Ancora negli anni ’80 il sistema industriale poteva essere considerato il “grande responsabile” della rovina del tessuto artistico dei luoghi. Ma la “catastrofe” avviata da lungo tempo attorno al concetto di territorio sfociava allora in una nuova epistemologia, anche attenta all’integrazione fra ecologia ed economia, rapidamente accolta in ogni ambito disciplinare. Fra l’altro, mentre già da un ventennio la constatazione dei limiti del funzionamento del mercato rispetto all’ambiente naturale aveva minato la nozione marshalliana di economie esterne ed originato la nuova branca degli environmental economics, alcuni storici dell’arte si erano d’altra parte provati a rompere la tradizionale compartimentazione del proprio settore, per contestualizzare il tema dei beni culturali nel quadro della politica economica ed urbanistica. Poi emersa l’importanza del territorio sotto il profilo anche culturale, alla nuova teoria degli stakeholder e alla social corporate responsability le imprese hanno corrisposto con la logica oblativa della grants economy, però insufficiente nell’attuale stagione della economia della conoscenza per fronteggiare le esigenze del cultural heritage riconosciuto come decisivo fattore di produzione. Il sistema industriale, opportunamente avvalendosi dello sviluppo tecnologico, può ora applicarsi ad innovative forme di conoscenza e di informazione del capitale culturale diffuso sul territorio e concentrato nei musei, in funzione della sua salvaguardia e valorizzazione, implementando processi produttivi efficaci, efficienti e imprenditorialmente profittevoli in una prospettiva multi-stakeholder indirizzata a più aree di scambio di natura privata e pubblica. Proprio al principio degli anni ’80 Giovanni Urbani, il maggior tecnico del ‘900 per la conservazione dei beni culturali, auspicava “che ciò che finora ha portato alla separazione e al dissidio possa un giorno ricongiungere e sanare”.

Conoscenza e informazione del cultural heritage come spazio d’impresa

MONTELLA, Massimo
2008-01-01

Abstract

Ancora negli anni ’80 il sistema industriale poteva essere considerato il “grande responsabile” della rovina del tessuto artistico dei luoghi. Ma la “catastrofe” avviata da lungo tempo attorno al concetto di territorio sfociava allora in una nuova epistemologia, anche attenta all’integrazione fra ecologia ed economia, rapidamente accolta in ogni ambito disciplinare. Fra l’altro, mentre già da un ventennio la constatazione dei limiti del funzionamento del mercato rispetto all’ambiente naturale aveva minato la nozione marshalliana di economie esterne ed originato la nuova branca degli environmental economics, alcuni storici dell’arte si erano d’altra parte provati a rompere la tradizionale compartimentazione del proprio settore, per contestualizzare il tema dei beni culturali nel quadro della politica economica ed urbanistica. Poi emersa l’importanza del territorio sotto il profilo anche culturale, alla nuova teoria degli stakeholder e alla social corporate responsability le imprese hanno corrisposto con la logica oblativa della grants economy, però insufficiente nell’attuale stagione della economia della conoscenza per fronteggiare le esigenze del cultural heritage riconosciuto come decisivo fattore di produzione. Il sistema industriale, opportunamente avvalendosi dello sviluppo tecnologico, può ora applicarsi ad innovative forme di conoscenza e di informazione del capitale culturale diffuso sul territorio e concentrato nei musei, in funzione della sua salvaguardia e valorizzazione, implementando processi produttivi efficaci, efficienti e imprenditorialmente profittevoli in una prospettiva multi-stakeholder indirizzata a più aree di scambio di natura privata e pubblica. Proprio al principio degli anni ’80 Giovanni Urbani, il maggior tecnico del ‘900 per la conservazione dei beni culturali, auspicava “che ciò che finora ha portato alla separazione e al dissidio possa un giorno ricongiungere e sanare”.
2008
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