La ricerca pone l’attenzione su un terreno ancora poco esplorato dalla storiografia scolastico-educativa, quello relativo alla storia dell’istruzione artistica, tecnica e professionale in Italia dalla stagione preunitaria fino agli ultimi anni dell’Ottocento. Finora questa branca dell’educazione è stata oggetto di rapide analisi, o di semplici segnalazioni, da parte degli studi di settore che hanno teso per lo più a inquadrare il tema nelle linee generali, evidenziando i passaggi più significativi della sua evoluzione legislativa, tralasciando spesso gli aspetti economici e sociali che la caratterizzano per la sua posizione equidistante tra il mondo educativo e quello della produzione. La natura polifunzionale delle scuole di mestiere, da sempre preposte sia alla gestione delle emergenze sociali - come il recupero dei poveri attraverso l’addestramento al lavoro - sia allo sviluppo dell’economia - mediante il miglioramento della manodopera specializzata - richiede, infatti, un punto di osservazione più ampio che spazi dal campo dell’educazione a quello delle scienze sociali. Da un lato, quindi, ci si è avvalsi dei contributi della storiografia storico-educativa recente, attenta ad analizzare il rapporto d’interdipendenza tra la politica economica e quella scolastica e, di quella che ha approfondito l’aspetto filantropico della questione, esaminando le scuole di lavoro sorte su iniziativa degli enti pubblici o privati di beneficenza. Hanno costituito, infine, oggetto di particolare attenzione anche alcuni saggi della produzione storiografica storico-artistica che hanno indagato il linguaggio figurativo sviluppatosi in Europa dalla metà dell’Ottocento attraverso l’arte industriale e i percorsi formativi ad essa connessi. La complessità del tema ha richiesto di strutturare il lavoro su più livelli, a ciascuno del quale è stato dedicato un capitolo. Il primo e il terzo capitolo mirano a ripercorrere l’evoluzione delle politiche perseguite in materia d’istruzione tecnica e professionale dal ceto politico liberale tra il 1861 e il 1898 e gli orientamenti normativi seguiti in materia dal ministero della Pubblica Istruzione e da quello di Agricoltura, Industria e Commercio. L’operazione ha consentito di ricostruire in maniera pressoché puntuale l’evoluzione di tale segmento dell’istruzione, all’interno del quale sono stati evidenziati i passaggi salienti delle linee adottate e rilevate le dinamiche conflittuali che regolarono il rapporto tra i due ministeri competenti, innescate principalmente attorno al dibattito relativo all’assegnazione delle competenze in materia e al tema del coordinamento delle scuole tecniche con gli istituti tecnici. Questo lungo excursus è stato intervallato dallo studio svolto nel secondo capitolo del carteggio conservato presso l’Archivio centrale dello Stato di Roma dell’inchiesta Scialoja, condotta tra il 1872 e il 1875, relativo alle scuole tecniche: esso ha fornito una lente d’ingrandimento attraverso la quale è stato possibile analizzare meglio tali nodi tematici e, soprattutto, guardare a una distanza ravvicinata le scuole tecniche, evidenziandone punti di forza e criticità, riuscendo a delineare un loro un profilo culturale più definito e un quadro più completo del loro funzionamento. Nel quadro delle iniziative volte a favorire lo sviluppo dell’istruzione artistica, tecnica e professionale, è stata rivolta particolare attenzione all’analisi delle pratiche espositive e di competizione connesse a tali processi di apprendimento che incontrarono il loro massimo compimento nelle esposizioni universali inaugurate in Francia e in Inghilterra alla metà dell’Ottocento. All’interno del quarto capitolo si è voluto, in particolare, comprendere meglio il ruolo che tali eventi rivestirono nella diffusione delle conoscenze e nell’apprendimento delle nuove tecnologie tra gli operatori del comparto produttivo e sull’impatto che ebbero, in Italia specialmente partire dalla fine degli anni Sessanta, nella definizione delle politiche economiche ed educative. Furono le esposizioni universali, infatti, a ridefinire i termini della questione in materia di educazione professionale in Europa. I progressi dell’industria in generale e, in particolare, dell’arte industriale prodotta dagli istituti nati sul modello del South Kensington Museum di Londra - i nuovi centri di formazione degli addetti a questa nuova produzione che aveva conquistato il mercato - sollecitarono il governo italiano a professionalizzare il proprio sistema formativo avviando un processo, mai compiuto, di riscatto culturale del sapere tecnico che trovava il suo fondamento nell’insegnamento del disegno, com’è illustrato nel quinto capitolo. L’analisi delle politiche relative all’istruzione artistica, tecnica e professionale copre una periodizzazione che, pur orientata prevalentemente a mettere a fuoco le scelte operate nel quarantennio postunitario, non trascura di prendere in esame linee di intervento ed esperienze maturate nel periodo preunitario. Tale scelta trova la sua ragione nel fatto che, soprattutto nei decenni che precedettero l’Unità, molte scuole di mestiere erano esterne al sistema d’istruzione statale o a mezza strada tra questo e quello economico, come i reclusori-manifattura che risultarono insieme luoghi di recupero sociale, addestramento professionale e centri di produzione inseriti a pieno titolo all’interno del circuito economico. Per tali considerazioni, si è deciso di illustrare negli ultimi due capitoli le politiche scolastiche adottate nel meridione prima dai governi del Regno di Napoli e delle Due Sicilie, e poi da quello nazionale, con particolare attenzione al contesto locale attraverso l’individuazione degli itinerari e dei processi formativi per gli addetti all’industria, sia legati al modello della carità produttiva ispirata ai reclusori-manifattura, come le case pie di lavoro e gli orfanotrofi, sia a quelli di supporto alla formazione degli operai promossi su iniziativa delle forze imprenditoriali e politiche cittadine, quali le scuole serali per gli artigiani e le scuole di disegno applicato alle arti. Accanto ai maggiori itinerari formativi a indirizzo tecnico, come la Scuola di disegno lineare nata a Campobasso nel 1842 e quelle tecniche aperte tra gli anni Sessanta e Settanta dell’Ottocento a Campobasso (1869) ad Agnone (1870) ed a Isernia (1872), hanno costituito oggetto di trattazione o di rapide segnalazioni, anche le istituzioni minori sorte in Provincia di Molise a sostegno dei bisognosi o dei lavoratori analfabeti. Sulle indicazioni dei recenti contributi della storiografia di settore, attenta a evidenziare le relazioni tra la politica economica e quella scolastica, si è cercato di approfondire il peso esercitato dal sistema dell’educazione produttiva, interno e parallelo a quello statale nel largo periodo analizzato, nella definizione del tessuto sociale, in quello economico, nel linguaggio figurativo dell’arte industriale e, non ultimo, il ruolo rivestito nella costruzione dell’edificio nazionale. In tal senso l’indagine ha messo a fuoco il ruolo esercitato dalle scuole tecniche inaugurate dalla legge Casati che, a causa del loro assetto culturale, più che offrire un contributo immediato allo sviluppo dei processi d’industrializzazione, ebbero la funzione di concorrere ad estendere le basi del consenso tra il ceto medio e, soprattutto, di formarne l’identità nazionale. Una vera e propria missione alla quale non si sottrassero le forze politiche e imprenditoriali della provincia molisana all’indomani dell’Unità. Un diffuso sentimento di paternalismo patriottico tra i liberali diede vita a diverse esperienze formative rivolte agli operai, finalizzate alla formazione del sentimento nazionale e al progresso materiale della Provincia di Molise nel quadro di quella dello Stato.

Dalle scuole di disegno ai musei di arte industriale. Percorsi di educazione ed istruzione artistico e professionale in Italia durante l’Ottocento. L’esperienza del Molise.

VIOLA, Valeria
2014-01-01

Abstract

La ricerca pone l’attenzione su un terreno ancora poco esplorato dalla storiografia scolastico-educativa, quello relativo alla storia dell’istruzione artistica, tecnica e professionale in Italia dalla stagione preunitaria fino agli ultimi anni dell’Ottocento. Finora questa branca dell’educazione è stata oggetto di rapide analisi, o di semplici segnalazioni, da parte degli studi di settore che hanno teso per lo più a inquadrare il tema nelle linee generali, evidenziando i passaggi più significativi della sua evoluzione legislativa, tralasciando spesso gli aspetti economici e sociali che la caratterizzano per la sua posizione equidistante tra il mondo educativo e quello della produzione. La natura polifunzionale delle scuole di mestiere, da sempre preposte sia alla gestione delle emergenze sociali - come il recupero dei poveri attraverso l’addestramento al lavoro - sia allo sviluppo dell’economia - mediante il miglioramento della manodopera specializzata - richiede, infatti, un punto di osservazione più ampio che spazi dal campo dell’educazione a quello delle scienze sociali. Da un lato, quindi, ci si è avvalsi dei contributi della storiografia storico-educativa recente, attenta ad analizzare il rapporto d’interdipendenza tra la politica economica e quella scolastica e, di quella che ha approfondito l’aspetto filantropico della questione, esaminando le scuole di lavoro sorte su iniziativa degli enti pubblici o privati di beneficenza. Hanno costituito, infine, oggetto di particolare attenzione anche alcuni saggi della produzione storiografica storico-artistica che hanno indagato il linguaggio figurativo sviluppatosi in Europa dalla metà dell’Ottocento attraverso l’arte industriale e i percorsi formativi ad essa connessi. La complessità del tema ha richiesto di strutturare il lavoro su più livelli, a ciascuno del quale è stato dedicato un capitolo. Il primo e il terzo capitolo mirano a ripercorrere l’evoluzione delle politiche perseguite in materia d’istruzione tecnica e professionale dal ceto politico liberale tra il 1861 e il 1898 e gli orientamenti normativi seguiti in materia dal ministero della Pubblica Istruzione e da quello di Agricoltura, Industria e Commercio. L’operazione ha consentito di ricostruire in maniera pressoché puntuale l’evoluzione di tale segmento dell’istruzione, all’interno del quale sono stati evidenziati i passaggi salienti delle linee adottate e rilevate le dinamiche conflittuali che regolarono il rapporto tra i due ministeri competenti, innescate principalmente attorno al dibattito relativo all’assegnazione delle competenze in materia e al tema del coordinamento delle scuole tecniche con gli istituti tecnici. Questo lungo excursus è stato intervallato dallo studio svolto nel secondo capitolo del carteggio conservato presso l’Archivio centrale dello Stato di Roma dell’inchiesta Scialoja, condotta tra il 1872 e il 1875, relativo alle scuole tecniche: esso ha fornito una lente d’ingrandimento attraverso la quale è stato possibile analizzare meglio tali nodi tematici e, soprattutto, guardare a una distanza ravvicinata le scuole tecniche, evidenziandone punti di forza e criticità, riuscendo a delineare un loro un profilo culturale più definito e un quadro più completo del loro funzionamento. Nel quadro delle iniziative volte a favorire lo sviluppo dell’istruzione artistica, tecnica e professionale, è stata rivolta particolare attenzione all’analisi delle pratiche espositive e di competizione connesse a tali processi di apprendimento che incontrarono il loro massimo compimento nelle esposizioni universali inaugurate in Francia e in Inghilterra alla metà dell’Ottocento. All’interno del quarto capitolo si è voluto, in particolare, comprendere meglio il ruolo che tali eventi rivestirono nella diffusione delle conoscenze e nell’apprendimento delle nuove tecnologie tra gli operatori del comparto produttivo e sull’impatto che ebbero, in Italia specialmente partire dalla fine degli anni Sessanta, nella definizione delle politiche economiche ed educative. Furono le esposizioni universali, infatti, a ridefinire i termini della questione in materia di educazione professionale in Europa. I progressi dell’industria in generale e, in particolare, dell’arte industriale prodotta dagli istituti nati sul modello del South Kensington Museum di Londra - i nuovi centri di formazione degli addetti a questa nuova produzione che aveva conquistato il mercato - sollecitarono il governo italiano a professionalizzare il proprio sistema formativo avviando un processo, mai compiuto, di riscatto culturale del sapere tecnico che trovava il suo fondamento nell’insegnamento del disegno, com’è illustrato nel quinto capitolo. L’analisi delle politiche relative all’istruzione artistica, tecnica e professionale copre una periodizzazione che, pur orientata prevalentemente a mettere a fuoco le scelte operate nel quarantennio postunitario, non trascura di prendere in esame linee di intervento ed esperienze maturate nel periodo preunitario. Tale scelta trova la sua ragione nel fatto che, soprattutto nei decenni che precedettero l’Unità, molte scuole di mestiere erano esterne al sistema d’istruzione statale o a mezza strada tra questo e quello economico, come i reclusori-manifattura che risultarono insieme luoghi di recupero sociale, addestramento professionale e centri di produzione inseriti a pieno titolo all’interno del circuito economico. Per tali considerazioni, si è deciso di illustrare negli ultimi due capitoli le politiche scolastiche adottate nel meridione prima dai governi del Regno di Napoli e delle Due Sicilie, e poi da quello nazionale, con particolare attenzione al contesto locale attraverso l’individuazione degli itinerari e dei processi formativi per gli addetti all’industria, sia legati al modello della carità produttiva ispirata ai reclusori-manifattura, come le case pie di lavoro e gli orfanotrofi, sia a quelli di supporto alla formazione degli operai promossi su iniziativa delle forze imprenditoriali e politiche cittadine, quali le scuole serali per gli artigiani e le scuole di disegno applicato alle arti. Accanto ai maggiori itinerari formativi a indirizzo tecnico, come la Scuola di disegno lineare nata a Campobasso nel 1842 e quelle tecniche aperte tra gli anni Sessanta e Settanta dell’Ottocento a Campobasso (1869) ad Agnone (1870) ed a Isernia (1872), hanno costituito oggetto di trattazione o di rapide segnalazioni, anche le istituzioni minori sorte in Provincia di Molise a sostegno dei bisognosi o dei lavoratori analfabeti. Sulle indicazioni dei recenti contributi della storiografia di settore, attenta a evidenziare le relazioni tra la politica economica e quella scolastica, si è cercato di approfondire il peso esercitato dal sistema dell’educazione produttiva, interno e parallelo a quello statale nel largo periodo analizzato, nella definizione del tessuto sociale, in quello economico, nel linguaggio figurativo dell’arte industriale e, non ultimo, il ruolo rivestito nella costruzione dell’edificio nazionale. In tal senso l’indagine ha messo a fuoco il ruolo esercitato dalle scuole tecniche inaugurate dalla legge Casati che, a causa del loro assetto culturale, più che offrire un contributo immediato allo sviluppo dei processi d’industrializzazione, ebbero la funzione di concorrere ad estendere le basi del consenso tra il ceto medio e, soprattutto, di formarne l’identità nazionale. Una vera e propria missione alla quale non si sottrassero le forze politiche e imprenditoriali della provincia molisana all’indomani dell’Unità. Un diffuso sentimento di paternalismo patriottico tra i liberali diede vita a diverse esperienze formative rivolte agli operai, finalizzate alla formazione del sentimento nazionale e al progresso materiale della Provincia di Molise nel quadro di quella dello Stato.
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