutibili: da un lato, ci si limita ad auspicare la necessità di una disciplina ad hoc (indolenza legislativa che stiamo ancora pagando, visto che, a distanza di trentacinque anni, nulla è stato fatto); dall’altro, viene realizzata un’evidente forzatura laddove si equipara la condizione del condannato minore di età a quella dell’adulto, mentre il sistema di giustizia penale minorile è di tutt’altra ispirazione perché punta, almeno sotto il profilo delle regole procedurali, alla netta differenziazione tra maggiorenni e minorenni. Ma si tratta di una specificità che, a quanto pare, è destinata a fermarsi sulla soglia della cognizione. In ciò che non dice, l’art. 79 comma 1 ord. penit. rischia di travolgere del tutto la portata innovativa del d.P.R. n. 22 settembre 1988, n. 448, a proposito delle regole da osservarsi nell’esercizio della potestà punitiva verso autori di reato infradiciottenni. Il decreto, infatti, traccia le linee qualificanti e irrinunciabili di un microsistema normativo che ruota attorno ai bisogni e alle esigenze di una personalità in formazione, ravvisando anzitutto nel minorenne una persona portatrice del diritto ad una regolare crescita psico-sociale, e, in tale ottica, individua istituti giuridici e strumenti per dare adeguate risposte a queste esigenze. Ne emerge un autonomo archetipo processuale, in grado, da un lato, di approntare efficaci strumenti di accertamento e repressione, dall’altro, di delineare un modello di processo funzionale al recupero del minore e rispondente alle sue istanze educative. I princìpi che lo connotano sottolineano l’esistenza del binomio coazione-educazione: specialità del microsistema (vengono individuati precetti che tengono conto del singolare status dell’imputato), sussidiarietà (in mancanza di espressa previsione nella legge minorile, trovano applicazione le norme del processo per adulti), adeguatezza applicativa (rendere operanti le regole procedurali nel rispetto della personalità e delle esigenze educative del minorenne) e minima offensività (limitare, e in taluni casi escludere, l’ingresso del minore nel circuito penale, per ridurre al minimo le ripercussioni negative sul suo percorso di crescita). Una tutela, dunque, delle esigenze educative del soggetto che costituisce il leit motiv dell’intero processo, ma che è paradossalmente destinata a restare sulla carta proprio nella fase di esecuzione della pena. In effetti, appare se non altro singolare che tale prerogativa del sistema venga meno proprio nel segmento processuale a vocazione prettamente pedagogica. L’assenza di una normativa dedicata all’esecuzione della pena tradisce quella specificità connessa con lo status di minorenne (trattamento differenziato dagli adulti) che è il segno distintivo del nuovo modello di giurisdizione punitiva pensata per i minori. E in attesa di un intervento legislativo che colmi il vuoto è essenziale interrogarsi sulle concrete possibilità, in via interpretativa, di ricavare dal sistema di giustizia minorile codificato nel d.P.R. n. 448/1988 prescrizioni di portata generale valevoli anche in fase esecutiva, operazione esegetica consentita dall’essere il procedimento di sorveglianza a tutti gli effetti ricompreso nell’ambito della giurisdizione penale.
2010
9788814152818
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