Il volume copre un arco temporale cruciale per la storia dell'istituto della grazia, dalla formale fondazione nel corpo dello Statuto albertino alla sua 'ultima' declinazione nello Stato liberale di diritto: la disciplina del codice di rito del 1913 che, per molti aspetti, raccoglie e coagula l'elaborazione della scienza giuridica e della pratica costituzionale. La natura ‘polivalente’ della grazia chiama in causa la complessità degli statuti disciplinari e delle fonti giuridiche: Costituzione, prassi, dottrina, giurisprudenza, codici e circolari ministeriali. Una varietà di fonti che sfugge al criterio gerarchico e che, piuttosto, delinea un ‘sistema' di fonti in funzione del nucleo fondamentale dell’istituto: fare giustizia. Le esperienze costituzionali coeve allo Statuto albertino attribuiscono al Re il «diritto» di grazia. Nell'esperienza italiana, anche nella originaria versione francese, si attribuisce un 'potere' di far grazia, cioè, una prerogativa che ha una titolarità certa ed un esercizio opportunamente lasciato indefinito ma sempre nei confini della collaborazione tra organi e poteri dello Stato. La precisa scelta linguistica operata dallo Statuto albertino, adottando la forma della prerogativa, rimanda al linguaggio giurisdizionale e lascia ipotizzare che la Carta fondamentale abbia strutturalmente previsto uno spazio costituzionale nel quale esercitare una giustizia sganciata dall'idea di mera applicazione della legge. La nozione stessa di prerogativa rimanda ad un ‘luogo’ sciolto da confini precostituiti nel quale pur rimanendo ferma la titolarità, l’esercizio della grazia si lega a vicende complesse, condizionate finanche dalle personalità dei capi di stato e dei guardasigilli. In ogni caso si tratta di equilibri non codificabili che vengono opportunamente lasciati alla determinazione in via di prassi costituzionale, senza strappi o usi strumentali volti a forzare il quadro costituzionale. La pratica dell’istituto ha creato una consuetudine costituzionale di esercizio condiviso dell’istituto. Nella concreta istruzione delle pratiche il capo dello Stato gioca un ruolo fondamentale di verifica della sintonia dell’azione politica del governo con l’‘umore’ del paese; il Re si fa organo interprete ed interlocutore dell’opinione pubblica la quale occupa una cruciale dimensione ‘intermedia’ tra lo Stato e l’individuo. Centrale è il Guardasigilli, quasi sempre ministro proponente, che è a capo dell’ufficio depositario della consuetudine costituzionale, è l’indispensabile anello di comunicazione con l’autorità giudiziaria che ha pronunciato la sentenza e che è chiamata ad esprimere il proprio parere in ordine alla concessione o meno della grazia, rappresenta infine anche il vertice dell’ordine giudiziario e quindi è il naturale ‘rappresentante’ in Parlamento dell’operato della magistratura. Il Guardasigilli, nel formulare la proposta di concessione o di rifiuto della grazia, si avvale del parere dei giudici, parere non vincolante ma di fatto indispensabile e dal quale raramente si discosterà. Solo nella pratica della grazia, nella segretezza dell’istruzione delle domande, emerge anche un’altra funzione dei giudici, questi segnalano i punti critici che hanno condotto a sentenze da ‘riesaminare’. L’idea di giustizia realizzata in via di grazia rivela che nello Stato liberale si ha coscienza del fatto che l’onnipotenza della legge è una risposta illusoria. Dopo che si è portata a termine la ‘volontà’ del legislatore si riaprono tutte le questioni che non potevano entrare nel processo e si valutano le reazioni alle sentenze da parte dell’opinione pubblica. Non è tanto un problema di rapporti tra politica e magistratura. La vera questione è il limite intrinseco allo Stato liberale, che è sì crisi della giustizia ed investe anche l’organizzazione del giudiziario, ma soprattutto è la crisi di un modo di pensare lo Stato che nega il dissenso sociale e sostanzialmente è incapace di far fronte ad esso.

Il governo della 'grazia'. Giustizia sovrana e ordine giuridico nell’esperienza italiana (1848-1913)

STRONATI, MONICA
2009-01-01

Abstract

Il volume copre un arco temporale cruciale per la storia dell'istituto della grazia, dalla formale fondazione nel corpo dello Statuto albertino alla sua 'ultima' declinazione nello Stato liberale di diritto: la disciplina del codice di rito del 1913 che, per molti aspetti, raccoglie e coagula l'elaborazione della scienza giuridica e della pratica costituzionale. La natura ‘polivalente’ della grazia chiama in causa la complessità degli statuti disciplinari e delle fonti giuridiche: Costituzione, prassi, dottrina, giurisprudenza, codici e circolari ministeriali. Una varietà di fonti che sfugge al criterio gerarchico e che, piuttosto, delinea un ‘sistema' di fonti in funzione del nucleo fondamentale dell’istituto: fare giustizia. Le esperienze costituzionali coeve allo Statuto albertino attribuiscono al Re il «diritto» di grazia. Nell'esperienza italiana, anche nella originaria versione francese, si attribuisce un 'potere' di far grazia, cioè, una prerogativa che ha una titolarità certa ed un esercizio opportunamente lasciato indefinito ma sempre nei confini della collaborazione tra organi e poteri dello Stato. La precisa scelta linguistica operata dallo Statuto albertino, adottando la forma della prerogativa, rimanda al linguaggio giurisdizionale e lascia ipotizzare che la Carta fondamentale abbia strutturalmente previsto uno spazio costituzionale nel quale esercitare una giustizia sganciata dall'idea di mera applicazione della legge. La nozione stessa di prerogativa rimanda ad un ‘luogo’ sciolto da confini precostituiti nel quale pur rimanendo ferma la titolarità, l’esercizio della grazia si lega a vicende complesse, condizionate finanche dalle personalità dei capi di stato e dei guardasigilli. In ogni caso si tratta di equilibri non codificabili che vengono opportunamente lasciati alla determinazione in via di prassi costituzionale, senza strappi o usi strumentali volti a forzare il quadro costituzionale. La pratica dell’istituto ha creato una consuetudine costituzionale di esercizio condiviso dell’istituto. Nella concreta istruzione delle pratiche il capo dello Stato gioca un ruolo fondamentale di verifica della sintonia dell’azione politica del governo con l’‘umore’ del paese; il Re si fa organo interprete ed interlocutore dell’opinione pubblica la quale occupa una cruciale dimensione ‘intermedia’ tra lo Stato e l’individuo. Centrale è il Guardasigilli, quasi sempre ministro proponente, che è a capo dell’ufficio depositario della consuetudine costituzionale, è l’indispensabile anello di comunicazione con l’autorità giudiziaria che ha pronunciato la sentenza e che è chiamata ad esprimere il proprio parere in ordine alla concessione o meno della grazia, rappresenta infine anche il vertice dell’ordine giudiziario e quindi è il naturale ‘rappresentante’ in Parlamento dell’operato della magistratura. Il Guardasigilli, nel formulare la proposta di concessione o di rifiuto della grazia, si avvale del parere dei giudici, parere non vincolante ma di fatto indispensabile e dal quale raramente si discosterà. Solo nella pratica della grazia, nella segretezza dell’istruzione delle domande, emerge anche un’altra funzione dei giudici, questi segnalano i punti critici che hanno condotto a sentenze da ‘riesaminare’. L’idea di giustizia realizzata in via di grazia rivela che nello Stato liberale si ha coscienza del fatto che l’onnipotenza della legge è una risposta illusoria. Dopo che si è portata a termine la ‘volontà’ del legislatore si riaprono tutte le questioni che non potevano entrare nel processo e si valutano le reazioni alle sentenze da parte dell’opinione pubblica. Non è tanto un problema di rapporti tra politica e magistratura. La vera questione è il limite intrinseco allo Stato liberale, che è sì crisi della giustizia ed investe anche l’organizzazione del giudiziario, ma soprattutto è la crisi di un modo di pensare lo Stato che nega il dissenso sociale e sostanzialmente è incapace di far fronte ad esso.
2009
9788814144035
File in questo prodotto:
File Dimensione Formato  
STRONATI M_ Il governo (M).pdf

solo utenti autorizzati

Tipologia: Documento in post-print (versione successiva alla peer review e accettata per la pubblicazione)
Licenza: DRM non definito
Dimensione 4.2 MB
Formato Adobe PDF
4.2 MB Adobe PDF   Visualizza/Apri   Richiedi una copia

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11393/42923
 Attenzione

Attenzione! I dati visualizzati non sono stati sottoposti a validazione da parte dell'ateneo

Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact