Il saggio è dedicato a Jean Nabert, filosofo francese vissuto nella prima metà del XX secolo, noto soprattutto per il Saggio sul male. Pubblicato nel 1955, punto centrale dell’opera è la denuncia del male come ingiustificabile e, perciò, irriducibile a ogni ordine etico o metafisico, ché nulla può giustificare il male commesso o subito. Non a un ordine estrinseco al soggetto spetta questa denuncia, tuttavia, né è l’esito di un atto di surrezione. L’ingiustificabile è denunciato perché il male contraddice la radice stessa del soggetto, che Nabert individua nell’“affermazione assoluta” in quanto “Io sono”, certezza d’essere ed esistere che caratterizza in proprio il soggetto; certezza nella quale si dichiara l’ascendenza fichtiana del pensiero nabertiano. Prendendo le distanze da altre letture dedicate al tema, intento dell’articolo è mostrare che, se il male pretende di negare questa certezza, la speranza segna invece il movimento opposto, divenendo “possibile” per l’impossibilità stessa di negare totalmente quell’assoluto che, insieme al piano storico, individua in proprio l’io. Speranza che, così come il male, si radica nel soggetto in grazia di ciò di cui esso è ma non dispone, per quella certezza assoluta che lo trascende estaticamente. Ovvero: l’atto tramite il quale l’affermazione assoluta si afferma vale soltanto, per Nabert, se l’affermazione si afferma in ciascun io, attraverso l’io, garantendo così la propria affermazione e sostenendola. Il movimento di riflessione con il quale l’io s’innalza per giungere a questa affermazione potrebbe apparire illusorio e forse lo sarebbe, se non fosse guidato dall’“affermazione originaria” che vi in-siste come ciò che contemporaneamente appartiene al soggetto e lo supera. L’affermazione originaria, tuttavia, certezza assoluta per la quale il male è dichiarato ingiustificabile, non può essere pensata senza essere nel e al contempo altro dal soggetto, traccia di un’estaticità originaria ritornare alla quale è il senso della riflessione. Ché riflettere non significa, per l’io, tornare in modo concentrico su ciò che si è fatto o subìto ma è un movimento capace di rigenerare in quanto conduce l’io stesso verso la propria radice (da cui nasce e di cui si nutre la speranza) che lo invera. Estasi della speranza e rigenerazione dell’io sono, allora, un unico nodo, un’unica trama che tesse l’io senza che il male sia sottratto alla sua ingiustificabilità.

L’extase de l’espérance

CANULLO, Carla
2010-01-01

Abstract

Il saggio è dedicato a Jean Nabert, filosofo francese vissuto nella prima metà del XX secolo, noto soprattutto per il Saggio sul male. Pubblicato nel 1955, punto centrale dell’opera è la denuncia del male come ingiustificabile e, perciò, irriducibile a ogni ordine etico o metafisico, ché nulla può giustificare il male commesso o subito. Non a un ordine estrinseco al soggetto spetta questa denuncia, tuttavia, né è l’esito di un atto di surrezione. L’ingiustificabile è denunciato perché il male contraddice la radice stessa del soggetto, che Nabert individua nell’“affermazione assoluta” in quanto “Io sono”, certezza d’essere ed esistere che caratterizza in proprio il soggetto; certezza nella quale si dichiara l’ascendenza fichtiana del pensiero nabertiano. Prendendo le distanze da altre letture dedicate al tema, intento dell’articolo è mostrare che, se il male pretende di negare questa certezza, la speranza segna invece il movimento opposto, divenendo “possibile” per l’impossibilità stessa di negare totalmente quell’assoluto che, insieme al piano storico, individua in proprio l’io. Speranza che, così come il male, si radica nel soggetto in grazia di ciò di cui esso è ma non dispone, per quella certezza assoluta che lo trascende estaticamente. Ovvero: l’atto tramite il quale l’affermazione assoluta si afferma vale soltanto, per Nabert, se l’affermazione si afferma in ciascun io, attraverso l’io, garantendo così la propria affermazione e sostenendola. Il movimento di riflessione con il quale l’io s’innalza per giungere a questa affermazione potrebbe apparire illusorio e forse lo sarebbe, se non fosse guidato dall’“affermazione originaria” che vi in-siste come ciò che contemporaneamente appartiene al soggetto e lo supera. L’affermazione originaria, tuttavia, certezza assoluta per la quale il male è dichiarato ingiustificabile, non può essere pensata senza essere nel e al contempo altro dal soggetto, traccia di un’estaticità originaria ritornare alla quale è il senso della riflessione. Ché riflettere non significa, per l’io, tornare in modo concentrico su ciò che si è fatto o subìto ma è un movimento capace di rigenerare in quanto conduce l’io stesso verso la propria radice (da cui nasce e di cui si nutre la speranza) che lo invera. Estasi della speranza e rigenerazione dell’io sono, allora, un unico nodo, un’unica trama che tesse l’io senza che il male sia sottratto alla sua ingiustificabilità.
2010
9782701015668
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