La fedeltà, che apre la sesta ed ultima meditazione de Le phénomène érotique, annoda in sé, in una sintesi virtuosa, la trama dell’opera marionnienne. Sintesi virtuosa perché (e in quanto) dà “virtù” al fenomeno amoroso. Quale virtù, tuttavia? La virtus che appartiene alla natura di tale fenomeno, la sua capacità di mostrarsi e, soprattutto, di perdurare. Ma il perdurare può essere considerato una virtù? E in forza di che cosa, nella nostra finitezza, nella finitezza nella quale siamo e nella quale, perciò, il fenomeno amoroso è, possiamo perdurare? Il perdurare è uno dei grandi temi de Le phénomène érotique, opera che inizia con la messa in discussione e la contestazione di un perdurare, quello del conatus essendi. Quest’ultimo è il modo in cui perdura quell’essere che non resiste alla resa dei conti fenomenologica della vanità che con spietata serenità chiede: Cui prodest? À quoi bon? A che giova? Anche il cogito cartesiano, a suo modo, perdura. Esso si afferma mettendosi al riparo dal malin génie che, con la sua ben nota ruse, lo inganna incessantemente. Ma nessun inganno potrà mai inficiare la mia certezza di esistere che sarà vera ed indubitabile tutte le volte che pronuncerò il mio “ego sum, ego existo”; tutte le volte che, cioè, sceglierò di perdurare nell’affermazione del mio essere; o forse, e più propriamente, che persevererò in tale affermazione. Affermandosi nel “perseverare”, l’ontologia e il cogito si affermano da sé, di per sé e a prescindere da altro. Il perdurare dell’ontologia e del cogito, in definitiva, contraddice ciò che la riduzione amorosa, formulata nelle diverse domande, scopre, ossia l’originaria apertura dell’ego ad Altro. La posta in gioco dell’amore è, in ciò, ambiziosa, perché – contestando questi modi del perseverare – sfida la razionalità moderna tentando di recuperare quella dignità filosofica dalla quale l’evidenza epistemica del cogito lo ha escluso. L’amore lancia fenomenologicamente una sfida alla filosofia moderna e la lancia ripartendo dal suo punto primo ed ultimo, da quel cogito che, di meditazione in meditazione, si scopre come originario (ego) amans, come io che è in grazia di Altro. In grazia dell’Altro. Il cogito, tuttavia, attesta la propria verità tutte le volte che performativamente riafferma la propria esistenza. L’(ego) amans in quanto originariamente amato, l’io trafitto dall’Altro e dell’Altro, quando e come si conosce e si afferma? Quando raggiunge l’assurance su di sé, sul proprio conto, quando è rassicurato circa la propria esistenza? Se la sua temporalità fosse la ripetizione performativa del proprio “io sono, io esisto”, la distanza dal cogito moderno non si sarebbe ancora consumata. Perciò l’(ego) amans non “si fa certo di sé” grazie al proprio atto ma è reso sicuro, rassicurato dall’altro che gli dà la propria carne. Il che non dice nulla, tuttavia, sulla sua temporalità. Temporalità che non può essere quella del perseverare dell’essere, del to tin en einai / quod quid erat esse; non può neppure essere il perdurare perseverante del cogito, che “è” ogni qualvolta si pronuncia. Il § 10 de Le phénomène érotique, dove è messa a tema la possibilità che l’amore dia il suo volto a quello che solo impropriamente chiamiamo “soggetto”, merita (proprio per tentare una risposta alla questione) un’analisi più puntuale. Criticando l’amore di sé, Marion osserva che l’amor sui non sarebbe altro dal «riflesso nella coscienza di una rivendicazione più originaria, ontica – quella di perseverare nel proprio essere. L’amore di sé diventerebbe, così, soltanto il puro e semplice indizio, incomprensibile – forse – se ci si attiene al puro e semplice punto di vista della logica, di un’esigenza anch’essa e altrimenti stringente, quella propria dell’ente in quanto ente. Il cuore dell’obiezione mossa all’amor sui non sta, tuttavia, qui: se amare sé significa perseverare nel proprio essere, occorre criticare radicalmente la perseveranza e l’essere.

La fedeltà della carne

CANULLO, Carla
2007-01-01

Abstract

La fedeltà, che apre la sesta ed ultima meditazione de Le phénomène érotique, annoda in sé, in una sintesi virtuosa, la trama dell’opera marionnienne. Sintesi virtuosa perché (e in quanto) dà “virtù” al fenomeno amoroso. Quale virtù, tuttavia? La virtus che appartiene alla natura di tale fenomeno, la sua capacità di mostrarsi e, soprattutto, di perdurare. Ma il perdurare può essere considerato una virtù? E in forza di che cosa, nella nostra finitezza, nella finitezza nella quale siamo e nella quale, perciò, il fenomeno amoroso è, possiamo perdurare? Il perdurare è uno dei grandi temi de Le phénomène érotique, opera che inizia con la messa in discussione e la contestazione di un perdurare, quello del conatus essendi. Quest’ultimo è il modo in cui perdura quell’essere che non resiste alla resa dei conti fenomenologica della vanità che con spietata serenità chiede: Cui prodest? À quoi bon? A che giova? Anche il cogito cartesiano, a suo modo, perdura. Esso si afferma mettendosi al riparo dal malin génie che, con la sua ben nota ruse, lo inganna incessantemente. Ma nessun inganno potrà mai inficiare la mia certezza di esistere che sarà vera ed indubitabile tutte le volte che pronuncerò il mio “ego sum, ego existo”; tutte le volte che, cioè, sceglierò di perdurare nell’affermazione del mio essere; o forse, e più propriamente, che persevererò in tale affermazione. Affermandosi nel “perseverare”, l’ontologia e il cogito si affermano da sé, di per sé e a prescindere da altro. Il perdurare dell’ontologia e del cogito, in definitiva, contraddice ciò che la riduzione amorosa, formulata nelle diverse domande, scopre, ossia l’originaria apertura dell’ego ad Altro. La posta in gioco dell’amore è, in ciò, ambiziosa, perché – contestando questi modi del perseverare – sfida la razionalità moderna tentando di recuperare quella dignità filosofica dalla quale l’evidenza epistemica del cogito lo ha escluso. L’amore lancia fenomenologicamente una sfida alla filosofia moderna e la lancia ripartendo dal suo punto primo ed ultimo, da quel cogito che, di meditazione in meditazione, si scopre come originario (ego) amans, come io che è in grazia di Altro. In grazia dell’Altro. Il cogito, tuttavia, attesta la propria verità tutte le volte che performativamente riafferma la propria esistenza. L’(ego) amans in quanto originariamente amato, l’io trafitto dall’Altro e dell’Altro, quando e come si conosce e si afferma? Quando raggiunge l’assurance su di sé, sul proprio conto, quando è rassicurato circa la propria esistenza? Se la sua temporalità fosse la ripetizione performativa del proprio “io sono, io esisto”, la distanza dal cogito moderno non si sarebbe ancora consumata. Perciò l’(ego) amans non “si fa certo di sé” grazie al proprio atto ma è reso sicuro, rassicurato dall’altro che gli dà la propria carne. Il che non dice nulla, tuttavia, sulla sua temporalità. Temporalità che non può essere quella del perseverare dell’essere, del to tin en einai / quod quid erat esse; non può neppure essere il perdurare perseverante del cogito, che “è” ogni qualvolta si pronuncia. Il § 10 de Le phénomène érotique, dove è messa a tema la possibilità che l’amore dia il suo volto a quello che solo impropriamente chiamiamo “soggetto”, merita (proprio per tentare una risposta alla questione) un’analisi più puntuale. Criticando l’amore di sé, Marion osserva che l’amor sui non sarebbe altro dal «riflesso nella coscienza di una rivendicazione più originaria, ontica – quella di perseverare nel proprio essere. L’amore di sé diventerebbe, così, soltanto il puro e semplice indizio, incomprensibile – forse – se ci si attiene al puro e semplice punto di vista della logica, di un’esigenza anch’essa e altrimenti stringente, quella propria dell’ente in quanto ente. Il cuore dell’obiezione mossa all’amor sui non sta, tuttavia, qui: se amare sé significa perseverare nel proprio essere, occorre criticare radicalmente la perseveranza e l’essere.
2007
9788846505675
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