Metafora e traduzione sono i due fuochi dell’ellisse dell’opera di Paul Ricoeur che scegliamo per un percorso che si vorrebbe aprire verso una questione tanto attuale quanto impensata, con la quale il filosofo francese si è confrontato: la questione dell’ethos europeo, dove con ethos va inteso non già un comune riferimento valoriale ma il modo in cui diverse culture – geograficamente prossime ma culturalmente differenti – possono dimorare insieme. Questione irrisolta perché, malgrado l’unificazione monetaria, l’individuazione di tale ethos è ancora lungi dal guidare politiche di amicizia e di riconoscimento degli Stati tra loro, preoccupati più della reciproca forza economica e capacità produttiva che di un ripensamento del senso dell’unione. E di fatto, dopo tanto discutere di “Europa”, riscontriamo oggi l’assenza di discussioni culturali nel senso più ampio del termine, constatando al contempo una singolare chiusura ad extra e ad intra: ad extra, come attestato dall’oscillante politica riguardante i flussi migratori, ad intra, come verificato dalla difficile convivenza degli stati e popoli europei tra loro. Né sarebbe del tutto inesatto dire che la chiusura ad extra e ad intra si implicano l’un l’altra anche per la mancanza di una riflessione seriamente condotta sull’ethos europeo. Mancanza da cui consegue quell’incostante atteggiamento che volge ora al rifiuto ora all’accoglienza di culture sia “medesime” che “altre”, il cui incontro non sembra riguardare l’ethos dell’ospite ospitante ma soltanto quello dell’ospite ospitato. Il pensiero di Paul Ricoeur può dire qualcosa su questo tema? Una prima risposta affermativa viene dai testi stessi del filosofo, che ha espressamente affrontato la questione interrogando e confrontandosi anche con altri studi svolti in prospettiva interculturale. Prospettiva nella quale sono ormai insuperabili i Traslation Studies, per i quali la traduzione è una pratica che pone al centro non semplicemente il sistema linguistico ma la totalità dei riferimenti culturali. Certo, tali studi non sono l’interlocutore di Ricoeur, che ha concluso il suo percorso filosofico interrogandosi sulle vie difficili del perdono e del riconoscimento. Tuttavia a noi, suoi lettori, egli offre una via di accesso privilegiata a questa prospettiva degli studi traduttivi, inaggirabili per chi s’interroga filosoficamente sulla traduzione, e ciò per il tramite dell’altro fuoco dell’ellisse, la metafora. Di fatti, nel quadro dei Translation Studies, certamente variegato, Paul Bandia considera la traduzione «come una metafora di trasferimento e spostamento, un “trasportare oltre” che avviene da una cultura di lingua minore verso una egemonica». È sufficientemente evidente quanto in questa tesi si condensino il nostro tema e il punto di interrogazione dell’opera di Ricoeur. Tale “trasportare oltre”, infatti, appartiene in proprio alla traduzione, o meglio, al tradurre, al gesto traduttivo, e lo reca in sé già nel verbo latino transducere, nel tempo sostituitosi a transferre. Nel tempo, tuttavia, e ciò grazie all’uso felice che ne ha proposto Leonardo Bruni nel De recta interpretatione/Sulla perfetta traduzione, per il quale all’ermeneuein greco ha risposto il tra(ns)ducere latino indicante il “far passare”, “trasportare”, da cui il sostantivo traductio, ossia trasferimento ma anche tropo, metonimia. Ora, se tradurre in greco si dice ermeneuein, trasferire, passare, si dice metafero, da cui metafora, significato che possiede anche l’altro verbo latino indicante il tradurre, transferre, che oltre al trasporto indica il “dire metaforicamente”, senso che conferisce anche al suo sostantivo traslatio. La valenza metaforica, dunque, appartiene in proprio alla traduzione, alla sua parola e, nel passare da una lingua all’altra, si fanno metafore e, in ciò, si interpreta. Metafora ed ermeneutica che ci riconducono, dunque, a Paul Ricoeur.

La metafora della traduzione : un percorso dell’opera di Paul Ricoeur

CANULLO, Carla
2012-01-01

Abstract

Metafora e traduzione sono i due fuochi dell’ellisse dell’opera di Paul Ricoeur che scegliamo per un percorso che si vorrebbe aprire verso una questione tanto attuale quanto impensata, con la quale il filosofo francese si è confrontato: la questione dell’ethos europeo, dove con ethos va inteso non già un comune riferimento valoriale ma il modo in cui diverse culture – geograficamente prossime ma culturalmente differenti – possono dimorare insieme. Questione irrisolta perché, malgrado l’unificazione monetaria, l’individuazione di tale ethos è ancora lungi dal guidare politiche di amicizia e di riconoscimento degli Stati tra loro, preoccupati più della reciproca forza economica e capacità produttiva che di un ripensamento del senso dell’unione. E di fatto, dopo tanto discutere di “Europa”, riscontriamo oggi l’assenza di discussioni culturali nel senso più ampio del termine, constatando al contempo una singolare chiusura ad extra e ad intra: ad extra, come attestato dall’oscillante politica riguardante i flussi migratori, ad intra, come verificato dalla difficile convivenza degli stati e popoli europei tra loro. Né sarebbe del tutto inesatto dire che la chiusura ad extra e ad intra si implicano l’un l’altra anche per la mancanza di una riflessione seriamente condotta sull’ethos europeo. Mancanza da cui consegue quell’incostante atteggiamento che volge ora al rifiuto ora all’accoglienza di culture sia “medesime” che “altre”, il cui incontro non sembra riguardare l’ethos dell’ospite ospitante ma soltanto quello dell’ospite ospitato. Il pensiero di Paul Ricoeur può dire qualcosa su questo tema? Una prima risposta affermativa viene dai testi stessi del filosofo, che ha espressamente affrontato la questione interrogando e confrontandosi anche con altri studi svolti in prospettiva interculturale. Prospettiva nella quale sono ormai insuperabili i Traslation Studies, per i quali la traduzione è una pratica che pone al centro non semplicemente il sistema linguistico ma la totalità dei riferimenti culturali. Certo, tali studi non sono l’interlocutore di Ricoeur, che ha concluso il suo percorso filosofico interrogandosi sulle vie difficili del perdono e del riconoscimento. Tuttavia a noi, suoi lettori, egli offre una via di accesso privilegiata a questa prospettiva degli studi traduttivi, inaggirabili per chi s’interroga filosoficamente sulla traduzione, e ciò per il tramite dell’altro fuoco dell’ellisse, la metafora. Di fatti, nel quadro dei Translation Studies, certamente variegato, Paul Bandia considera la traduzione «come una metafora di trasferimento e spostamento, un “trasportare oltre” che avviene da una cultura di lingua minore verso una egemonica». È sufficientemente evidente quanto in questa tesi si condensino il nostro tema e il punto di interrogazione dell’opera di Ricoeur. Tale “trasportare oltre”, infatti, appartiene in proprio alla traduzione, o meglio, al tradurre, al gesto traduttivo, e lo reca in sé già nel verbo latino transducere, nel tempo sostituitosi a transferre. Nel tempo, tuttavia, e ciò grazie all’uso felice che ne ha proposto Leonardo Bruni nel De recta interpretatione/Sulla perfetta traduzione, per il quale all’ermeneuein greco ha risposto il tra(ns)ducere latino indicante il “far passare”, “trasportare”, da cui il sostantivo traductio, ossia trasferimento ma anche tropo, metonimia. Ora, se tradurre in greco si dice ermeneuein, trasferire, passare, si dice metafero, da cui metafora, significato che possiede anche l’altro verbo latino indicante il tradurre, transferre, che oltre al trasporto indica il “dire metaforicamente”, senso che conferisce anche al suo sostantivo traslatio. La valenza metaforica, dunque, appartiene in proprio alla traduzione, alla sua parola e, nel passare da una lingua all’altra, si fanno metafore e, in ciò, si interpreta. Metafora ed ermeneutica che ci riconducono, dunque, a Paul Ricoeur.
2012
Mimesis edizioni
Internazionale
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