La disamina dei delitti contro la fede pubblica comprende alcune notazioni generali, che possono ritenersi comuni a tutte le fattispecie contenute nel Titolo VII, Libro II, del codice penale. In prosieguo, ne vengono approfondite quelle che si sono rivelate di più frequente applicazione nella prassi. Individuato il criterio di distinzione fra i quattro Capi ricompresi in tale Titolo nel diverso oggetto materiale sul quale ricadono le condotte di falsificazione, si prende atto della non esaustività del pur ampio novero di disposizioni ivi contenute al fine di dar conto del panorama globale delle falsità penalmente rilevanti. Altre se ne possono rinvenire in materie regolate in ulteriori settori regolati dal codice; altre ancora in àmbito extracodicistico; altre, infine, quali quelle afferenti alla materia societaria, all’interno dello stesso codice civile. Un rapidissimo excursus storico permette, quindi, di cogliere punti di contatto e di distacco fra la disciplina riservata a questa materia dal codice Rocco e quella stabilita, al riguardo, dal codice Zanardelli. La cesura più lampante fra l’assetto del codice attuale e quello del codice previgente emerge in relazione al tema del falso documentale: mentre il codice del 1930 si appaga, agli effetti della sua integrazione, della sola falsificazione del documento, quello del 1889 postulava, ai medesimi effetti, che la falsità fosse altresì atta a produrre un pubblico o privato nocumento. Alla mancata riproduzione di tale clausola viene sovente imputato il deficit di lesività che connota le fattispecie vigenti in materia di falso documentale, sì da prestarsi a quelle interpretazioni formalistiche della giurisprudenza, i cui eccessi hanno formato oggetto di denuncia e di ampia critica da parte di tutta la letteratura sedimentatasi su questo terreno. Strettamente collegato al punto testé richiamato è quello connesso alla determinazione del concetto di fede pubblica, quale bene di categoria nella tutela del quale dovrebbe potersi proiettare l’intera gamma dei delitti racchiusi in questo Titolo. In realtà, l’aspirazione a definirne un comune ubi consistam si arresta ben presto, a fronte della refrattarietà di alcune fattispecie ad armonizzarsi in un disegno di protezione penale di un quid davvero comune: emblematico, al proposito, è il caso delle falsità personali (artt. 494 ss. c.p.), che neppure manifeste forzature ermeneutiche riescono ad iscrivere nello schema di fede pubblica impiegato per tutte le altre disposizioni. D’altra parte, l’eccessiva evanescenza del concetto di fede pubblica desumibile dai Lavori Preparatori e risultante, in maniera ancor più evidente, dal rigorismo giurisprudenziale in materia di falso documentale ha condotto a letture diverse dell’oggetto tutelato dalle norme in parola. Fra esse, per le discussioni cui ha dato luogo ma anche per il séguito di cui ha goduto e gode tuttora in giurisprudenza, merita di essere ricordata la teoria della c.d. plurioffensività dei delitti di falso, elaborata da Francesco Antolisei. Nella rassegna della copiosa giurisprudenza formatasi in subiecta materia, si dà conto degli orientamenti giurisprudenziali formatisi nella Suprema Corte su questioni che, avendo dato luogo ad arresti contrastanti delle Sezioni semplici, hanno richiesto un intervento della Cassazione a sezioni Unite: tale è stata, ad esempio, la querelle intorno al c.d. falso per induzione.

Delitti contro la fede pubblica

MANTOVANI, MARCO ORLANDO
2009-01-01

Abstract

La disamina dei delitti contro la fede pubblica comprende alcune notazioni generali, che possono ritenersi comuni a tutte le fattispecie contenute nel Titolo VII, Libro II, del codice penale. In prosieguo, ne vengono approfondite quelle che si sono rivelate di più frequente applicazione nella prassi. Individuato il criterio di distinzione fra i quattro Capi ricompresi in tale Titolo nel diverso oggetto materiale sul quale ricadono le condotte di falsificazione, si prende atto della non esaustività del pur ampio novero di disposizioni ivi contenute al fine di dar conto del panorama globale delle falsità penalmente rilevanti. Altre se ne possono rinvenire in materie regolate in ulteriori settori regolati dal codice; altre ancora in àmbito extracodicistico; altre, infine, quali quelle afferenti alla materia societaria, all’interno dello stesso codice civile. Un rapidissimo excursus storico permette, quindi, di cogliere punti di contatto e di distacco fra la disciplina riservata a questa materia dal codice Rocco e quella stabilita, al riguardo, dal codice Zanardelli. La cesura più lampante fra l’assetto del codice attuale e quello del codice previgente emerge in relazione al tema del falso documentale: mentre il codice del 1930 si appaga, agli effetti della sua integrazione, della sola falsificazione del documento, quello del 1889 postulava, ai medesimi effetti, che la falsità fosse altresì atta a produrre un pubblico o privato nocumento. Alla mancata riproduzione di tale clausola viene sovente imputato il deficit di lesività che connota le fattispecie vigenti in materia di falso documentale, sì da prestarsi a quelle interpretazioni formalistiche della giurisprudenza, i cui eccessi hanno formato oggetto di denuncia e di ampia critica da parte di tutta la letteratura sedimentatasi su questo terreno. Strettamente collegato al punto testé richiamato è quello connesso alla determinazione del concetto di fede pubblica, quale bene di categoria nella tutela del quale dovrebbe potersi proiettare l’intera gamma dei delitti racchiusi in questo Titolo. In realtà, l’aspirazione a definirne un comune ubi consistam si arresta ben presto, a fronte della refrattarietà di alcune fattispecie ad armonizzarsi in un disegno di protezione penale di un quid davvero comune: emblematico, al proposito, è il caso delle falsità personali (artt. 494 ss. c.p.), che neppure manifeste forzature ermeneutiche riescono ad iscrivere nello schema di fede pubblica impiegato per tutte le altre disposizioni. D’altra parte, l’eccessiva evanescenza del concetto di fede pubblica desumibile dai Lavori Preparatori e risultante, in maniera ancor più evidente, dal rigorismo giurisprudenziale in materia di falso documentale ha condotto a letture diverse dell’oggetto tutelato dalle norme in parola. Fra esse, per le discussioni cui ha dato luogo ma anche per il séguito di cui ha goduto e gode tuttora in giurisprudenza, merita di essere ricordata la teoria della c.d. plurioffensività dei delitti di falso, elaborata da Francesco Antolisei. Nella rassegna della copiosa giurisprudenza formatasi in subiecta materia, si dà conto degli orientamenti giurisprudenziali formatisi nella Suprema Corte su questioni che, avendo dato luogo ad arresti contrastanti delle Sezioni semplici, hanno richiesto un intervento della Cassazione a sezioni Unite: tale è stata, ad esempio, la querelle intorno al c.d. falso per induzione.
2009
9788865210109
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