Le attività di un Laboratorio “progettuale”, come quello di Restauro Architettonico, rappresentano sempre un momento di crescita, di confronto, di verifica e di ricerca sia per chi è chiamato a formarsi, attraverso il loro svolgimento, sia per chi è chiamato a proporle ed organizzarle all'interno di un percorso didattico che sia in grado di offrire temi di riflessione, conoscenze, strumenti e metodi consoni a gestire la complessità di un iter di progetto, necessariamente assoggettato ai caratteri unici ed irripetibili del patrimonio costruito storicizzato. Comunicare e rendere espliciti i “limiti di campo”, entro cui svolgere tale iter diviene, quindi, anche un “banco di prova” per la tenuta di posizioni e assunti disciplinari, per l'elaborazione critica di impianti di indagine già messi a punto, per testare la coerenza dei quadri conoscitivi e diagnostici, con le ipotesi di intervento. In altre parole, la singolarità di ogni organismo architettonico, impone, anche all'interno di una esperienza didattica, la verifica “in corpore vili” della reale applicabilità delle elaborazioni teoriche e metodologiche proprie della disciplina e dell'adeguatezza degli strumenti a disposizione, attraverso un percorso che, a partire dallo sviluppo degli apparati analitici, deve, di volta in volta, fornire risposte tecniche e propositive atte a conservare l'integrità materiale dell'opera e, altresì confrontarsi con esigenze diverse, imposte dall'uso contemporaneo della stessa. La composizione delle divergenze, a volte avvertibili, tra teorie restaurative e prassi, si dispiega, quindi, in un costante confronto con la fabbrica, con le sue particolarità, con le forme del degrado, con le istanze del progetto di adeguamento e/o di riuso. La permanenza (di materia e segni) rappresenta una condizione necessaria, da soddisfare nello sviluppo delle previsioni di intervento, o forse più concretamente, un limite cui deve tendere la “funzione” di progettazione, svolta nella consapevolezza che tale limite non sempre è completamente raggiungibile, a volte per fattori intrinseci alla fabbrica, a volte per fattori estrinseci non sempre governabili o risolvibili. L'altro tema, che appare conseguente alla necessità-possibilità della permanenza, è l'uso, inteso come fruizione consapevole del bene, palinsesto stratificato, chiaramente avvertibile, di dati e conoscenze, fonte in potenza di nuove acquisizioni, per la quale, unicità, si motiva la ricerca stessa della permanenza. Permanenza ed uso sono quindi i due “limiti” entro cui si sono svolti i diversi percorsi didattici e, per quanto richiamato in apertura, di ricerca. Come noto, entrambi aprono problematiche che necessitano, ora più che mai, di apporti disciplinari diversi, coordinati ed adeguati alla singolarità di ogni caso, atti a definire strategie di intervento avulse da prassi e soluzioni standardizzate, compatibili quindi con i caratteri intrinseci della fabbrica e di tutti i suoi elementi. In sintesi, quindi, l'ipotesi di lavoro riversata nell'attività didattica e perseguita come aspetto di ricerca, su ambiti allargati come su temi circoscritti, è riconducibile alle finalità della permanenza e dell'uso del costruito storicizzato, da conseguire attraverso un'azione di analisi e sintesi progettuale pluriscalare, connotata da apporti disciplinari e specialistici diversi, coordinata con coerenza di fini, mezzi e soluzioni, dalla figura dell'architetto “restauratore”. In questo quadro alcune questioni sono apparse di maggiore attualità, ed in parte motivano le diverse sezioni tematiche che presentano parzialmente, i risultati delle attività svolte nei Laboratori: il costruito “minore” e diffuso come parte sostanziale dei “paesaggi”, la vulnerabilità del patrimonio architettonico e le azioni integrate e programmate per la riduzione del rischio, il tema della valorizzazione e quindi anche dell'uso e/o riuso degli edifici.

Architetture: esercitazioni di restauro

SARACCO, MAURO;
2010-01-01

Abstract

Le attività di un Laboratorio “progettuale”, come quello di Restauro Architettonico, rappresentano sempre un momento di crescita, di confronto, di verifica e di ricerca sia per chi è chiamato a formarsi, attraverso il loro svolgimento, sia per chi è chiamato a proporle ed organizzarle all'interno di un percorso didattico che sia in grado di offrire temi di riflessione, conoscenze, strumenti e metodi consoni a gestire la complessità di un iter di progetto, necessariamente assoggettato ai caratteri unici ed irripetibili del patrimonio costruito storicizzato. Comunicare e rendere espliciti i “limiti di campo”, entro cui svolgere tale iter diviene, quindi, anche un “banco di prova” per la tenuta di posizioni e assunti disciplinari, per l'elaborazione critica di impianti di indagine già messi a punto, per testare la coerenza dei quadri conoscitivi e diagnostici, con le ipotesi di intervento. In altre parole, la singolarità di ogni organismo architettonico, impone, anche all'interno di una esperienza didattica, la verifica “in corpore vili” della reale applicabilità delle elaborazioni teoriche e metodologiche proprie della disciplina e dell'adeguatezza degli strumenti a disposizione, attraverso un percorso che, a partire dallo sviluppo degli apparati analitici, deve, di volta in volta, fornire risposte tecniche e propositive atte a conservare l'integrità materiale dell'opera e, altresì confrontarsi con esigenze diverse, imposte dall'uso contemporaneo della stessa. La composizione delle divergenze, a volte avvertibili, tra teorie restaurative e prassi, si dispiega, quindi, in un costante confronto con la fabbrica, con le sue particolarità, con le forme del degrado, con le istanze del progetto di adeguamento e/o di riuso. La permanenza (di materia e segni) rappresenta una condizione necessaria, da soddisfare nello sviluppo delle previsioni di intervento, o forse più concretamente, un limite cui deve tendere la “funzione” di progettazione, svolta nella consapevolezza che tale limite non sempre è completamente raggiungibile, a volte per fattori intrinseci alla fabbrica, a volte per fattori estrinseci non sempre governabili o risolvibili. L'altro tema, che appare conseguente alla necessità-possibilità della permanenza, è l'uso, inteso come fruizione consapevole del bene, palinsesto stratificato, chiaramente avvertibile, di dati e conoscenze, fonte in potenza di nuove acquisizioni, per la quale, unicità, si motiva la ricerca stessa della permanenza. Permanenza ed uso sono quindi i due “limiti” entro cui si sono svolti i diversi percorsi didattici e, per quanto richiamato in apertura, di ricerca. Come noto, entrambi aprono problematiche che necessitano, ora più che mai, di apporti disciplinari diversi, coordinati ed adeguati alla singolarità di ogni caso, atti a definire strategie di intervento avulse da prassi e soluzioni standardizzate, compatibili quindi con i caratteri intrinseci della fabbrica e di tutti i suoi elementi. In sintesi, quindi, l'ipotesi di lavoro riversata nell'attività didattica e perseguita come aspetto di ricerca, su ambiti allargati come su temi circoscritti, è riconducibile alle finalità della permanenza e dell'uso del costruito storicizzato, da conseguire attraverso un'azione di analisi e sintesi progettuale pluriscalare, connotata da apporti disciplinari e specialistici diversi, coordinata con coerenza di fini, mezzi e soluzioni, dalla figura dell'architetto “restauratore”. In questo quadro alcune questioni sono apparse di maggiore attualità, ed in parte motivano le diverse sezioni tematiche che presentano parzialmente, i risultati delle attività svolte nei Laboratori: il costruito “minore” e diffuso come parte sostanziale dei “paesaggi”, la vulnerabilità del patrimonio architettonico e le azioni integrate e programmate per la riduzione del rischio, il tema della valorizzazione e quindi anche dell'uso e/o riuso degli edifici.
2010
9788859608301
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