L’interazione tra immigrati e società di destinazione si dispiega lungo percorsi di inclusione o, al contrario, di accoglienza mancata o di semplice indifferenza, che dipendono da fattori istituzionali (politica migratoria e politiche per i migranti), come pure dalle dinamiche degli atteggiamenti e delle rappresentazioni sociali che vengono a crearsi reciprocamente tra autoctoni e “nuovi venuti”. Poiché gioca un ruolo di primo piano nel plasmare l’identità sociale, il tema della cittadinanza e della sua percezione da parte degli attori coinvolti rappresenta uno snodo cruciale nella strutturazione della trama delle relazioni sociali. Il presente contributo si propone di discutere criticamente il processo di costruzione sociale dell’identità/ delle identità degli immigrati stranieri intesi come categoria sociale (prime e seconde generazioni) a partire dal tema della cittadinanza (istituzionale, percepita, desiderata, raggiunta, rifiutata, negata…). In questo quadro, la realtà italiana costituisce un ambito di analisi particolarmente stimolante, dal momento che alla luce dell’evoluzione dei processi immigratori il modello dello ius sanguinis sta mostrando segni di debolezza che ci interpellano come studiosi e come cittadini. Come ricorda Walzer, tale criterio considera la comunità nazionale come una famiglia, nella quale si può entrare solo per nascita o per matrimonio escludendo chi è privo di vincoli di sangue. Questa preferenza etnica ne fa un principio da molti ritenuto eccessivamente restrittivo, oltre che identificabile con ideologie conservatrici tendenti all’esclusione degli stranieri. Il mio intervento tematizza i principali lineamenti del dibattito teorico di matrice sociologica e politologica in tema di cittadinanza, rivolgendo l’attenzione a coloro che potrebbero (dovrebbero) diventare i cittadini di domani (gli “italiani col trattino”, per citare Ambrosini). Parlando di “nuovi cittadini”, non va dimenticato che le identità sono spesso multiple e plurali, articolate sulla base di legami antichi (culture di origine di matrice tradizionale) che tendono a permanere, come pure su rapporti sociali nuovi tutti da costruire nella società di destinazione. E’ appena il caso di citare le seconde generazioni, per le quali le principali agenzie di socializzazione, primaria e secondaria, (famiglia, scuola, gruppo dei pari, istituzioni e organizzazioni, e così via) contribuiscono, non senza difficoltà, a definire gli aspetti identitari e a organizzare le basi di un’integrazione dalle molte facce, in primis linguistica, ma anche sociale, culturale ed economica. Considerato che gli esiti dei processi immigratori sono indissolubilmente vincolati alle condizioni imposte dalla legislazione vigente nei paesi di destinazione e subiscono gli effetti delle politiche attuate, la discussione si incentrerà sul concetto di cittadinanza “politica” e sui suoi limiti, con un focus particolare sulla realtà italiana, per affrontare successivamente le potenziali riforme in senso “debole”, come i recenti mutamenti nelle caratteristiche dei flussi imporrebbero. Sentirsi cittadini non presuppone unicamente la titolarità di un pacchetto di diritti, ma anche la partecipazione attiva e la responsabilizzazione rispetto alla vita della comunità di riferimento, con evidenti ricadute sul piano della costruzione identitaria individuale e collettiva. Una più ampia consapevolezza, sia teorica sia pratica, dei processi in discussione potrebbe rivelarsi determinante per una migliore accoglienza dei migranti e una più efficace gestione dei flussi immigratori. Questo perché ripensare all’idea di cittadinanza in chiave politica e giuridica passa in primis attraverso una sua riconcettualizzazione in ottica culturale e sociale.

L’idea di cittadinanza nel processo di costruzione sociale della/delle identità degli immigrati stranieri. Il caso italiano tra prime e seconde generazioni

Maria Letizia Zanier
2018-01-01

Abstract

L’interazione tra immigrati e società di destinazione si dispiega lungo percorsi di inclusione o, al contrario, di accoglienza mancata o di semplice indifferenza, che dipendono da fattori istituzionali (politica migratoria e politiche per i migranti), come pure dalle dinamiche degli atteggiamenti e delle rappresentazioni sociali che vengono a crearsi reciprocamente tra autoctoni e “nuovi venuti”. Poiché gioca un ruolo di primo piano nel plasmare l’identità sociale, il tema della cittadinanza e della sua percezione da parte degli attori coinvolti rappresenta uno snodo cruciale nella strutturazione della trama delle relazioni sociali. Il presente contributo si propone di discutere criticamente il processo di costruzione sociale dell’identità/ delle identità degli immigrati stranieri intesi come categoria sociale (prime e seconde generazioni) a partire dal tema della cittadinanza (istituzionale, percepita, desiderata, raggiunta, rifiutata, negata…). In questo quadro, la realtà italiana costituisce un ambito di analisi particolarmente stimolante, dal momento che alla luce dell’evoluzione dei processi immigratori il modello dello ius sanguinis sta mostrando segni di debolezza che ci interpellano come studiosi e come cittadini. Come ricorda Walzer, tale criterio considera la comunità nazionale come una famiglia, nella quale si può entrare solo per nascita o per matrimonio escludendo chi è privo di vincoli di sangue. Questa preferenza etnica ne fa un principio da molti ritenuto eccessivamente restrittivo, oltre che identificabile con ideologie conservatrici tendenti all’esclusione degli stranieri. Il mio intervento tematizza i principali lineamenti del dibattito teorico di matrice sociologica e politologica in tema di cittadinanza, rivolgendo l’attenzione a coloro che potrebbero (dovrebbero) diventare i cittadini di domani (gli “italiani col trattino”, per citare Ambrosini). Parlando di “nuovi cittadini”, non va dimenticato che le identità sono spesso multiple e plurali, articolate sulla base di legami antichi (culture di origine di matrice tradizionale) che tendono a permanere, come pure su rapporti sociali nuovi tutti da costruire nella società di destinazione. E’ appena il caso di citare le seconde generazioni, per le quali le principali agenzie di socializzazione, primaria e secondaria, (famiglia, scuola, gruppo dei pari, istituzioni e organizzazioni, e così via) contribuiscono, non senza difficoltà, a definire gli aspetti identitari e a organizzare le basi di un’integrazione dalle molte facce, in primis linguistica, ma anche sociale, culturale ed economica. Considerato che gli esiti dei processi immigratori sono indissolubilmente vincolati alle condizioni imposte dalla legislazione vigente nei paesi di destinazione e subiscono gli effetti delle politiche attuate, la discussione si incentrerà sul concetto di cittadinanza “politica” e sui suoi limiti, con un focus particolare sulla realtà italiana, per affrontare successivamente le potenziali riforme in senso “debole”, come i recenti mutamenti nelle caratteristiche dei flussi imporrebbero. Sentirsi cittadini non presuppone unicamente la titolarità di un pacchetto di diritti, ma anche la partecipazione attiva e la responsabilizzazione rispetto alla vita della comunità di riferimento, con evidenti ricadute sul piano della costruzione identitaria individuale e collettiva. Una più ampia consapevolezza, sia teorica sia pratica, dei processi in discussione potrebbe rivelarsi determinante per una migliore accoglienza dei migranti e una più efficace gestione dei flussi immigratori. Questo perché ripensare all’idea di cittadinanza in chiave politica e giuridica passa in primis attraverso una sua riconcettualizzazione in ottica culturale e sociale.
2018
978-88-6056-561-7
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11393/244089
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