Tra l’ultimo decennio dell’Ottocento e il primo del Novecento Stephen Crane ‘poeta’ fu salutato e poi rivalutato come un’anomalia sorprendente ma ineluttabile della poesia americana, fino ad essere eletto, pur nell'ambiguo o distorto contesto transatlantico del decadentismo, quale precursore dell’Imagismo. Nel contesto più ampio di quella che per Crane, come ho sostenuto altrove, può essere definita una vera e propria "poetica biblica di fin de siècle", questo saggio si propone di riscoprire un artista diametralmente opposto al bohémien/poseur di fine secolo o al precursore dell’avanguardia modernista: un poeta di retroguardia, profondamente e problematicamente immerso nella tradizione più radicata e radicale del protestantesimo del Nuovo Mondo. Tra le sessantotto poesie raccolte in The Black Riders, quelle che «riguardano Dio» si distinguono per essere particolarmente adatte a un’analisi del rapporto tra arte verbale e religione, qui esemplificato dalla lirica numero VI (God fashioned the ship of the world carefully), la poesia che, secondo la leggenda, Crane avrebbe composto di getto nell’appartamento di Garland a New York, dove si era recato agli inizi di marzo del 1894 per mostrargli alcuni manoscritti. Tanto per la posizione testuale che occupa nel corpus dei versi che riguardano l’Onnipotente, quanto per il mito cosmologico/cosmogonico che essa rielabora nel contesto della grande tradizione occidentale, non solo ebraico-cristiana, ma anche classica (il mito del Dio demiurgo e della nave del mondo che sfugge al controllo del creatore), la poesia VI può essere letta come il fondamento onto-teo-logico su cui poggia l’anarchia protestante, o protesta anarchica, del poeta ribelle nei confronti della Divinità cristiana.

Il Dio dell'inizio e l'anarchia protestante di Stephen Crane

Nori, Giuseppe
2017-01-01

Abstract

Tra l’ultimo decennio dell’Ottocento e il primo del Novecento Stephen Crane ‘poeta’ fu salutato e poi rivalutato come un’anomalia sorprendente ma ineluttabile della poesia americana, fino ad essere eletto, pur nell'ambiguo o distorto contesto transatlantico del decadentismo, quale precursore dell’Imagismo. Nel contesto più ampio di quella che per Crane, come ho sostenuto altrove, può essere definita una vera e propria "poetica biblica di fin de siècle", questo saggio si propone di riscoprire un artista diametralmente opposto al bohémien/poseur di fine secolo o al precursore dell’avanguardia modernista: un poeta di retroguardia, profondamente e problematicamente immerso nella tradizione più radicata e radicale del protestantesimo del Nuovo Mondo. Tra le sessantotto poesie raccolte in The Black Riders, quelle che «riguardano Dio» si distinguono per essere particolarmente adatte a un’analisi del rapporto tra arte verbale e religione, qui esemplificato dalla lirica numero VI (God fashioned the ship of the world carefully), la poesia che, secondo la leggenda, Crane avrebbe composto di getto nell’appartamento di Garland a New York, dove si era recato agli inizi di marzo del 1894 per mostrargli alcuni manoscritti. Tanto per la posizione testuale che occupa nel corpus dei versi che riguardano l’Onnipotente, quanto per il mito cosmologico/cosmogonico che essa rielabora nel contesto della grande tradizione occidentale, non solo ebraico-cristiana, ma anche classica (il mito del Dio demiurgo e della nave del mondo che sfugge al controllo del creatore), la poesia VI può essere letta come il fondamento onto-teo-logico su cui poggia l’anarchia protestante, o protesta anarchica, del poeta ribelle nei confronti della Divinità cristiana.
2017
9788860749383
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