Ad un sistema penale come quello italiano, dove sono accettati - o addirittura regolati, anche se in modo informale - ampi spazi di manovra per gli attori che vi operano professionalmente, fa da inevitabile corollario un discreto impiego di strategie soggettive nella fase di implementazione del diritto. Questo alla luce di un regime di completa obbligatorietà dell’azione penale. Per chi che si occupa di analizzare la società e il diritto incorporando entrambi i fronti in una visione socio-giuridica integrata è d’obbligo porsi alcuni interrogativi cruciali sul funzionamento del sistema penale. Come possono coesistere nella realtà quotidiana del diritto in azione due elementi in apparenza così radicalmente contrapposti, come il principio di rango costituzionale di obbligatorietà dell’azione penale e la possibilità di operare scelte soggettive nel quadro dei comportamenti degli attori giuridici? Qual’è il ruolo reale giocato dal fattore costituito dal decorso temporale, risorsa risolutiva o - al contrario - elemento di impedimento nel processo? Per quali ragioni, in Italia, al tema dell’obbligatorietà dell’azione penale è stato lungamente attribuito lo status di mito e di argomento tabù? Non è un compito facile né esente da rischi cercare risposte a questi quesiti. Le testimonianze degli operatori del diritto possono offrire nuovi spunti di comprensione perché racchiudono i punti di vista di chi si deve confrontare ogni giorno che le problematiche legate all’applicazione delle norme. La discussione degli aspetti teorici è integrata e arricchita attraverso la considerazione delle testimonianze di magistrati requirenti e giudicanti, avvocati difensori e di parte civile e cancellieri, operanti presso diverse sedi giudiziarie italiane. Molte delle prassi soggettive osservate empiricamente sono riconducibili, direttamente o indirettamente, ai tempi che scandiscono la successione dei diversi step del processo. La prima parte del volume è dedicata alla tematizzazione della costruzione sociale della discrezionalità e, dopo una rassegna critica sulla questione dell’azione penale nei sistemi di common law e di civil law, prende in esame lo stato dell’obbligatorietà in Italia. Come mostrano i dati di ricerca, i pubblici ministeri si possono trovare nelle condizioni di prendere decisioni rivolte ad attenuare il principio di obbligatorietà attraverso l’applicazione di criteri di priorità per scegliere le notizie di reato per le quali mandare avanti le indagini oppure da trattare per prime. Questi comportamenti si verificano alla luce della consapevolezza che le limitate risorse disponibili a livello sistemico non consentono, realmente, di perseguire tutti i reati. La specializzazione per materia dei magistrati, criterio con cui sono organizzate le procure che si avvalgono di pool di pubblici ministeri esperti nei vari campi penali, ma anche alcuni tribunali per quanto riguarda la magistratura giudicante, rappresenta un esempio attraverso cui il “diritto in azione” ricorre ad alternative funzionali, oggetto della seconda parte del libro. Vi sono poi i riti alternativi, per i quali vengono richiesti - implicitamente o esplicitamente - requisiti non sempre omogenei in corrispondenza delle diverse appartenenze di contesto. Essi prevedono per loro stessa natura tempistiche più veloci, attraverso l’abbreviazione o l’esclusione di alcune fasi, ma comportano la rinuncia ad alcune garanzie. Da ultimo, anche un esito processuale che vede nella prescrizione il risultato più ambìto da parte di molti imputati può dipendere da fattori collegati alla realtà giudiziaria locale oppure alle appartenenze categoriali di chi vi è coinvolto. La cultura giuridica, considerata in prospettiva interna e in chiave locale, concetto ripreso e discusso da angolazioni differenti nella terza parte, pervade ogni aspetto dei comportamenti e dell’operato degli attori del diritto e condiziona il tessuto delle relazioni dentro e fuori il procedimento.

Tra il dire e il fare. Obbligatorietà dell’azione penale e comportamenti degli attori giuridici

ZANIER, Maria Letizia
2009-01-01

Abstract

Ad un sistema penale come quello italiano, dove sono accettati - o addirittura regolati, anche se in modo informale - ampi spazi di manovra per gli attori che vi operano professionalmente, fa da inevitabile corollario un discreto impiego di strategie soggettive nella fase di implementazione del diritto. Questo alla luce di un regime di completa obbligatorietà dell’azione penale. Per chi che si occupa di analizzare la società e il diritto incorporando entrambi i fronti in una visione socio-giuridica integrata è d’obbligo porsi alcuni interrogativi cruciali sul funzionamento del sistema penale. Come possono coesistere nella realtà quotidiana del diritto in azione due elementi in apparenza così radicalmente contrapposti, come il principio di rango costituzionale di obbligatorietà dell’azione penale e la possibilità di operare scelte soggettive nel quadro dei comportamenti degli attori giuridici? Qual’è il ruolo reale giocato dal fattore costituito dal decorso temporale, risorsa risolutiva o - al contrario - elemento di impedimento nel processo? Per quali ragioni, in Italia, al tema dell’obbligatorietà dell’azione penale è stato lungamente attribuito lo status di mito e di argomento tabù? Non è un compito facile né esente da rischi cercare risposte a questi quesiti. Le testimonianze degli operatori del diritto possono offrire nuovi spunti di comprensione perché racchiudono i punti di vista di chi si deve confrontare ogni giorno che le problematiche legate all’applicazione delle norme. La discussione degli aspetti teorici è integrata e arricchita attraverso la considerazione delle testimonianze di magistrati requirenti e giudicanti, avvocati difensori e di parte civile e cancellieri, operanti presso diverse sedi giudiziarie italiane. Molte delle prassi soggettive osservate empiricamente sono riconducibili, direttamente o indirettamente, ai tempi che scandiscono la successione dei diversi step del processo. La prima parte del volume è dedicata alla tematizzazione della costruzione sociale della discrezionalità e, dopo una rassegna critica sulla questione dell’azione penale nei sistemi di common law e di civil law, prende in esame lo stato dell’obbligatorietà in Italia. Come mostrano i dati di ricerca, i pubblici ministeri si possono trovare nelle condizioni di prendere decisioni rivolte ad attenuare il principio di obbligatorietà attraverso l’applicazione di criteri di priorità per scegliere le notizie di reato per le quali mandare avanti le indagini oppure da trattare per prime. Questi comportamenti si verificano alla luce della consapevolezza che le limitate risorse disponibili a livello sistemico non consentono, realmente, di perseguire tutti i reati. La specializzazione per materia dei magistrati, criterio con cui sono organizzate le procure che si avvalgono di pool di pubblici ministeri esperti nei vari campi penali, ma anche alcuni tribunali per quanto riguarda la magistratura giudicante, rappresenta un esempio attraverso cui il “diritto in azione” ricorre ad alternative funzionali, oggetto della seconda parte del libro. Vi sono poi i riti alternativi, per i quali vengono richiesti - implicitamente o esplicitamente - requisiti non sempre omogenei in corrispondenza delle diverse appartenenze di contesto. Essi prevedono per loro stessa natura tempistiche più veloci, attraverso l’abbreviazione o l’esclusione di alcune fasi, ma comportano la rinuncia ad alcune garanzie. Da ultimo, anche un esito processuale che vede nella prescrizione il risultato più ambìto da parte di molti imputati può dipendere da fattori collegati alla realtà giudiziaria locale oppure alle appartenenze categoriali di chi vi è coinvolto. La cultura giuridica, considerata in prospettiva interna e in chiave locale, concetto ripreso e discusso da angolazioni differenti nella terza parte, pervade ogni aspetto dei comportamenti e dell’operato degli attori del diritto e condiziona il tessuto delle relazioni dentro e fuori il procedimento.
2009
9788860561459
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11393/42925
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