I platonici di Cambridge sono autori legati da stima e amicizia, ma anche da impegni di studio e di insegnamento a Cambridge: all’Emmanuel College, B. Whichcote (1609-1683), comunemente ritenuto il caposcuola, J. Smith (1616-1652), N. Culverwell (1618-1651), R. Cudworth (1617-1688); al Christ’s College, H. More (1614-1687). Di ispirazione platonica, hanno un atteggiamento molto critico verso l’empirismo baconiano (contro il sapere volto principalmente all’azione rivendicano il valore della contemplazione), il puritanesino (al legalismo religioso e all’arbitrarismo teologico oppongono la religione come interiorità e oggettiva moralità), il meccanicismo cartesiano e il materialismo hobbesiano (li giudicano inadeguati a spiegare il mondo degli esseri viventi e pericolosi in quanto possono aprire la via all’ateismo). Per sensibilità e formazione, essi ritengono centrale il tema della religione, sia in se stessa, che nei suoi rapporti con la ragione, con la prassi, con l’antropologia. 1. Religione e ragione. Per i platonici di Cambridge, la religione è intima comunione con Dio, via del ritorno dell’uomo a Dio. La ragione è the candle of the Lord, lumen Domini (Whichcote), lume derivato: lumen de lumine, participata similitudo rationis aeternae (Smith). Seguire la ragione è seguire Dio (Smith), e rifiutare la ragione è disonorare Dio (Culverwell). La ragione è vera amica della religione (Smith): è in grado di confutare l’ateismo e di combattere la superstizione; ha la stessa fonte della religione; è condizione imprescindibile per la comprensione della rivelazione. Ma la ragione, se è lumen Domini, non finisce per svalutare la religione? Effettivamente, i platonici di Cambridge, nell’opporsi al fideismo dei puritani, accentuano il valore della ragione, ma lo fanno unicamente in funzione apologetica: la religione è l’esito più vero della ragione (Whichcote); chi è guidato dalla religione vive in comunione con la propria ragione (Smith); si può riconoscere Cristo nella natura, nella ragione, come nei doni della grazia (Whichcote). 2. Religione prassi. Per i platonici di Cambridge, la moralità, già importante per la ragione in ordine alla conoscenza in sé (l’immoralità è sviante), e soprattutto per la conoscenza di Dio (l’occhio non può contemplare il sole se non è simile al sole (Smith)), è essenziale per la religione, che ha come fine la deificazione (théosis) dell’uomo, la sua assimilazione a Dio attraverso l’esercizio delle virtù, l’adesione attiva al volere divino, l’imitazione di Cristo, modello di santità. 3. Religione e antropologia. Per i platonici di Cambridge, la ragione è in certo modo «religiosa», in quanto vinculum Dei et hominis (Smith). Ma se è così, la religione è naturale, strutturale nell’uomo in quanto essere razionale, per cui la definizione di animal rationale può, deve, essere sostituita da animal capax religionis. Niente infatti è specifico dell’uomo quanto la capacità di religione (Whichcote): immagine di Dio, in relazione ontologica e spirituale con Dio, l’uomo è costitutivamente religioso. Di qui: l’ateismo è contro ragione e contro natura, è non liberazione ma alienazione dell’uomo; se Dio non esistesse, niente di peggio della religione (More). I platonici di Cambridge, con le loro posizioni forse hanno favorito dei processi che hanno portato, ad esempio, al razionalismo teologico di Toland o alla dissoluzione della teologia nell’antropologia in Feuerbach: esiti, per la verità, impropri e non voluti. Ben altri i loro meriti nella storia della filosofia: l’aver conservato una tradizione «classica» di pensiero (platonismo, neoplatonismo, patristica), l’aver dato l’avvio per qualche verso alla «filosofia della religione», l’aver trattato problemi di sicuro interesse speculativo ed esistenziale.

La religione nei platonici di Cambridge

DE DOMINICIS, Emilio
2009-01-01

Abstract

I platonici di Cambridge sono autori legati da stima e amicizia, ma anche da impegni di studio e di insegnamento a Cambridge: all’Emmanuel College, B. Whichcote (1609-1683), comunemente ritenuto il caposcuola, J. Smith (1616-1652), N. Culverwell (1618-1651), R. Cudworth (1617-1688); al Christ’s College, H. More (1614-1687). Di ispirazione platonica, hanno un atteggiamento molto critico verso l’empirismo baconiano (contro il sapere volto principalmente all’azione rivendicano il valore della contemplazione), il puritanesino (al legalismo religioso e all’arbitrarismo teologico oppongono la religione come interiorità e oggettiva moralità), il meccanicismo cartesiano e il materialismo hobbesiano (li giudicano inadeguati a spiegare il mondo degli esseri viventi e pericolosi in quanto possono aprire la via all’ateismo). Per sensibilità e formazione, essi ritengono centrale il tema della religione, sia in se stessa, che nei suoi rapporti con la ragione, con la prassi, con l’antropologia. 1. Religione e ragione. Per i platonici di Cambridge, la religione è intima comunione con Dio, via del ritorno dell’uomo a Dio. La ragione è the candle of the Lord, lumen Domini (Whichcote), lume derivato: lumen de lumine, participata similitudo rationis aeternae (Smith). Seguire la ragione è seguire Dio (Smith), e rifiutare la ragione è disonorare Dio (Culverwell). La ragione è vera amica della religione (Smith): è in grado di confutare l’ateismo e di combattere la superstizione; ha la stessa fonte della religione; è condizione imprescindibile per la comprensione della rivelazione. Ma la ragione, se è lumen Domini, non finisce per svalutare la religione? Effettivamente, i platonici di Cambridge, nell’opporsi al fideismo dei puritani, accentuano il valore della ragione, ma lo fanno unicamente in funzione apologetica: la religione è l’esito più vero della ragione (Whichcote); chi è guidato dalla religione vive in comunione con la propria ragione (Smith); si può riconoscere Cristo nella natura, nella ragione, come nei doni della grazia (Whichcote). 2. Religione prassi. Per i platonici di Cambridge, la moralità, già importante per la ragione in ordine alla conoscenza in sé (l’immoralità è sviante), e soprattutto per la conoscenza di Dio (l’occhio non può contemplare il sole se non è simile al sole (Smith)), è essenziale per la religione, che ha come fine la deificazione (théosis) dell’uomo, la sua assimilazione a Dio attraverso l’esercizio delle virtù, l’adesione attiva al volere divino, l’imitazione di Cristo, modello di santità. 3. Religione e antropologia. Per i platonici di Cambridge, la ragione è in certo modo «religiosa», in quanto vinculum Dei et hominis (Smith). Ma se è così, la religione è naturale, strutturale nell’uomo in quanto essere razionale, per cui la definizione di animal rationale può, deve, essere sostituita da animal capax religionis. Niente infatti è specifico dell’uomo quanto la capacità di religione (Whichcote): immagine di Dio, in relazione ontologica e spirituale con Dio, l’uomo è costitutivamente religioso. Di qui: l’ateismo è contro ragione e contro natura, è non liberazione ma alienazione dell’uomo; se Dio non esistesse, niente di peggio della religione (More). I platonici di Cambridge, con le loro posizioni forse hanno favorito dei processi che hanno portato, ad esempio, al razionalismo teologico di Toland o alla dissoluzione della teologia nell’antropologia in Feuerbach: esiti, per la verità, impropri e non voluti. Ben altri i loro meriti nella storia della filosofia: l’aver conservato una tradizione «classica» di pensiero (platonismo, neoplatonismo, patristica), l’aver dato l’avvio per qualche verso alla «filosofia della religione», l’aver trattato problemi di sicuro interesse speculativo ed esistenziale.
2009
9788837224271
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