In questo lungo articolo l’Autore esamina il Filebo alla luce della concezione platonica della scrittu-ra. L’elemento valorizzato è il concetto di “gioco”: per Platone il “filosofo che scrive” ritiene che in un discorso scritto vi sia necessariamente molta parte di gioco e che non sia mai stata scritta un’opera in versi o in prosa degna di molta serietà (Fedro, 277 E). Analogamente nella Lettera Settima, 344 C-D, egli afferma che ogni uomo serio non scrive cose serie per non esporle all’incapacità di capire degli uo-mini; pertanto se uno ha scritto opere, queste non erano per lui le cose più serie, che restano riposte nel-la sua anima. Tale procedura ha evidentemente uno scopo protrettico. Due sono i giochi maggiori che Migliori individua. Il primo è etico. Il testo afferma continuamente (nell’articolo si elencano tutti i passi evidenziandone la varietà linguistica) che la vita buona è fatta di piacere e pensiero, un intreccio, dal punto di vista di quello che Platone dice nel dialogo, impossibile. Infatti l’intelligenza è nel genere della causa, più precisamente è affine e quasi dello stesso genere della causa (30 D – 31 A). Dunque è la causa della mescolanza, non uno degli elementi della stessa. Così in-fatti è: Platone per tutto il dialogo “dice” la cosa “sbagliata” ma poi fa la cosa “giusta”. Quando infatti si affronta l’analisi del “pensiero” si esaminano solo le conoscenze, ta mathemata, cioè le tecniche e le scienze (55 C - 58 A 5). E alla fine (61 C – 63 E) il pensiero mescola nella vita buona e felice alcune forme di piaceri con tutte le conoscenze. In questo modo Platone cerca probabilmente di innescare nel lettore non solo una ricerca autonoma, ma anche la comprensione della complessità dei fenomeni analizzati e quindi l’impossibilità di ricon-durre la “costruzione” di una vita buona e felice a pochi dati elementari. Il secondo gioco è di natura gnoseo-metafisica. Platone mostra che la realtà è intrinsecamente uni-molteplice, arrivando a parlare di “identità” di uno e molti (15 D). Questo è possibile perché ogni realtà è un misto che ha alla base un limite che agisce su un illimitato. Dunque il Peras costituisce il principio d’ordine che realizzando la giusta proporzione rende stabile la realtà (26 A-B), una causa formale che è insieme ontologica e assiologia. Questa trattazione non viene più ripresa esplicitamente nel dialogo. Nella parte finale del Filebo Platone omette, per l’ennesima volta, la definizione del Bene, ma affer-ma che tutti sanno che qualsiasi mescolanza, se non ha realizzato la misura e la proporzione, determina necessariamente la rovina dei suoi componenti, e ancor prima di se stessa. La cosa viene confermata nella successiva analisi che consente di individuare il Bene in tre Idee: «Dunque, se non possiamo co-gliere il Bene in una sola Idea, dopo averlo colto con tre, ossia bellezza, proporzione e verità, diciamo che attribuiamo giustamente a questo, preso come un uno, la causa delle realtà che sono nella mescolan-za, e che la bontà della mescolanza deriva da questo, in quanto esso è Bene» (65 A 1-5). Se si prendono le tre idee come se fossero un’unità, se le riconduciamo ad uno, abbiamo una causa che 1) è ontologica, come viene esplicitamente detto a proposito delle realtà che costituiscono la mescolanza, 2) è assiologi-ca, come viene esplicitamente detto, in quanto questo principio è il Bene, e 3) è gnoseologica, visto che ripetutamente Platone ha inserito nella mescolanza anche la verità. Numerose sottolineature, attentamente elencate nell’articolo, e l’elenco finale dei beni ci portano in-fine a ritenere che il Bene sia la Misura stessa. A questo punto mettendo a confronto le caratteristiche delle due trattazioni, come deve fare il lettore che ha capito il gioco platonico, è facile vedere come Platone abbia proposto con due formulazione lin-guistiche lo stesso modello: una causa che, essendo insieme ontologica, assiologia e gnoseologica, è causa dell’intero.

Due giochi danno unità e struttura ad un dialogo tempestoso: il Filebo

MIGLIORI, Maurizio
2007-01-01

Abstract

In questo lungo articolo l’Autore esamina il Filebo alla luce della concezione platonica della scrittu-ra. L’elemento valorizzato è il concetto di “gioco”: per Platone il “filosofo che scrive” ritiene che in un discorso scritto vi sia necessariamente molta parte di gioco e che non sia mai stata scritta un’opera in versi o in prosa degna di molta serietà (Fedro, 277 E). Analogamente nella Lettera Settima, 344 C-D, egli afferma che ogni uomo serio non scrive cose serie per non esporle all’incapacità di capire degli uo-mini; pertanto se uno ha scritto opere, queste non erano per lui le cose più serie, che restano riposte nel-la sua anima. Tale procedura ha evidentemente uno scopo protrettico. Due sono i giochi maggiori che Migliori individua. Il primo è etico. Il testo afferma continuamente (nell’articolo si elencano tutti i passi evidenziandone la varietà linguistica) che la vita buona è fatta di piacere e pensiero, un intreccio, dal punto di vista di quello che Platone dice nel dialogo, impossibile. Infatti l’intelligenza è nel genere della causa, più precisamente è affine e quasi dello stesso genere della causa (30 D – 31 A). Dunque è la causa della mescolanza, non uno degli elementi della stessa. Così in-fatti è: Platone per tutto il dialogo “dice” la cosa “sbagliata” ma poi fa la cosa “giusta”. Quando infatti si affronta l’analisi del “pensiero” si esaminano solo le conoscenze, ta mathemata, cioè le tecniche e le scienze (55 C - 58 A 5). E alla fine (61 C – 63 E) il pensiero mescola nella vita buona e felice alcune forme di piaceri con tutte le conoscenze. In questo modo Platone cerca probabilmente di innescare nel lettore non solo una ricerca autonoma, ma anche la comprensione della complessità dei fenomeni analizzati e quindi l’impossibilità di ricon-durre la “costruzione” di una vita buona e felice a pochi dati elementari. Il secondo gioco è di natura gnoseo-metafisica. Platone mostra che la realtà è intrinsecamente uni-molteplice, arrivando a parlare di “identità” di uno e molti (15 D). Questo è possibile perché ogni realtà è un misto che ha alla base un limite che agisce su un illimitato. Dunque il Peras costituisce il principio d’ordine che realizzando la giusta proporzione rende stabile la realtà (26 A-B), una causa formale che è insieme ontologica e assiologia. Questa trattazione non viene più ripresa esplicitamente nel dialogo. Nella parte finale del Filebo Platone omette, per l’ennesima volta, la definizione del Bene, ma affer-ma che tutti sanno che qualsiasi mescolanza, se non ha realizzato la misura e la proporzione, determina necessariamente la rovina dei suoi componenti, e ancor prima di se stessa. La cosa viene confermata nella successiva analisi che consente di individuare il Bene in tre Idee: «Dunque, se non possiamo co-gliere il Bene in una sola Idea, dopo averlo colto con tre, ossia bellezza, proporzione e verità, diciamo che attribuiamo giustamente a questo, preso come un uno, la causa delle realtà che sono nella mescolan-za, e che la bontà della mescolanza deriva da questo, in quanto esso è Bene» (65 A 1-5). Se si prendono le tre idee come se fossero un’unità, se le riconduciamo ad uno, abbiamo una causa che 1) è ontologica, come viene esplicitamente detto a proposito delle realtà che costituiscono la mescolanza, 2) è assiologi-ca, come viene esplicitamente detto, in quanto questo principio è il Bene, e 3) è gnoseologica, visto che ripetutamente Platone ha inserito nella mescolanza anche la verità. Numerose sottolineature, attentamente elencate nell’articolo, e l’elenco finale dei beni ci portano in-fine a ritenere che il Bene sia la Misura stessa. A questo punto mettendo a confronto le caratteristiche delle due trattazioni, come deve fare il lettore che ha capito il gioco platonico, è facile vedere come Platone abbia proposto con due formulazione lin-guistiche lo stesso modello: una causa che, essendo insieme ontologica, assiologia e gnoseologica, è causa dell’intero.
2007
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