Il presente lavoro – dal titolo Il racconto di favole quale strumento letterario nel percorso pedagogico: Leonardo Sciascia – si pone l’obiettivo di fornire una lettura delle Favole della dittatura (1950) di Leonardo Sciascia secondo le coordinate del pedagogico e del letterario. Tale bifrontismo, lungi dall’essere esclusiva prerogativa del testo destinato a un pubblico infantile e giovanile, si presta a essere chiave di interpretazione di tutta l’opera sciasciana. Sulla letteratura per l’infanzia incombe la «pregiudiziale» crociana per cui non di vera arte si dovrebbe parlare, bensì di una letteratura che per essere per i bambini e non per se stessa è inficiata dalla propria natura. Le posizioni critiche successive, in più o meno manifesta opposizione con il dettato di Croce, ampliano il dibattito su cosa debba intendersi per testo per l’infanzia, valorizzando ora l’aspetto artistico ora quello pedagogico. Nel secondo capitolo viene tracciato un rapido excursus del racconto favolistico che prende le mosse dal modello Esopo, con il suo continuatore Fedro cui Sciascia si ispira e fino a Jean de La Fontaine, approfondendo poi il vasto patrimonio contemporaneo con l’analisi di alcune opere che si fanno paradigma del doppio registro costitutivo della natura identitaria della letteratura per l’infanzia. Tra gli altri, meritano interesse quegli autori che oltre alla letteratura “alta” si sono dedicati anche alla produzione infantile. Emblematico è il caso Tamaro per il rapporto tra letteratura per l’infanzia e letteratura per adulti, diventando quest’ultima in qualche modo tributaria della prima. Si distingue anche la produzione favolistica del cileno Sepulveda che con le sue storie coinvolge adulti e bambini; protagonisti sono gli animali che dalla loro diversità traggono reciproca ricchezza. Anche nelle Favole di Sciascia a parlare sono gli animali. La narrazione si muove tra le due coordinate della brevitas e della moralità, peculiari di tutta la letteratura sciasciana. È proprio dalle Favole infatti che si deve partire per comprendere tutto il mondo dell’intellettuale siciliano. In esse, pur essendo un’opera di apprendistato, si condensano le tematiche approfondite nelle opere più mature: la lotta ingaggiata dall’autore contro ogni ingiustizia, la meditazione sul Potere e sulle sue intime logiche, il bisogno di ricerca della verità, la sfiducia nelle capacità conoscitive della ragione. Le Favole della dittatura non sono semplici, criptiche e colte nella stringatezza di una letterarietà estremamente curata che si presta a esprimere l’incomprensibilità della realtà. Sciascia non vuole essere un nuovo Fedro e muove verso una reinterpretazione originale del racconto favolistico, contribuendo al processo di straniamento e di decostruzione del patrimonio tradizionale. Anche l’assenza della morale segna apertamente la dissonanza rispetto al modello fedriano che ha invece una morale sempre esplicita inserita nella premessa o nella parte finale della storia; nel mentre negli apologhi sciasciani si assiste alla totale omissione di promitio ed epimitio. La formula del pedagogico e del letterario sperimentata nelle Favole si ripropone con maggiori possibilità espressive nella produzione successiva. Il problema della giustizia muove le opere di contenuto storico e poliziesco come anche gli scritti di saggistica e quelli di taglio giornalistico. Contro il mondo oscuro dell’ingiustizia si erge il capitano dei carabinieri Candida, alter ego dell’autore e ispiratore del Bellodi de Il giorno della civetta (1961) come anche del buono e del giusto che si ritrova in alcuni personaggi sciasciani. Ma è soprattutto nelle Parrocchie di Regalpetra (1956) che si realizza la sintesi perfetta di pedagogico e letterario, un pedagogico che è tanto più incisivo in quanto rigettato proprio dall’istituzione che dovrebbe garantirne la realizzazione. Sicché la scuola, chiusa nelle sue logiche autoreferenziali, viene dichiaratamente ricusata dal maestro Sciascia. Solo il fronte linguistico può supportare il pedagogico, nel tentativo di rappresentare una realtà che sfugge irrimediabilmente a ogni riproduzione.

Il racconto di favole quale strumento letterario nel percorso pedagogico: Leonardo Sciascia

ARDITO, MARIA FONTANA
2014-01-01

Abstract

Il presente lavoro – dal titolo Il racconto di favole quale strumento letterario nel percorso pedagogico: Leonardo Sciascia – si pone l’obiettivo di fornire una lettura delle Favole della dittatura (1950) di Leonardo Sciascia secondo le coordinate del pedagogico e del letterario. Tale bifrontismo, lungi dall’essere esclusiva prerogativa del testo destinato a un pubblico infantile e giovanile, si presta a essere chiave di interpretazione di tutta l’opera sciasciana. Sulla letteratura per l’infanzia incombe la «pregiudiziale» crociana per cui non di vera arte si dovrebbe parlare, bensì di una letteratura che per essere per i bambini e non per se stessa è inficiata dalla propria natura. Le posizioni critiche successive, in più o meno manifesta opposizione con il dettato di Croce, ampliano il dibattito su cosa debba intendersi per testo per l’infanzia, valorizzando ora l’aspetto artistico ora quello pedagogico. Nel secondo capitolo viene tracciato un rapido excursus del racconto favolistico che prende le mosse dal modello Esopo, con il suo continuatore Fedro cui Sciascia si ispira e fino a Jean de La Fontaine, approfondendo poi il vasto patrimonio contemporaneo con l’analisi di alcune opere che si fanno paradigma del doppio registro costitutivo della natura identitaria della letteratura per l’infanzia. Tra gli altri, meritano interesse quegli autori che oltre alla letteratura “alta” si sono dedicati anche alla produzione infantile. Emblematico è il caso Tamaro per il rapporto tra letteratura per l’infanzia e letteratura per adulti, diventando quest’ultima in qualche modo tributaria della prima. Si distingue anche la produzione favolistica del cileno Sepulveda che con le sue storie coinvolge adulti e bambini; protagonisti sono gli animali che dalla loro diversità traggono reciproca ricchezza. Anche nelle Favole di Sciascia a parlare sono gli animali. La narrazione si muove tra le due coordinate della brevitas e della moralità, peculiari di tutta la letteratura sciasciana. È proprio dalle Favole infatti che si deve partire per comprendere tutto il mondo dell’intellettuale siciliano. In esse, pur essendo un’opera di apprendistato, si condensano le tematiche approfondite nelle opere più mature: la lotta ingaggiata dall’autore contro ogni ingiustizia, la meditazione sul Potere e sulle sue intime logiche, il bisogno di ricerca della verità, la sfiducia nelle capacità conoscitive della ragione. Le Favole della dittatura non sono semplici, criptiche e colte nella stringatezza di una letterarietà estremamente curata che si presta a esprimere l’incomprensibilità della realtà. Sciascia non vuole essere un nuovo Fedro e muove verso una reinterpretazione originale del racconto favolistico, contribuendo al processo di straniamento e di decostruzione del patrimonio tradizionale. Anche l’assenza della morale segna apertamente la dissonanza rispetto al modello fedriano che ha invece una morale sempre esplicita inserita nella premessa o nella parte finale della storia; nel mentre negli apologhi sciasciani si assiste alla totale omissione di promitio ed epimitio. La formula del pedagogico e del letterario sperimentata nelle Favole si ripropone con maggiori possibilità espressive nella produzione successiva. Il problema della giustizia muove le opere di contenuto storico e poliziesco come anche gli scritti di saggistica e quelli di taglio giornalistico. Contro il mondo oscuro dell’ingiustizia si erge il capitano dei carabinieri Candida, alter ego dell’autore e ispiratore del Bellodi de Il giorno della civetta (1961) come anche del buono e del giusto che si ritrova in alcuni personaggi sciasciani. Ma è soprattutto nelle Parrocchie di Regalpetra (1956) che si realizza la sintesi perfetta di pedagogico e letterario, un pedagogico che è tanto più incisivo in quanto rigettato proprio dall’istituzione che dovrebbe garantirne la realizzazione. Sicché la scuola, chiusa nelle sue logiche autoreferenziali, viene dichiaratamente ricusata dal maestro Sciascia. Solo il fronte linguistico può supportare il pedagogico, nel tentativo di rappresentare una realtà che sfugge irrimediabilmente a ogni riproduzione.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11393/192825
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