Fino a pochi decenni fa per gran parte della critica letteraria il primo grande romanzo americano sul Roma e sull’Italia, The Marble Faun (1860) di Nathaniel Hawthorne, era più che altro un pesante esercizio di scrittura “turistica”, che cercava di ammantare un’immagine superficialmente “museale” della Città Eterna con le tipiche ossessioni hawthorniane per il rapporto del presente con un passato misterioso, e mai completamente svelato nel corso della narrazione, di crimini e peccati individuali e collettivi. Letture più recenti hanno viceversa sottolineato il carattere ambiguamente dinamico dell’interazione che i quattro personaggi principali del romanzo istituiscono con il monumentale scenario romano e che, anziché configurarsi come la passiva contemplazione di una serie di opere d’arte e d’architettura appartenenti a un mondo “altro” ma rassicurante proprio per il loro essere reliquie di un tempo storico completamente superato, si rivela tanto più inquietante quanto più innesca meccanismi di emersione del rimosso attraverso la proiezione dei traumi censurati del soggetto sullo specchio polveroso di secolari rovine. Il saggio cerca di evidenziare come la rappresentazione che Hawthorne opera del panorama artistico e urbanistico romano – narrativizzata attraverso quei movimenti dei personaggi per le strade, i palazzi e le chiese che i lettori del romanzo replicheranno, usandolo come vera e propria guida turistica e addirittura aggiungendo, come prevedeva l’edizione Tauchnitz, le proprie fotografie dei luoghi descritti nei vari capitoli – smantelli la sua dimensione “museale”, se per “museo” si intende lo spazio che fissa e immobilizza l’evoluzione storica e culturale per “immortalarla” nella memoria (anch’essa eminentemente intesa come repertorio, collezione, archivio di “oggetti” sottratti al flusso della temporalità). Del resto, in The Marble Faun la parola “museum” appare, incredibilmente, soltanto una volta, quasi a voler enfatizzare il carattere tutt’altro che puramente “contemplativo” della relazione che i personaggi (e con essi i lettori) devono intrattenere con i “testi” offerti alla loro percezione – in questo senso, non solo dipinti, statue e monumenti, ma anche i singoli personaggi e soprattutto, in una sorta di postmoderna mise en abyme, il modo in cui essi si relazionano con quei testi. Se Roma è un museo, insomma, allora è un museo mobile, il luogo dinamico che permette la resurrezione e la ri-dinamicizzazione della memoria, e non tanto della memoria storicizzata che si offre allo sguardo del turista e del lettore, quanto delle memorie sepolte di questi ultimi, che nel confronto con il passato “altro” si riattivano proprio nella loro “alterità”, così consentendo la ridefinizione in termini più complessi e dinamici della propria identità – per certi versi, si tratta esattamente della “missione” di ogni progetto contemporaneo di recupero della memoria culturale.

Un museo mobile. La percezione interattiva della memoria culturale in The Marble Faun di Nathaniel Hawthorne

DE ANGELIS, Valerio Massimo
2016-01-01

Abstract

Fino a pochi decenni fa per gran parte della critica letteraria il primo grande romanzo americano sul Roma e sull’Italia, The Marble Faun (1860) di Nathaniel Hawthorne, era più che altro un pesante esercizio di scrittura “turistica”, che cercava di ammantare un’immagine superficialmente “museale” della Città Eterna con le tipiche ossessioni hawthorniane per il rapporto del presente con un passato misterioso, e mai completamente svelato nel corso della narrazione, di crimini e peccati individuali e collettivi. Letture più recenti hanno viceversa sottolineato il carattere ambiguamente dinamico dell’interazione che i quattro personaggi principali del romanzo istituiscono con il monumentale scenario romano e che, anziché configurarsi come la passiva contemplazione di una serie di opere d’arte e d’architettura appartenenti a un mondo “altro” ma rassicurante proprio per il loro essere reliquie di un tempo storico completamente superato, si rivela tanto più inquietante quanto più innesca meccanismi di emersione del rimosso attraverso la proiezione dei traumi censurati del soggetto sullo specchio polveroso di secolari rovine. Il saggio cerca di evidenziare come la rappresentazione che Hawthorne opera del panorama artistico e urbanistico romano – narrativizzata attraverso quei movimenti dei personaggi per le strade, i palazzi e le chiese che i lettori del romanzo replicheranno, usandolo come vera e propria guida turistica e addirittura aggiungendo, come prevedeva l’edizione Tauchnitz, le proprie fotografie dei luoghi descritti nei vari capitoli – smantelli la sua dimensione “museale”, se per “museo” si intende lo spazio che fissa e immobilizza l’evoluzione storica e culturale per “immortalarla” nella memoria (anch’essa eminentemente intesa come repertorio, collezione, archivio di “oggetti” sottratti al flusso della temporalità). Del resto, in The Marble Faun la parola “museum” appare, incredibilmente, soltanto una volta, quasi a voler enfatizzare il carattere tutt’altro che puramente “contemplativo” della relazione che i personaggi (e con essi i lettori) devono intrattenere con i “testi” offerti alla loro percezione – in questo senso, non solo dipinti, statue e monumenti, ma anche i singoli personaggi e soprattutto, in una sorta di postmoderna mise en abyme, il modo in cui essi si relazionano con quei testi. Se Roma è un museo, insomma, allora è un museo mobile, il luogo dinamico che permette la resurrezione e la ri-dinamicizzazione della memoria, e non tanto della memoria storicizzata che si offre allo sguardo del turista e del lettore, quanto delle memorie sepolte di questi ultimi, che nel confronto con il passato “altro” si riattivano proprio nella loro “alterità”, così consentendo la ridefinizione in termini più complessi e dinamici della propria identità – per certi versi, si tratta esattamente della “missione” di ogni progetto contemporaneo di recupero della memoria culturale.
2016
9788860564986
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